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— Guarda cosa c’è sul programma, Elise — ha detto la signora McKenna.

Studiando il menù, ho notato, sul fondo, la parola PROGRAMMA, e più sotto il nome di R.C. KEMMERMEYER, DIRETTORE D’ORCHESTRA. Studiando la lista di brani, ho trovato La musica di Lady Babbie, di William Furst. Babbie è il nome del personaggio interpretato da Elise in Il piccolo ministro.

Il mio tovagliolo era fermato, al centro, da un portatovagliolo in legno d’arancio. “Come quello del salone della Storia” ho pensato, mentre aprivo il tovagliolo e me lo sistemavo in grembo. “Non della storia” mi sono detto; “del presente.” Ho rimesso il cerchietto di legno sul tavolo e ho guardato la copertina del menù. Vi erano stampate le parole HOTEL DEL CORONADO, CORONADO, CALIFORNIA; più sotto, il disegno di una ghirlanda di fiori, con un diadema al centro. Sotto la ghirlanda era stampato un nome: DIRETTORE, E.S. BABCOCK. Ho pensato: “Quest’uomo è qui, in questo momento.” L’uomo che aveva dettato le lettere sbiadite, quasi del tutto svanite, che io avevo letto in una stanza tanto simile a una cripta. Ho provato una strana sensazione.

Poi ho riportato gli occhi sul menù, colpito dall’abbondanza delle voci. Ho lasciato correre lo sguardo sulle scelte per la cena: Consommé Franklyn, Petites Pâtés à la Russe, Olive, Fichi in salamoia, Salmone à la Valoise, Filetto di manzo lardellato à la Condé.

Il mio stomaco ha lanciato un ruggito mostruoso. Filetto di manzo “lardellato?” Per quanto mi stessi abituando all’epoca, era una visione troppo pesante. Ho cercato di ingannare la mente passando ai dessert: Torta Meringata all’Arancia, Gâteau d’Anglais.

Ho alzato la testa udendo la voce di Elise. — Chiedo scusa? — ho detto.

— C’è qualcosa che le piace? — ha domandato lei.

Tu, ho pensato. “Mi piaci soltanto tu.” — Non ho troppa fame — ho risposto. “Cosa ci facciamo qui?” ho pensato. Avremmo dovuto essere soli da qualche altra parte. Elise ha riportato gli occhi sul menù, e io l’ho imitata. “Questa sarà, senza dubbio, la cena più lunga di tutta la mia vita” ho pensato.

Ho rialzato lo sguardo quando è arrivato il cameriere a prendere le nostre ordinazioni, e ho avuto il raro privilegio di ascoltare la signora McKenna ordinare cose come Finta zuppa di tartaruga au Xerxes, Canapé Rex, Pasticcio di animelle à la Montpellier, e altri piatti da rivoltare lo stomaco. Mentre lei parlava, mi è parso che attorno a me cominciasse a raccogliersi una nube di odori. Sul momento, ho creduto che si trattasse di un’evocazione verbale della signora. Adesso mi rendo conto che probabilmente anche il mio senso dell’olfatto era ipersensibile, per cui stavo ricevendo i fumi dei cibi e delle bevande dall’intera sala. Non è stato molto piacevole.

L’orchestra da camera sull’ammezzato ha concluso Il valzer dei sentieri fioriti e, senza il fardello degli applausi, si è lanciata nell’Isola dello champagne, dall’operetta di Chassalgne, o almeno così diceva il programma; io non potrei giurarci. Nel tentativo di evitare la sola idea del cibo, ho chiuso il menù e guardato il retro della copertina. LUOGHI INTERESSANTI NEI PRESSI DELL’HOTEL, ho letto, notando fra gli altri uno stabilimento balneare, un museo, e un allevamento di struzzi, “uno spettacolo suggestivo all’ora dei pasti degli animali”. “Anch’io devo essere uno spettacolo suggestivo all’ora dei pasti” ho pensato.

— Collier?

Ho guardato Robinson.

— Vuole ordinare? — ha detto lui.

— Solo un consommé con pane tostato — ho risposto.

— Mi sembra che lei non stia molto bene — mi ha informato lui. — Forse le converrebbe ritirarsi nella sua stanza.

