Questa altra parte è il 1896.
Questa volta ho percepito la presenza lì anche del mio corpo. Ho sentito il materasso (o “un” materasso) sotto me. Ho sentito l’abito e mi sono accorto di respirare. Il che significa che, mentre la prima volta si è trattato esclusivamente di un viaggio mentale nel 1896, della consapevolezza momentanea di essere lì, questa volta ci sono stato in carne e ossa. A livello fisico, ero sdraiato in questa stanza nel 1896. Per cinque o sei secondi, sono stato totalmente là, mente e corpo.
Anche la sensazione del ritorno è stata diversa. La prima volta, è stata rapida, quasi violenta. In un certo senso, sono stato strappato via; un’esperienza sgradevole.
Questa volta è stato più come… scivolare? Non esattamente. Qualcosa di simile, però. Un po’ la sensazione fisica di scivolare all’indietro attraverso una membrana. Lasciamo perdere, non riesco a tradurlo in parole. So solo che è successo. Il punto è che la zona di congiunzione, di qualunque cosa si tratti (un passaggio, un’apertura, una membrana), è molto vicina e molto sottile.
E molto raggiungibile. La sento attorno a me anche adesso, qui nel 1971, mentre ne scrivo. La chiamerò “tempo 2”, in mancanza di una descrizione migliore. È lontana da noi, sempre, solo un battito di cuore. No, anche questo è sbagliato. Non è affatto lontana da noi. È con noi. Noi non siamo consapevoli della sua presenza, tutto qui. Applicandosi, però, si può percepire la sua presenza e la si può raggiungere.
Devo ritentare.
Mi sento così vicino. Mi chiedo se non dovrei fare a meno di matita e carta. Le istruzioni, scritte centinaia di volte, sono incise nella mia mente. Perché non dovrei semplicemente coricarmi e ripeterle mentalmente fra me, mentre ascolto la musica?
Già, perché no?
Una e quarantatré del pomeriggio. Devo dettare in fretta, prima di dimenticare i particolari.
Il disco si era fermato quando sono tornato dal risucchio, per cui non so quando sia successo.
Però so che è stato fantastico.
Deve essere durato più di un minuto. A me è parso molto più lungo, ma non voglio fare stime eccessive.
In ogni caso, è durato il tempo necessario per permettermi di vedere, appeso a una parete, un quadro che adesso non è più presente nella stanza.
Quando è successo, il primo sintomo è stato la mia convinzione. A quanto sembra, è una parte essenziale del fenomeno. Avevo gli occhi chiusi, però ero sveglio e sapevo di essere nel 1896. Forse lo “sentivo” attorno a me; non so. Comunque, nella mia mente non c’era il minimo dubbio. E ho avuto prove concrete ancora prima di riaprire gli occhi.
Sdraiato sul letto, ho udito un bizzarro crepitio. Non ho aperto gli occhi perché non volevo correre il rischio di uscire dal risucchio. Ho continuato a restare immobile sul materasso, che sentivo sotto di me, come sentivo l’abito, come sentivo il respiro entrare e uscire dal mio corpo, come sentivo il calore della stanza; e udivo quello strano crepitio. A un certo punto, senza riflettere, mi sono persino grattato il naso, perché prudeva. Non è un gesto molto importante, lo so, ma riflettete sulle implicazioni.
È stato il mio primo atto fisico nel 1896.
Ero lì. Il mio corpo era coricato in questa stanza nel 1896. Così saldamente radicato nel passato che sono riuscito ad alzare una mano e grattarmi il naso senza esserne sbalzato via. Per quanto l’azione fosse banale, è stato un momento portentoso.
Il tempo cronologico, però, non si era ancora reinserito nel mio sistema. Anche questo, a quanto pare, fa parte del processo. Per raggiungere il tempo 2, devo abbandonare in maniera completa il tempo 1. Ma una volta nel 1896, per potervi restare, devo reinstallare il tempo 1 nel mio sistema. Il che potrebbe spiegare perché la prima volta sono stato trascinato via in modo tanto violento: la mia autocoscienza era così totalmente immersa nel tempo 2 che io non possedevo un’ancora capace di trattenermi nel 1896. No, “ancora” è un termine troppo improprio. Diciamo che non avevo un tessuto connettivo, e che, per lo meno nella fase iniziale, quel tessuto connettivo era il tempo 1.
