Prima di svestirmi, avevo gettato sul letto i miei acquisti. Li ho recuperati, mi sono avvicinato al cassettone, ho estratto gli oggetti dal sacchetto a uno a uno, e li ho sistemati sul piano del mobile; poi sono andato alla finestra, attirato dal suono della risacca.
Di nuovo, mi ha colpito la vicinanza all’oceano dell’hotel. Le onde erano alte. Frangiate di schiuma bianca, si riversavano sulla spiaggia con un ruggito costante. Su una roccia frangiflutti ho visto un uomo; un ospite dell’hotel, probabilmente. Portava il cilindro e un lungo soprabito, e fumava un sigaro che passava in continuazione da un angolo all’altro delle labbra. Devo aggiungere che era di corporatura robusta? All’ancora nella baia, più avanti, c’era un’imbarcazione.
Ho puntato gli occhi sulla destra, verso la spiaggia dove Elise e io ci eravamo incontrati. L’ho fissata a lungo, pensando a lei. Cosa stava facendo? Stavano per iniziare le prove. Pensava a me? Ho avvertito un desiderio traditore di lei, e ho fatto ciò che potevo per soffocarlo. Dovevo sopravvivere a tre ore e mezzo. Non ci sarei mai riuscito, se mi fossi permesso di abbandonarmi al bisogno della sua presenza.
Ho trovato fogli di carta intestata nel cassetto più in alto e mi sono messo ad aggiornare il mio resoconto.
Adesso, sono seduto sul letto nella mia nuova biancheria intima (che non mi pare troppo seducente) e sfoglio l’“Union”. Leggo le notizie del giorno che ieri (il “mio” ieri) apparteneva a un passato remoto.
Al di là di questo stimolo, però, devo confessare che le notizie in sé non sono troppo eccitanti. I dettagli della vita quotidiana del 1896 sono desolatamente familiari. Per esempio, un titolo dice: UN PASTORE CONFESSA. AMMETTE DI AVERE TENTATO DI ASSASSINARE LA MOGLIE COL VELENO. Sottotitolo: L’infame condannato a sei anni di carcere. Un bell’esempio di giornalismo obiettivo.
Gli altri titoli indicano, nella stessa misura, che il 1896 e il 1971 possono essere lontani nel tempo, ma non nella prassi giornaliera. FINE DI UN POLITICO / La morte di un senatore di Denver a New York. UN TERRIBILE INCIDENTE / Crollo di una tribuna su cui si trovavano trenta persone. E il mio titolo preferito: MANGIATO DAI CANNIBALI.
C’è una breve notizia che trovo inquietante, se non raggelante. È molto succinta, e dice: “Krupp, il fabbricante prussiano di armi, dichiara un utile annuo di 1.700.000 dollari. Questo gli potrebbe comodamente permettere, in alcune nazioni, di ricorrere alla corruzione.”
Ma devo smettere di abbandonarmi a questo tipo di riflessioni, di indugiare sugli aspetti più cupi di quello che per me, adesso, è il futuro. Potrebbe essere pericoloso. Devo cercare di annullare tutto questo dalla mia mente. Così, di questo periodo non saprò più di quanto ne sappia chiunque altro. È l’unica risposta, ne sono certo. La prescienza sarebbe un tormento. Anche se (mi è venuta quest’idea) potrei “inventare” qualcosa e diventare incredibilmente ricco. La spilla di sicurezza, per esempio.
“No. Lascia perdere”. Non devo imporre la mia presenza alla storia più di quanto ho già fatto. “Metti via il giornale, Collier. Pensa a Elise”.
Devo ricordare una cosa: la mia vita, a questo punto, è estremamente semplificata. Tutte le complicazioni del mio “passato” sono scomparse. Ho un solo bisogno: conquistare Elise. Che altro potrei fare nei giorni che mi aspettano non fa nemmeno parte dei miei pensieri.
Con lei è diverso. La mia apparizione nella sua vita può averla turbata ma, a parte questo, è ancora presa dalla totalità della sua esistenza. Per ventinove anni, ha seguilo, anche sollecitata da altri, una certa rotta. Al momento, io posso essere una brezza momentanea, ma la corrente principale trascina ancora la sua nave, la forza dei venti della vita gonfia ancora le sue vele. Una similitudine orribile, ma accettiamola. Quello che sto cercando di dire è che i dettagli della sua esistenza non sono stati strappati via come è successo a me. Elise deve continuare a gestirli anche mentre cerca di affrontare me.
