Voleva andarsene. Meglio ancora, voleva sparire, allontanarsi perfino da se stesso.
Ma non in quel momento, a dir la verità. C’era un nuovo strano enigma di cui lui solo era al corrente, e che soltanto lui poteva risolvere. Il suo terminale si stava comportanto in modo misteriosamente assurdo.
Aveva cominciato ad accorgersene una settimana dopo essersi ripreso dalla paralisi totale. Stava cercando di richiamare sul video le registrazioni pubbliche di Ouanda, e ad un tratto, senza aver fatto nulla di speciale, il computer gli aveva dato accesso all’archivio privato della ragazza. Erano registrazioni protette da diversi blocchi, e lui non ne aveva mai conosciuto i codici-chiave, eppure una semplice ricerca di routine gli aveva fatto comparire davanti quelle note. Erano le teorie di Ouanda sull’evoluzione dei maiali, e sui probabili aspetti culturali della loro società prima della Descolada. Il genere di cose su cui fino a due settimane prima lei avrebbe parlato con Miro, vivacemente, per metterle alla prova con le obiezioni di lui. Ora la ragazza le teneva segrete, e con lui non ne accennava neppure.
Miro s’era ben guardato dal dirle che aveva letto quelle note, e nel parlare con lei si teneva su argomenti molto diversi. Ouanda chiacchierava volentieri con lui, a patto di non sentirgli uscire di bocca osservazioni personali, e poiché Miro era orgoglioso parlava esclusivamente di lavoro. Talvolta il sorriso di lei gli dava l’impressione d’essere tornato ai vecchi tempi. Ma poi sentiva il suono incerto e confuso della propria voce, che costringeva la ragazza a fargli ripetere spesso un’intera frase, e allora si rassegnava a tenere le sue opinioni per sé, limitandosi ad ascoltarla, lasciando passar via le cose su cui avrebbe voluto interromperla e far commenti. Tuttavia leggere il suo archivio segreto lo aiutava a capire ciò che la interessava di più.
Ma com’era riuscito ad averlo in visione?
Questo non era successo soltanto con lei: lo schermo gli aveva dato accesso anche agli archivi confidenziali di Ela, di sua madre, e di Dom Cristão. Mentre i maiali cominciavano a giocare con il loro nuovo terminale, Miro aveva seguito ogni loro operazione con un sistema-eco che credeva fosse impossibile con quell’apparecchiatura; questo lo aveva messo in grado di esaminare le loro richieste di vario genere, e di intervenire quando sbagliavano, dando loro gli opportuni suggerimenti. Vedere ciò che li interessava e che tentavano di fare lo aveva deliziato, e aiutarli di nascosto era molto divertente. Ma perché il computer gli stava dando quell’inusitato e incredibile potere d’accesso?
Inoltre, il terminale stava imparando ad adattarsi a lui. Invece di battere lunghe e faticose sequenze, gli bastava cominciarne una e il computer ubbidiva alle sue istruzioni. E dopo qualche giorno non aveva avuto neppure bisogno di far questo: gli bastava sfiorare un tasto, lo schermo gli mandava all’istante una lista delle attività che solitamente lo interessavano, e lo scanner scivolava dall’una all’altra. Lui toccava un altro tasto, e lo schermo, o il campo olografico, gli mandava tutte le immagini e le note che voleva, saltando dozzine di preliminari e risparmiandogli molti penosi minuti in cui avrebbe dovuto battere sulla tastiera un carattere alla volta.
Dapprima aveva pensato che Olhado, o qualcuno nell’ufficio del sindaco, avesse creato questo nuovo programma apposta per lui. Ma Olhado, sbattendo le palpebre stupito davanti a ciò che il terminale stava facendo, aveva esclamato: — Ehi, bacãna! — Questo è grande! E quando Miro decise di mandare un cauto messaggio a Bosquinha, per indagare su quel mistero, il sindaco non lo ricevette neppure. Invece, a fargli visita venne l’Araldo dei Defunti.
— Così, il tuo terminale ti è di grande aiuto — disse Ender.
Miro non rispose. Stava cercando di capire perché Bosquinha avesse mandato l’Araldo a rispondere alla sua richiesta.
— Il sindaco non ha avuto il tuo messaggio — rivelò Ender. — L’ho ricevuto io. Ed è meglio che tu non faccia parola con nessuno di quello che il tuo terminale sta facendo.