“La mia stanza” ho pensato. “Già. Le farebbe molto comodo, signor Robinson.” Ho sorriso. — No, grazie. Sto benissimo. — “Ci risiamo” ho pensato. “No, grazie, sto benissimo…”

Robinson ha riportato l’attenzione sul cameriere, e il mio stomaco si è di nuovo trovato in stato d’assedio. Ho tentato di non sentirlo ordinare Ostriche à la Villeroi, Oca di Boston con salsa di mele, Tagliatelle alla piccante, Insalata all’italiana, e una bottiglia di birra chiara. Com’è evidente, ho udito ogni parola.

— Prima parlavo con Unitt — ha detto Robinson a Elise, quando il cameriere se n’è andato. Mi era sfuggito cos’avesse ordinato lei. — Ha discusso con questo Babcock e ha dovuto ammettere che un fuoco in scena sarebbe una brutta idea, considerata la struttura dell’hotel. Unitt sta cercando di combinare qualcosa con i macchinisti. L’effetto non sarà lo stesso di un vero fuoco, ma date le circostanze, penso che su questo punto dovremo dimostrarci disponibili.

Elise ha annuito. — Va bene.

— Siamo anche pronti a ripartire domani sera, appena il treno sarà carico — ha aggiunto Robinson, più per me che per lei, mi è parso.

“Lei” non “partirà” gli ha comunicato la mia mente; “partirai” tu. Ma mi era difficile avere fede in quella convinzione.

Stavo per rivolgermi a Elise quando Robinson mi ha chiesto, inaspettatamente: — Lei di cosa si occupa, Collier?

Era una domanda trabocchetto? Aveva già domandato informazioni alla signora McKenna? — Sono uno scrittore.

— Davvero? — Era ovvio che non mi credeva. — Giornalista?

— Scrivo opere teatrali — ho ribattuto.

Si è trattato della mia immaginazione, oppure nella sua voce c’è stato realmente un tono di rispetto, quando ha ripetuto: — Davvero? — È possibile. Se mai fosse riuscito ad attribuirmi qualche virtù, doveva essere nel campo del teatro.

Il rispetto è finito quando ha chiesto: — E qualcuna delle sue opere è stata rappresentata? Il suo nome mi è ignoto, anche se credo di conoscere tutti i maggiori drammaturghi. — Con una buona enfasi su “maggiori.”

Ho ricambiato in silenzio il suo sguardo irritante. Grazie a Dio, qualcosa mi ha dato la forza di soffocare la risposta che mi è venuta alle labbra: “Sì, in settembre Canale Sette ha trasmesso il film tratto da una mia sceneggiatura per la serie Movie of the Week. Lo avrai visto, no?” Ma non sarebbe stata una vittoria. Dopo un attimo di confusione, mi avrebbe giudicato pazzo. — Non a livello professionale — gli ho detto.

— No — ha commentato lui. Più che soddisfatto.

Ho guardato Elise. Desideravo farle una buona impressione, e sapevo che la mia risposta poteva solo deluderla, dato che il teatro era l’interesse principale della sua vita. Ma sarebbe stato molto peggio finire impigliato in una rete da cui non avrei più potuto uscire.

— E che tipo di opere scrive, signor Collier? — ha chiesto lei, nell’ovvio tentativo di ridurre il mio imbarazzo.

Prima che potessi rispondere, è intervenuto Robinson. — Drammi, secondo me. “Tragedie”. — Non ha nemmeno cercato di nascondere il sorriso ironico. Io mi sono sentito invadere dall’ira, ma l’ho soffocata ricorrendo a una meschina, indicibile punta di soddisfazione personale: quell’uomo non sarebbe stato così arrogante, se avesse saputo di essere destinato a morire sulla Lusitania.

— Dipende — ho detto a Elise. — A volte sono commedie, a volte drammi. — “Non chiedere di più” ho pensato. “Non ci saranno risposte.”

Lei non ha insistito; e io mi sono accorto, con enorme dispiacere, che il suo atteggiamento era simile a quello di Robinson, anche se non altrettanto duro: pensava che io fossi un autore dilettante, e non osavo fare qualcosa per convincerla del contrario.