Questa volta, sono riuscito a creare in me una consapevolezza del tempo 1 sufficiente a permettermi di analizzare l’ambiente. Perché il crepitio, che per un po’ mi è risultato incomprensibile come le più avanzate teorie einsteiniane, alla fine mi ha svelato la propria natura.
Era il caminetto.
Ero coricato sul mio letto nel 1896 e udivo il crepitio del fuoco nel camino.
Il mio cuore batte forte, mentre lo dico.
Mi chiedo quale sia stata la reale durata del fenomeno. Una buona percentuale della mia coscienza, credo, è rimasta nel tempo 2; se così non fosse, io sarei ancora nel 1896. Quindi, la mia interpretazione del tempo cronologico trascorso nel 1896 deve essere inesatta. Sospetto di non esserci rimasto a lungo come ricordo.
Ma, a prescindere dalla durata del fenomeno, dopo un po’ ho aperto gli occhi.
Dapprima, non ho osato muovermi. Sì, mi ero grattato il naso, però non era stato un gesto voluto; lo avevo fatto, ritengo, proprio perché si trattava di un riflesso automatico. Invece, compiere un” gesto cosciente, un movimento deliberato, mi sembrava più pericoloso: una sfida alla situazione in cui mi trovavo.
Così non ho fatto niente. Sono rimasto immobile, a fissare il soffitto; ho cercato di udire altre cose, oltre al crepitio delle fiamme, ma non ci sono riuscito. Vedo due possibilità: o il crepitio del fuoco soffocava ogni altro suono, o io non ero completamente lì, e quindi non potevo sentire altri rumori.
La mia sensazione è di essermi trovato in una “sacca” del 1896. Forse, la meccanica è questa. Di certo non posso provarlo, e probabilmente non lo potrò mai. In questo momento, però, la migliore descrizione possibile mi sembra questa: per viaggiare nel tempo, si parte dal proprio nucleo (la mente, è chiaro) e si trasmette la sensazione all’esterno. I primi effetti coinvolgono il corpo, poi si raggiunge il contatto con l’ambiente circostante. La sensazione di attraversare una membrana potrebbe contraddistinguere il momento in cui si è riusciti a emanare la convinzione interiore oltre i limiti del corpo.
In sostanza, quindi, se la mia teoria è valida, io ero coricato sul letto nel 1896 e sentivo il rumore del caminetto che scoppiettava nel 1896; ma al di là di questo, a regnare era ancora il 1971.
Un’idea folle. Ma perché la mia convinzione è così forte? Perché, ad esempio, non ho udito la risacca del 1896? Avrei dovuto udirla con molta più chiarezza, perché all’epoca l’oceano era molto più vicino all’hotel. Però non l’ho sentita. E non ho sentito nemmeno la risacca del 1971 perché ero chiuso nel mio guscio di 1896. Oltre quel guscio, non udivo nulla. Il che, secondo me, indica che la mia teoria deve possedere una qualche validità.
Lasciamo perdere. Continuo a distrarmi, ad allontanarmi dal punto più cruciale.
Di nuovo, non so per quanto tempo sia rimasto a guardare il soffitto. Sapevo solo di essere nel 1896, che il letto sotto di me era nel 1896, come forse l’intera stanza. Il crepitio del camino continuava chiarissimo, e io vedevo bene il soffitto, e non era dello stesso colore che ha adesso.
Alla fine, ho trovato il coraggio di azzardare un movimento. Niente di trascendentale, certo; però, ancora una volta, trascendentale per le sue implicazioni. Perché è stato un gesto voluto, deliberato; calcolato.
Ho girato la testa sul cuscino. (Mi ero scordato di parlare del cuscino, ma c’era anche quello; nel 1896, senza dubbio.) Con infinita lentezza, debbo aggiungere; infinita trepidazione. Nella paura di perdere quel momento ed essere sbalzato un’altra volta nel 1971. La fiducia che provavo (e provo ancora) sulla mia capacità di raggiungere il 1896 non era con me, in quel momento. Sapevo benissimo di esserci, ma non ero certo di avere i mezzi per potervi restare.