«Hai intenzione di vivere qui tutto il tempo necessario per ricostruire una nuova casa?» domandò Michelle.
«Non ho molta scelta.»
«Il mio cottage ha una camera da letto in più.»
«Grazie, ma non credo che il mio gene della pulizia sopravvivrebbe.»
«L’ho sistemata meglio.»
«Meglio?! L’ultima volta che sono venuto da te c’era di tutto, dagli sci d’acqua alle pistole, ammassato su un tavolino da poker in sala da pranzo, un mucchio di biancheria sporca nel lavello della cucina e una pila di piatti lerci su una sedia in soggiorno. Mi hai servito la cena su dei piatti di carta sopra un’asse posta tra due sedie accostate… era la prima volta per me, te lo assicuro.»
«Be’» disse Michelle in tono offeso «pensavo che avresti apprezzato che cucinavo per te. Sai quanti barattoli ho dovuto aprire?»
«Sono sicuro che è stato un vero cimento.»
King stava per aggiungere qualcos’altro quando il suo cellulare trillò. Era Todd Williams. La conversazione fu breve e concisa, ma quando King spense il telefonino, era molto scosso.
«Un altro omicidio?» chiese Michelle posando la tazza di caffè e guardandolo dritto negli occhi.
«Sì.»
«Chi era?»
«Una persona che per caso conoscevo» rispose.
24
Il brutale assassinio di Diane Hinson non era stato accolto per niente bene nel suo residence di lusso, cintato, sorvegliato e apparentemente sicuro. Quando Michelle e King arrivarono, una piccola folla vociferante di persone irate aveva circondato un manipolo di uomini in giacca e cravatta che rappresentavano la direzione del vasto complesso residenziale. Nel bel mezzo dell’assedio c’era anche un’anziana guardia giurata, talmente sconvolta da apparire sul punto di scoppiare a piangere.
Volanti della polizia e altri veicoli di emergenza erano posteggiati in fila nella strada a fondo chiuso che conduceva all’abitazione di Diane Hinson, e un nastro giallo era stato teso da un lato all’altro di un fazzoletto di prato davanti alla casa. Non che fossero molte le persone disposte a rispettare il segnale. Agenti in uniforme andavano e venivano ininterrottamente dalla porta d’ingresso al garage. King si fermò, e lui e Michelle scesero dall’auto.
Il capo Williams fece loro segno dal portico anteriore. I due si affrettarono a raggiungerlo, poi tutti e tre entrarono in casa.
Se possibile, Todd Williams aveva un’aria ancora più miserabile di quella che aveva all’obitorio. La forza di gravità sembrava incollare l’uomo di legge direttamente a terra. «Dannazione» fu il suo commento. «Cosa ho fatto per meritarmi tutto questo, non lo so.»
«La Hinson è stata identificata con sicurezza?» domandò King.
«Sì, è lei. Perché, la conoscevi?»
«È una piccola città, e siamo entrambi avvocati.»
«La conoscevi bene?»
«Non abbastanza da essere in qualche modo d’aiuto alle indagini. Chi l’ha trovata?»
«La aspettavano in ufficio stamattina presto, per preparare una deposizione o qualcosa del genere. Quando non si è fatta vedere, i suoi colleghi dello studio legale l’hanno chiamata sul telefono di casa e sul cellulare. Non ha risposto. Così hanno mandato qualcuno a casa. La sua automobile era in garage, e lei non ha aperto la porta. Si sono preoccupati e hanno chiamato la polizia.» Williams scosse il capo. «È lo stesso che ha fatto fuori Tyler, Pembroke e Canney, non ci sono dubbi.»
Michelle approfittò del tono confidenziale nella voce del capo. «Avete ricevuto una lettera sui ragazzi del liceo?»
Williams annuì, levò di tasca un foglio di carta ripiegato in quattro e glielo porse. «È una fotocopia. Al dannato giornale l’hanno lasciata a prendere polvere su una scrivania perché era indirizzata a Virgil e lui era fuori città. A quanto pare, non una sola persona ha pensato di aprirla. E hanno il coraggio di definirsi giornalisti! Col culo!»
