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Dove attimi prima vi era la stanza, si udì un’esplosione assordante, che scaraventò dappertutto pietre, e tra esse, un mago, che venne lanciato attraverso il cortile come un fantoccio. Stava ancora agitandosi debolmente per fare un inutile incantesimo quando il suo corpo si schiantò contro un’altra torre. Il volto di un servo, che guardava inorridito e nel contempo affascinato fuori da una finestra, venne raggiunto da schizzi di sangue, e ciò che rimaneva del mago scivolò lungo il muro di pietra… e poi scomparve in un piccolo ammasso di luci ammiccanti quando il suo incantesimo fece effetto. Troppo tardi.

Le pietre stavano ancora cadendo dalle mura della torre distrutta quando lo stesso cortile tremò e vacillò. Grate, lastricati, e polvere, si innalzarono improvvisamente, trasportati da improvvisi geyser di luce magica, quando qualcosa esplose nelle profondità dei sotterranei del castello.

Ciò che rimaneva della torre di Ithboltar vacillò, si accasciò di lato, e crollò in completa rovina. Qua e là nel cortile si svilupparono fiamme. Le guardie di Athalantar fuggirono freneticamente tra fumo e polvere, agitando invano le loro alabarde come se fendere l’aria contribuisse a sconfiggere qualche nemico invisibile e a risistemare le cose. Da qualche parte si levò un grido rauco, che proseguì a lungo, in mezzo a nuovi rimbombi.

«Vieni», esclamò Myrjala, prendendo Elminster per mano e salendo sul parapetto del balcone. Elminster la seguì, e la donna avanzò tranquillamente nell’aria. Mano nella mano, scivolarono lentamente sopra il tumulto. Athalgard brulicava di soldati urlanti, in fuga. I due maghi si trovavano ancora pochi centimetri sopra il lastricato quando una banda di soldati sbucò di corsa da dietro un angolo, e proseguì verso di loro.

Il capitano vide i maghi sulla sua strada e rallentò, allargando le mani per segnalare ai suoi uomini di fermarsi. «Che cosa succede?» sbraitò.

Elminster alzò le spalle. «Credo che Ithboltar abbia sbagliato qualche parola di un incantesimo».

L’ufficiale guardò i due, poi la torre distrutta, e socchiuse gli occhi. «Non vi conosco!», esclamò bruscamente. «Chi siete

El sorrise. «Io sono Elminster Aumar, Principe di Athalantar, figlio di Elthryn».

Il capitano rimase a bocca aperta. Poi con sforzo visibile deglutì e domandò: «Siete stati voi a causare tutto ciò?»

Il principe guardò le rovine con un sorriso compiaciuto, poi sollevò lo sguardo alle alabarde che gli bloccavano la strada ed esclamò: «E se fosse così?»

Poi sollevò una mano. Accanto a lui, Myrjala aveva già fatto altrettanto. Piccole luci vorticarono e scintillarono nelle sue mani a coppa.

I soldati gridarono di paura… e un istante più tardi erano già in fuga. Avevano lasciato cadere le alabarde e, tra uno scivolone e l’altro, riuscirono a voltare l’angolo dal quale erano sbucati.

«Potete andare», esclamò grandiosamente la maga nel cortile improvvisamente vuoto. Poi si mise a ridere, subito seguita da Elminster.

«Non possiamo resistere ancora per molto!», gridò disperatamente Anauviir a Helm, mentre un rivolo di sangue, fuoriuscente da una ferita d’ascia che gli aveva aperto l’elmo in due, gli gocciolava negli occhi.

«Dimmi qualcosa che già non so!», gli urlò in risposta il vecchio cavaliere.

Accanto a lui, un Darrigo Trumpettower dal viso paonazzo respirava affannosamente, mentre agitava una pesante spada che aveva rubato dalla mano di un morto. Il vecchio stava proteggendo Helm Spadadipietra con il suo tremolante braccio destro e con la sua vita, un prezzo, a quanto pareva, che avrebbe presto pagato.

