— Lo spero anch’io, signor Collier — ha detto lei.
— Stamattina, dopo che ci siamo lasciati, ho pensato a noi.
— Davvero? — Il suo tono non era più tanto allegro; sfiorava quasi il nervosismo.
— E mi sono reso conto di essere stato molto sconsiderato.
— Perché?
— Aspettarmi che il mio interesse potesse costringerla a…
— No.
— Mi lasci dire — ho insistito. — Non è poi così terribile.
Lei mi ha scrutato preoccupata, ha sospirato. — Va bene.
— Voglio solo dirle questo. So che le occorre tempo per abituarsi all’idea che io entri a fare parte della sua vita, e intendo darle tutto il tempo che le serve. — Ho intuito che la frase era troppo arrogante, e ho aggiunto con un sorriso: — Purché lei si renda conto che da questo momento in poi io “faccio” parte della sua vita.
Una battuta del tutto fuori luogo. Elise è tornata a scrutare l’oceano, ancora una volta con espressione angosciata. “Buon Dio, ma perché continuo a dire le cose sbagliate?” mi sono chiesto. — Non voglio metterla sotto pressione — ho detto. — Se lo faccio, mi scusi.
— Mi lasci riflettere, per favore — ha risposto lei. Non era né un ordine, né una richiesta; una via di mezzo.
L’atmosfera non è stata rasserenata dal passaggio di due uomini che discutevano dell’aspetto abominevole della spiaggia. Da loro, ho appreso che si trattava “davvero” di spazzatura. Le chiatte dell’hotel per l’eliminazione dei rifiuti, spesso e volentieri, non superavano quello che i due hanno definito “punto di zavorra”. Quindi, tutti i “detriti rovesciati in mare” tornavano indietro a “infestare la spiaggia”.
Ho guardato bruscamente Elise. — Deve ripartire stasera?
— Ci aspettano a Denver per il ventitré — ha detto lei. Non era esattamente una risposta, mi è parso, ma avrei dovuto accontentarmi di quello.
Ho teso la mano, ho afferrato la sua, e l’ho stretta forte. — Chiedo di nuovo perdono. Non ho ancora finito di dire che non voglio metterla sotto pressione, e poi lo faccio subito. — Con una nuova fitta di inquietudine, mi è venuto in mente che la frase “mettere sotto pressione” poteva anche esserle sconosciuta.
Il mio nervosismo è aumentato quando siamo ripartiti in direzione dell’hotel. Avrei voluto dire qualcosa che ricreasse la stessa atmosfera di quando passeggiavamo in silenzio, ma non ho saputo escogitare nulla che non rischiasse di peggiorare ulteriormente la situazione.
Ci ha superati una coppia. L’uomo portava una lunga finanziera nera e un cappello a cilindro; aveva un bastone da passeggio in mano, e un sigaro fra le labbra. La donna indossava un abito blu e un cappellino della stessa tinta. Ci hanno sorriso. L’uomo ha sfiorato il cappello con le dita e ha detto: — Attendiamo questa serata con molta ansia, signorina McKenna.
— Grazie — ha risposto Elise. E io mi sono sentito ancora peggio, nel vedermi ricordare di nuovo che avevo deciso di innamorarmi niente di meno che di una “famosa attrice americana”.
Ho frugato disperatamente nel cervello, in cerca di qualcosa che potesse alleviare la sensazione di un baratro sempre più ampio fra noi due. — Le piace la musica classica? — ho chiesto. Lei ha risposto di sì, e io ho aggiunto all’istante: — Anche a me. I miei compositori preferiti sono Grieg, Debussy, Chopin, Brahms, e Tchaikovsky.
“Errore”. Dal modo in cui mi ha guardato, ho capito di avere perso molto più di ciò che avevo vinto. Le avevo dato l’impressione di un corteggiatore ben informato, non di un vero amante della musica. — Comunque, il mio compositore preferito in assoluto è Mahler — ho aggiunto.
Dapprima, non ho recepito la sua risposta. L’ho fissata per lunghi attimi, prima che la mente mi informasse che lei aveva chiesto: — Chi?
