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«C’è una tale atmosfera di buon senso, qui.» Il suo sguardo percorse la stanza, grande, ordinata. «Un’aria calma e pulita.»

Reinhart sorrise. «No, non c’è molto buon senso in questo momento.»

«Possiamo parlare?»

Reinhart lo guidò verso un paio di comode poltrone che erano state preparate insieme a un piccolo tavolo, per i visitatori, in un angolo sul retro dell’osservatorio.

«Ti ho detto al telefono, John, che non posso fare proprio nulla. Si preparano a usare la creatura come aiuto del calcolatore, per le ricerche missilistiche di Geers.»

«Ed è proprio quanto vuole il calcolatore.»

Reinhart si strinse nelle spalle. «Ne sono fuori, ora.»

«Ne siamo fuori tutti. Solo mi ci sto attaccando con le unghie e con i denti. Quando dicevamo di poter togliere la corrente… Be’, adesso non possiamo più, vero?» Fleming cincischiava nervosamente una scatola di fiammiferi che aveva tratto di tasca per accendere le loro sigarette. «Ormai il calcolatore è padrone di se stesso. Ha i suoi protettori, i suoi alleati. Se questa creatura che sembra una donna fosse scesa da un disco volante, a quest’ora sarebbe già stata eliminata. L’avrebbero riconosciuta per quello che è in realtà; ma siccome ci è stata presentata in un modo molto più sottile, siccome le è stata data una forma umana, viene accettata alla faccia di tutto. E la sua è una gran bella faccia. È inutile rivolgersi a Geers e compagni: ho tentato. Professore, ho paura.»

«Abbiamo tutti paura,» ribatté Reinhart. «Quante più cose scopriamo dell’universo, e più questo diventa terrificante.»

«Senta.» Fleming si piegò in avanti, serio. «Usiamo il cervello. Questa macchina, un cervello figlio di un altro mondo, ha eliminato il suo mostro monocolo, ha eliminato Christine, eliminerà me, se mi troverò sulla sua strada.»

«E allora tientene lontano,» disse stancamente Reinhart. «Se sei in pericolo tientene lontano finché sei in tempo.»

«Pericolo!» Fleming sbuffò. «Ma lei pensa che io voglia morire in qualche modo orribile, come Dennis Bridger, per amore del governo o della Intel? Io sono soltanto il prossimo della lista. Se vengo allontanato o vengo ucciso, a chi toccherà poi?»

«Il problema è sapere chi viene per primo, in questo momento.» Reinhart sembrava un medico di fronte a un caso disperato. «Non posso aiutarti, John.»

«E Osborne?»

«Non è lui a tenere le redini, ora.»

«Potrebbe ottenere dal suo ministro di andare dal primo ministro.»

«Il primo ministro?»

«È pagato anche lui, no?»

Reinhart scosse il capo. «Non potrai dimostrare nulla, John.»

«Ho alcuni argomenti.»

«Credo che nessuno di loro sia nello stato d’animo più adatto per ascoltarti.» Con un piccolo gesto della mano Reinhart indicò la carta sul muro. «Ecco quello che ci preoccupa, in questo momento.»

«A cosa serve, questa?»

Reinhart glielo spiegò. Fleming sedeva, ascoltando, teso e avvilito, frantumando la scatola di fiammiferi.

«Non possiamo essere sempre i più bravi.» Trascurò le spiegazioni del professore. «Almeno con esseri umani possiamo venire a patti.»

«Quali patti?» chiese Reinhart.

«Non importa quali… in confronto a quello a cui probabilmente ci troviamo davanti. Per una civiltà una bomba è una morte veloce. Ma la lenta conquista da parte di un altro pianeta…» La sua voce finì in un mormorio.

Il primo ministro si trovava nel suo ufficio dai pannelli di quercia ai Comuni. Era un anziano signore dall’aspetto sportivo con ammiccanti occhi blu. Sedeva al centro di un lato del lungo tavolo che riempiva a metà la stanza e ascoltava il ministro della Difesa. La luce filtrava dolcemente nella stanza attraverso le doppie finestre. Qualcuno bussò alla porta, e il ministro della Difesa aggrottò la fronte; era un giovanotto molto brillante cui non piaceva venire interrotto.