«Era in codice come la prima?» domandò King.
«No, è così come l’abbiamo ricevuta. E sulla busta non c’era alcun simbolo.»
King disse: «Allora la teoria dello Zodiac va a farsi friggere». Lanciò un’occhiata a Michelle. «Cosa dice?»
Michelle esaminò la lettera e cominciò a leggere.
Okay, un’altra vittima, e altre a seguire. Ve l’avevo detto la prima volta che non ero lo Z. Ma probabilmente state pensando che quella creatura abbia morso la polvere per mano dello Z. Ripensateci. Ho lasciato sul posto il collare per cani perché non è stato il cane a farmelo fare. Non ce l’ho nemmeno un cane. Ho voluto fax tutto da solo. E no, non sono nemmeno lui. Alla prossima, e non passerà molto. Niente SOS.
Michelle guardò King con espressione sconcertata.
«Un collare per cani? E “non è stato il cane a farmelo fare”?»
«Stai dimostrando la tua età o la mancanza d’esperienza, Michelle» replicò King. «SOS e il cane che te lo fanno fare. SOS sta per “Son of Sam”, David Berkowitz, il killer di New York City degli anni Settanta. Era soprannominato il “killer del vicolo degli innamorati” perché alcune delle sue vittime erano giovani coppiette che si appartavano nella loro auto.»
«Il vicolo degli innamorati, come nel caso di Canney e Pembroke» disse Michelle.
Williams annuì. «E Berkowitz affermava che il suo alter ego era una specie di demone che gli comunicava l’ordine di uccidere attraverso il suo cane. Un mucchio di stronzate, naturalmente.»
King disse: «Ma il nostro uomo sa esattamente quello che sta facendo. Lo ha detto lui stesso».
Michelle intervenne. «Però non capisco. Perché commettere degli omicidi in stili simili a quelli di serial killer del passato come farebbe un imitatore, e poi scrivere lettere per chiarire che non sei nessuno di loro? Voglio dire, l’imitazione è la forma più sincera di adulazione, giusto?»
«E chi lo sa?» disse Williams. «Resta il fatto che ha ucciso quei due ragazzi.»
King fissò il capo e poi guardò di nuovo la lettera. «Aspettate un momento! Non dice così. Dice “un’altra vittima’’.»
«Non spaccare il capello in quattro con uno psicopatico su questioni grammaticali» protestò Williams. «Li ha considerati insieme, e basta.»
«Guardate di nuovo la lettera; ricorre anche al singolare: dice “creatura”, non “creature”.»
Williams si grattò la guancia. «Be’, forse ha solo sbagliato e sì è dimenticato di usare il plurale. Potrebbe essere andata semplicemente così.»
«E se invece lo avesse fatto apposta, di quale dei due parlava?» domandò Michelle.
Williams emise un profondo sospiro e poi indicò la scala interna. «Be’, venite su a vedere. Non credo che chiarirà nulla, però. E stavolta non mi serve nessuna dannata lettera che mi dica che non sta cercando di impersonare qualcuno.»
Salirono la scala che portava al piano superiore ed entrarono in camera da letto. Diane Hinson era rimasta esattamente dove era stata uccisa. Nella stanza c’era un turbine d’attività: tecnici specializzati in rilevamenti, agenti di polizia, uomini con il giubbino dell’FBI e investigatori della Squadra Omicidi della polizia di Stato della Virginia si davano alacremente da fare per conservare intatta la scena del crimine e assorbire da essa ogni preziosa briciola di informazione. Tuttavia, anche se i loro sguardi rimanevano impassibili, a quanto pareva era difficilissimo che emergessero indizi utili.
King osservò Sylvia Diaz in un angolo della stanza, intenta a confabulare con un tipo muscoloso e massiccio che indossava un completo di una taglia decisamente inadeguata alla sua mole. Sylvia alzò gli occhi, lo vide, gli riservò un sorriso mesto e poi si voltò. Quando King posò finalmente lo sguardo sul simbolo tracciato sul muro, trasalì.