I cavalieri sopravvissuti erano radunati sui ciottoli scivolosi e imbrattati di sangue del cortile esterno di Athalgard. I soldati li stavano attaccando da tutte le parti, e continuavano a uscirne di nuovi dalle torri di guardia e dalle baracche. Pochi vecchi in armature sconnesse non avrebbero potuto resistere a lungo contro un tale numero di guardie.

«Resistete!», ruggì Helm al di sopra di tutto il baccano. «Anche se cadiamo, ogni soldato che portiamo con noi sarà uno in meno che spadroneggerà nel regno! Combattete e morite in gloria, per Athalantar!»

Una Prima Spada evase la guardia di Darrigo, e gli squarciò una guancia con la punta della spada. Helm si lanciò in avanti e trafisse l’uomo, fino a toccargli la colonna vertebrale e la corazza retrostante. Lasciò la sua spada dove si trovava e afferrò quella della guardia, prima che le sue mani la lasciassero cadere. «Dove sei, Principe?», mormorò mentre uccideva un altro soldato. Sì, i cavalieri di Athalantar non avrebbero resistito ancora per molto…

Re Belaur era solito cenare quando la gente comune faceva colazione: pesce fresco immerso nella panna, carne di daino e di lepre cotti in vino speziato. Quando si sentiva sazio da scoppiare, si ritirava nelle stanze reali per smaltire il tutto con un buon sonno. Ora si era svegliato; si stiracchiò e si recò nudo nella camera da letto più grande e meno privata. Belaur si aspettava di trovarvi vino di menta fresco e un intrattenimento più caldo e più… vivo.

Quel giorno, risvegliandosi da uno strano sogno di terremoti e crolli, le sue aspettative non rimasero deluse. Infatti, fu lieto di vedere due donne che lo attendevano sull’enorme letto decorato. Una di esse era la donna che un tempo guidava la banda dei Moonclaw. Isparla «La Sinuosa» scintillò, languida e pericolosa in mezzo ai cuscini. Sorridente nel suo collare e nella sua gonnellina di gioielli, sembrava un gatto tempestato di diamanti, e tremante accanto a lei era distesa la ragazza che aveva notato la sera precedente fuori da una bottega del centro città.

Svestita, la nuova arrivata era ancora più incantevole di quanto avesse sperato. Indossava soltanto le catene magiche che i maghi usavano per ammansire i prigionieri più insolenti, e per l’occasione qualcuno aveva lucidato gli anelli e le fasce dei polsi, delle caviglie e della gola, cosicché luccicavano quanto i gioielli di Isparla.

Belaur la guardò con un ghigno crudele, afferrò bruscamente un calice e la caraffa dalla fila scintillante di cristalli disposta su uno scaffale accanto, ed espresse la sua approvazione con un ringhio lungo e tonante mentre raggiungeva il letto. Come un leone che fa le fusa si abbassò fra loro, tracannando pigramente il suo vino, e si domandò a quale dei due piaceri abbandonarsi per primo. Il nuovo tesoro… oppure tenerla per dopo, e godere dapprima delle delizie più familiari?

Isparla emise un mormorio profondo e gutturale, e si strusciò contro di lui. Il re diede un’occhiata a Shandathe, preoccupata e immobile nelle sue catene, poi sorrise e le volse le spalle. Appoggiò una mano crudele su un filo di gioielli, e tirò. La Sinuosa sibilò di dolore quando le pietre le si insinuarono nella carne e venne trascinata contro di lui. Belaur avvicinò la bocca a quella della donna, con l’intenzione di morderla. Si ricordava ancora il sapore del suo sangue caldo e salato…

Vi fu un bagliore improvviso e un sibilo, e Belaur alzò lo sguardo, perplesso, per trovarsi di fronte un viso accigliato quanto il suo. Il Mago Reale di Athalantar era in piedi accanto al suo letto. Belaur guardò brevemente la porta, ancora sbarrata, e poi di nuovo il padrone dei signori maghi, prima di ruggire: «A che costa stai giocando ora, mago?»

«Siamo sotto assedio», ringhiò Undarl. «Muoviti! Alzati ed esci di qui, se non vuoi morire!»

«Chi osa…

«Avremo tempo di far loro questa domanda più tardi. Ora muoviti, altrimenti ti faccio saltare la testa dalle spalle… ho bisogno solo della corona!»