«Oh, ecco qui la scienza.» Il primo ministro sorrise cordialmente all’ingresso di Osborne e di Ratcliff. «Conosce Osborne, vero, Burdett?»

Il ministro della Difesa si alzò e strinse loro la mano, indifferente. Il primo ministro li invitò a sedersi.

«Non è una giornata meravigliosa, signori? Ricordo che quel giorno a Dunkerque era un tempo come questo. Sembra che sulle disgrazie della nazione risplenda sempre il sole.» Si rivolse a Burdett. «Vuole vuotare il sacco lei per noi?»

«Si tratta di Thorness,» spiegò Burdett a Ratcliff. «Vogliamo entrare in completo possesso del calcolatore e degli annessi e connessi. Eravamo già d’accordo, in linea di massima, no? e il primo ministro ed io pensiamo che sia giunto il momento.»

Ratcliff lo guardò senza grande affetto. «Avete già la possibilità di usarlo.»

«Ne abbiamo un bisogno maggiore, vero, Eccellenza?» Burdett si rivolse al primo ministro.

«Abbiamo bisogno di un nuovo apparecchio intercettatore, signori, e ne abbiamo bisogno alla svelta.» Dietro i suoi modi amabili, pigri, alquanto vecchio stile, c’era una grande decisione, un piglio d’affarista. «Nel millenovecentoquaranta avevamo gli Spitfire, ma in questo momento sia noi che i nostri alleati occidentali non abbiamo nulla in grado di affrontare quel che ci sta capitando addosso.»

«E non avremo nessuna prospettiva,» aggiunse Burdett, «per mezzo delle armi convenzionali.»

«Potremmo collaborare, no?» chiese Ratcliff a Osborne, «per produrre qualcosa di nuovo.»

Burdett non era tipo da perdere tempo. «Possiamo occuparcene noi se prendiamo possesso dell’apparecchio di Thorness e della ragazza.»

«La creatura?» Osborne alzò molto educatamente un sopracciglio, ma il primo ministro gli strizzò l’occhio in modo rassicurante.

«Il dottor Geers è dell’opinione che se noi usiamo questa signora dalla curiosa origine affinché si faccia interprete delle nostre richieste presso il calcolatore, e affinché ci ritraduca i suoi calcoli, potremmo risolvere molto in fretta un mucchio dei nostri problemi.»

«Se vi potete fidare delle sue intenzioni.»

Il primo ministro pareva interessato. «Non riesco a capire bene.»

«Una o due persone della squadra hanno dei dubbi circa le sue capacità,» mormorò Ratcliff, più con speranza che con convinzione. Nessun ministro ama perdere terreno anche se per difenderlo deve usare degli argomenti dubbi. Il primo ministro risolse la questione con un cenno della mano.

«Oh, sì, mi è stato detto.»

«Fino a oggi, Eccellenza, questa creatura è stata tenuta sotto osservazione dal nostro gruppo,» disse Osborne. «La professoressa Dawnay…»

«La Dawnay potrebbe restare.»

«In un ruolo di consulente,» aggiunse in fretta Burdett.

«E il dottor Fleming?» chiese Ratcliff.

Il primo ministro si rivolse di nuovo a Burdett. «Fleming sarebbe utile, vero?»

Burdett si accigliò. «Sarà necessario un controllo completo e un servizio di sicurezza molto stretto.»

Ratcliff giocò la sua ultima carta. «Siete sicuri che sia disposta, la ragazza?»

«Propongo di chiederglielo,» disse il primo ministro. Premette il pulsante di un campanello sul tavolo, e quasi immediatamente un giovanotto apparve sulla soglia. «Preghi il dottor Geers di far entrare la sua amica.»

«L’avete fatta venire qui?» Ratcliff fissava Osborne con aria accusatrice, come se fosse colpa sua.

«Sì, mio caro.» Anche il primo ministro fissava Osborne con aria interrogativa. «La ragazza è… ehm…?»

«Sembra proprio normale.»

Il primo ministro emise un piccolo sospiro di sollievo e si alzò quando la porta si aprì per lasciare passare Geers e Andromeda.

«Entri, dottor Geers. Entri, mia cara.»

Andromeda fu fatta sedere sulla sedia di fronte a lui. Stava in silenzio, il capo leggermente abbassato, le mani intrecciate in grembo: come una dattilografa in un colloquio d’assunzione.