Quindi, non devo tormentarla con pressioni inutili.
Quando il fattorino mi ha riportato l’abito stirato, ho indossato calzoni e stivali, ho preso il completo da barba, lo spazzolino per i denti e il dentifricio, e sono andato nel bagno in corridoio.
Lì mi sono ridotto a brandelli sanguinolenti. Nonostante il desiderio di voltare le spalle al 1971, mi concedo un gemito: il mio regno per un rasoio elettrico!
A un certo punto del massacro, col sangue che colava da undici tagli, mentre il rasoio a mano libera stava facendo il suo lavoro sul dodicesimo, mi sono seriamente chiesto se sarei riuscito a concludere quel gioco al massacro prima di avere bisogno di una trasfusione. Se la presenza della barba sul mio viso non fosse stata tanto spiccata (sapevo che aveva dato fastidio a Elise, anche se lei è troppo beneducata per parlarne), avrei subito rinunciato.
Un’idea. Magari, col tempo, mi lascerò crescere la barba. Di sicuro è adatta a quest’epoca, e mi aiuterebbe a creare un’immagine diversa, ai miei occhi come a quelli degli altri.
In ogni caso, ho borbottato molte imprecazioni per non avere avuto l’accortezza di fare pratica del rasoio a mano libera. Non è una tecnica facile da apprendere, anche se sono certo di poterla imparare, se dovessi scoprire che Elise mi preferisce senza barba.
L’immagine nello specchio del mio viso tagliuzzato mi ha portato all’isterismo. Ho dovuto fermarmi, o avrei rischiato di tagliarmi la gola. Ho immaginato di raggiungere la stanza 527 e chiedere al misterioso cliente l’emostatico per le mie ferite. Visualizzare la sua reazione alla mia richiesta, e poi all’informazione che ero stato io a rovinare il suo rasoio usandolo sulla porta, ha reso ancora più convulsa e spasmodica la mia risata. Probabilmente è stato uno sfogo liberatorio; però era un suicidio, per non dire peggio, restarmene lì con quell’arma micidiale che sussultava nella mia mano. Quando sono riuscito a calmare il riso e a concludere gli sforzi di rasatura, sul mio volto fatto a pezzi scorrevano rivoli di sangue. Li ho lavati via.
Quando sono uscito, un uomo aspettava in corridoio; avevo dimenticato che il bagno non era privato. Probabilmente era di cattivo umore per aver dovuto attendere tanto. E probabilmente mi aveva anche sentito ridere, perché mi ha scrutato come il guardiano di uno zoo potrebbe scrutare un esemplare molto disgustoso. Sono riuscito a restare serio, ma appena l’ho superato mi è sfuggito un sogghigno e ho dovuto correre a rifugiarmi in camera, senza dubbio seguito dal suo sguardo d’odio.
Nella stanza, ho indossato la camicia nuova, ho rimesso la cravatta, pulito gli stivali con la camicia sporca, e mi sono sistemato i capelli; è stato notevolmente più facile col pettine. Mi sono guardato nello specchio. “Non troppo attraente, R.C.”, ho pensato, studiando le crosticine di sangue che mi segnavano il volto come catene montuose su una carta geografica. — L’ho fatto per te, Elise — ho detto a quella faccia disastrata, e la faccia mi ha sorriso, da buon idiota malato d’amore.
Non sapevo che ore fossero quando ho lasciato la camera, ma ero sicurissimo che mancasse parecchio all’una. Probabilmente non era nemmeno mezzogiorno. Ho raggiunto la porta che dà sull’esterno e sono uscito in veranda.
Sono rimasto lì a lungo, a guardare la folta vegetazione del cortile aperto sotto me, sforzandomi con tutto me stesso di lasciarmi penetrare e avvincere dall’atmosfera del 1896. Mi sto convincendo sempre più che il segreto del successo di un viaggio nel tempo, il prezzo da pagare, sia la perdita della propria identità temporale. Intendo dimenticare, al più presto possibile, ogni conoscenza su “quell’altro anno”.