La confusione più totale. Il libro diceva che Mahler era il suo autore preferito. — Non conosce la sua opera?
— Non l’ho mai sentito nominare — ha risposto Elise.
Il senso di disorientamento stava tornando. Com’era possibile che non conoscesse nemmeno il nome di Mahler quando il libro affermava che era il suo compositore preferito? Una confusione immensa mi ha stretto nella sua morsa finché non mi è venuta l’idea che sarò io, forse, a farle conoscere la musica di Mahler. Se era vero, significava che avremmo trascorso altro tempo assieme? Oppure era bastato quel minimo accenno a far entrare nella sua vita la musica di Mahler?
Ero in preda al conflitto di queste prospettive quando Elise si è girata verso me e ha sorriso: non certo un sorriso d’amore, ma mi è parso ugualmente prezioso. — Mi scusi se le ho dato l’impressione di essermi estraniata — ha detto. — È solo che sono così confusa. Tirata contemporaneamente in due direzioni diverse. Le circostanze del nostro incontro, e tutto ciò che c’è in lei che ancora non riesco a comprendere ma nemmeno a respingere, mi tirano in una direzione. La mia… La mia sospettosità nei confronti degli uomini mi tira nell’altra.
“Devo essere onesta con lei, Richard. Ormai da molti anni sono abituata ad affrontare gli approcci maschili. Senza la minima difficoltà, devo aggiungere. Con lei…” Il suo sorriso era esangue. “È talmente difficile che non mi sembra più di essere la stessa persona che sono sempre stata.” Dopo una lieve esitazione, ha continuato: “Lei sa benissimo, mi è chiaro, che le donne sono allevate in maniera da sentirsi inferiori per ciò che concerne i risultati concreti.”
Sono rimasto a bocca aperta. Non solo un non sequitur, ma anche una dichiarazione da movimento di liberazione femminile, nel 1896?
— Di conseguenza — ha ripreso Elise — le donne sono costrette a uno stato di soggettività. Devono rendere l’io più importante di quanto dovrebbe essere, coltivare l’aspetto esteriore, la vanità, più che la mente e le proprie capacità.
“Il successo teatrale mi ha risparmiato questa sorte, ma al prezzo di una basilare rispettabilità. Nel teatro, gli uomini non si fidano delle donne. Ogni nostro risultato positivo mette in pericolo il loro mondo. Anche quando ci lodano per questi risultati, usano il linguaggio del maschio che si degna di accettare la donna. I recensori parlano sempre delle attrici in termini di fascino o bellezza, mai della capacità di delineare un personaggio. Naturalmente, a meno che l’attrice non sia tanto vecchia da non lasciare al critico nient’altro di cui parlare.”
Ascoltandola, due sentimenti si sono risvegliati in me. Uno era la consapevolezza della radicale verità di ciò che lei diceva. L’altro era qualcosa di simile allo stupore, nel trovarmi all’improvviso di fronte alla profondità della donna di cui mi ero innamorato. Logicamente, non potevo vedere questa profondità in una fotografia sbiadita dal tempo, ma Elise possiede il tratto che più ammiro in una donna: un’individualità libertaria racchiusa in una natura discreta. Ero affascinato.
— Come tutte le attrici, mi trovo imprigionata dalla richiesta maschile di rappresentare sul palcoscenico solo qualità femminili accettabili. Ho interpretato Giulietta, ma è una parte che non mi piace perché non mi permettono mai di raffigurarla come un essere umano straziato dal dolore. No, deve essere solo una graziosa soubrette che si lancia in discorsi fioriti.
“Quello che sto cercando di dire è che a causa della mia generica condizione di donna, e di attrice in particolare, ho sviluppato negli anni una rete di difese emotive contro gli atteggiamenti maschili. Il successo economico ha solo irrobustito questa rete, aggiungendo un ulteriore strato di sospettosità davanti a ogni approccio maschile. Quindi, la prego, la prego, cerchi di capire. Il fatto che io sia rimasta con lei tanto a lungo è, alla luce delle mie azioni passate, un miracolo di metamorfosi. E il fatto che le abbia detto queste cose va al di là del miracoloso.”