— Perché? — chiese Miro. Quella era una delle poche parole che riusciva a dire senza farfugliare troppo.
— Perché chi ti sta aiutando non è un nuovo programma. È una persona.
Miro rise. Nessun essere umano poteva essere veloce come il programma che s’era messo al suo servizio. La sua velocità era, in effetti, superiore a quella di qualsiasi programma si fosse servito in precedenza, ma soprattutto era più ingegnoso e intuitivo. Più veloce di un uomo, ma più intelligente di un programma di computer.
— È una mia vecchia amica, credo. O almeno, è stata lei a parlarmi del tuo messaggio al sindaco, e mi ha suggerito di farti capire che dovresti essere più discreto. Vedi, lei è un po’ timida. Non si è fatta molti amici, finora.
— Quanti ne ha?
— Al momento attuale, esattamente due. Nei tremila anni precedenti ad oggi, esattamente uno.
— Non è umana? — ipotizzò Miro.
— Raman — disse Ender. — Più umana di molti umani. Per molto tempo ci siamo voluti bene, aiutandoci a vicenda, dipendendo l’uno dall’altra. Ma nelle ultime settimane, dal mio arrivo qui, ci siamo un po’ allontanati. Io sono… più coinvolto nella vita di alcune persone che mi stanno intorno fisicamente. La tua famiglia.
— Mamma — annuì Miro.
— Sì. Tua madre, i tuoi fratelli, le tue sorelle, il lavoro con i maiali e quello con la Regina dell’Alveare. La mia amica ed io eravamo soliti parlarci continuamente. Adesso non ne ho più il tempo. Qualche volta abbiamo un po’ urtato i reciproci sentimenti, senza volerlo. Lei può sentirsi sola, capisci, e perciò penso che si sia trovata un altro amico.
— Não quero — borbottò lui. Non ne ho bisogno.
— Sì, ne hai bisogno — disse Ender. — Lei ti sta già aiutando. Ora che sai della sua esistenza, scoprirai che lei è… un’amica sincera. Non potresti trovarne una migliore. Né più leale, o più utile.
— Un cagnolino fedele?
— Non fare il somaro — lo ammonì Ender. — Io ti sto presentando a una quarta specie senziente. Si suppone che tu sia uno xenologo, no? Lei ti conosce, Miro. I tuoi problemi fisici non contano niente per lei. È una creatura priva di corpo. Lei esiste, in qualche modo, sovrapposta alla rete di comunicazioni filotiche che collegano via ansible i Cento Mondi. È la più intelligente creatura vivente in questa parte dell’universo, e tu sei il secondo essere umano a cui abbia mai deciso di rivelarsi.
— Perché? Com’è potuta nascere? Come mi ha conosciuto? Perché mi ha scelto?
— Domandaglielo tu stesso. — Ender toccò il gioiello che aveva all’orecchio. — Solo, una parola d’avvertimento: se lei porrà la sua fiducia in te, portala sempre con te. Non avere mai segreti con lei. Una volta, un suo amico molto amato la… tagliò fuori. Soltanto per un’ora. Ma le cose non furono più le stesse, dopo. Loro diventarono… soltanto amici. Buoni amici, leali fino alla morte di lui. Ma finché vivrà lui rimpiangerà quell’inconsulto atto di slealtà.
Gli occhi di Ender erano umidi, e Miro seppe che chiunque fosse quella creatura che viveva nei computer non era un fantasma, era parte della vita di quell’uomo. E adesso lasciava in eredità a lui, come un padre a un figlio, il diritto di conoscerla.
Ender se ne andò senza dir altro, e Miro, dopo essersi morso le labbra per qualche momento, si volse dalla parte del terminal. E là, nel campo olografico, c’era la figura tridimensionale di una ragazza. Miro ebbe un sussulto. Snella e delicata, la sconosciuta sedeva su uno sgabello, con le spalle poggiate a un muro olografico. Non poteva dirsi bella, ma certo neppure sgradevole d’aspetto. Il suo volto aveva carattere. Lo stava osservando con occhi un po’ fantomatici, innocenti, tristi. La piega della bocca era a metà fra il sorriso e il pianto. Indossava un abito velato e semitrasparente che tuttavia, invece di risultare provocante, accentuava la sua innocenza come la posa fanciullesca del suo corpo, le mani in grembo e le scarpe con le punte leggermente girate all’interno. Avrebbe potuto star seduta così sull’altalena di un parco-giochi come sul bordo del letto del suo amante.