Da lì a poco entrò l’Arbitro, che andò a poggiare una mano su una spalla del giovane. — Tu verrai da noi, naturalmente — disse l’uomo. — Per stanotte, almeno.
Perché in casa tua, Arbitro? pensò Novinha. Tu non sei nessuno per noi. Non abbiamo mai portato un caso davanti a te. Chi sei tu per decidere questo? La morte di Pipo significa che siamo diventati due bambini incapaci di prendere qualche iniziativa?
— Devo stare accanto a mia madre — mormorò Libo.
L’Arbitro si mostrò sorpreso, quasi che la semplice idea di un bambino capace di autodecisione esulasse da ogni sua passata esperienza. Novinha capiva che quella era soltanto una serie di false impressioni. Sua figlia Cleopatra, di alcuni anni più giovane di lei, ce l’aveva messa tutta per meritarsi il soprannome con cui la chiamavano i ragazzi: Bruxinha, piccola strega. Perciò l’uomo non poteva non sapere che i giovani avevano fin troppa iniziativa, in specie quando si trattava di contariare gli adulti.
Ma la sorpresa di lui si rivelò volta a un argomento imprevisto da Novinha. — Credevo tu sapessi che tua madre starà da noi per un po’ di tempo — disse l’Arbitro. — La disgrazia l’ha comprensibilmente sconvolta, e non è in grado di occuparsi delle faccende domestiche, né di restare in una casa che le ricorda ancora troppo dolorosamente l’assenza di chi ormai non è più. È già da noi, con i tuoi fratelli e le tue sorelle, e avranno bisogno di te. C’è anche tuo fratello maggiore, João, ma lui ha una moglie e un figlio a cui pensare, perciò le responsabilità familiari ricadranno sulle tue spalle.
Libo annuì gravemente. L’Arbitro non aveva inteso prenderlo sotto la sua protezione, gli stava chiedendo di diventare anche lui un capofamiglia.
L’uomo si volse a Novinha. — Penso che tu faresti meglio a tornare a casa, adesso — le disse.
Soltanto allora lei si rese conto che non l’aveva inclusa nel suo invito. E perché avrebbe dovuto? Pipo non era stato suo padre. Lei era soltanto un’amica che per caso s’era trovata con Libo quando era accaduta la disgrazia. Che lutto poteva mai provare lei?
Casa! Dove altro era la sua casa, se non lì? Avrebbe dovuto andare alla Stazione Biologista, a gettarsi su un letto su cui non dormiva da anni, a parte qualche pisolino fra un lavoro di laboratorio e l’altro? Non ci aveva mai messo piede volentieri, perché quelle stanze silenziose le ricordavano troppo i suoi genitori. Ma ora anche la Stazione Zenador stava per diventare un luogo silenzioso: Pipo era morto, e Libo aveva già la faccia di un adulto i cui doveri l’avrebbero allontanato da lei. Quel posto non era più casa sua, e non ne aveva altri a cui dare quel nome.
L’Arbitro riuscì a portarsi via Libo, ripetendogli che la madre, Conceição, lo stava aspettando a casa sua. Della donna, Novinha sapeva solo che era la bibliotecaria da cui dipendeva l’archivio della colonia e la conosceva appena superficialmente. Non aveva mai indugiato in compagnia della moglie di Pipo o degli altri suoi figli; a mala pena s’era resa conto della loro esistenza. Soltanto il lavoro alla Stazione e la vita alla Stazione erano stati reali. Mentre Libo s’avviava alla porta le parve di vederlo rimpicciolire come se si facesse incredibilmente più lontano, come se il vento fosse sul punto di strapparlo via da lei e scaraventarlo oltre la boscaglia e le colline, foglia perduta fra le foglie. La porta si chiuse dietro di lui.
Ora Novinha capiva quanto era grande la perdita di Pipo. La morte non stava in quel corpo mutilato trovato sul versante della collina, né in ciò che sarebbe stato sepolto nel cimitero. La morte era il vuoto al posto di quello che aveva riempito la sua vita. Pipo era stato una roccia nella tempesta, così solida che al riparo di essa lei e Libo non avevano neppure saputo che la tempesta esisteva. Era strano guardarsi attorno e non vedere più quella roccia, ma solo il vento che ora minacciava di spazzarli chissà dove. Oh, Pipo! pianse in silenzio. Non andartene! Non lasciarci! Ma naturalmente lui era andato, sordo alle preghiere come lo erano stati i suoi genitori.
Nella Stazione Zenador c’era ancora attività. Il sindaco Bosquinha era seduta al terminale dell’ansible e stava trasmettendo gli ultimi appunti dello xenologo ai Cento Mondi, dove gli esperti li avrebbero analizzati per risalire alle cause della sua morte.
Ma Novinha sapeva che la chiave dell’omicidio non si trovava nella documentazione di Pipo. Erano stati i dati raccolti da lei a ucciderlo, chissà come. Erano ancora là nell’aria, nel campo olografico sopra il terminale del computer: le immagini del modelllo genetico nel nucleo di una cellula di pequenino. Fu felice che Libo non si fosse neppure girato a guardarla, ma ora la osservò, cercando di vedere cos’aveva colpito Pipo, sforzandosi di capire quale elemento della configurazione lo avesse indotto a correre nella radura dei maiali per fare o dire qualcosa che gli era stato fatale. Senza volerlo, lei aveva scoperto un segreto che i maiali non erano assolutamente disposti a rivelare, anche a costo di uccidere; ma di che si trattava?
Più studiava l’ologramma e meno le sembrava di comprenderlo, finché dopo un poco nei suoi occhi non ci fu che una confusione d’immagini annebbiate, che si distorcevano nelle sue lacrime silenziose. Era stata lei a ucciderlo, portando incautamente alla luce il segreto dei pequeninos. Se non avessi mai messo piede qui dentro, se non avessi mai sognato di diventare l’Araldo della storia dei maiali, tu saresti ancora vivo, Pipo. Libo avrebbe continuato ad avere un padre e ad essere felice in quello che era il suo posto, la sua vera casa. Io porto i semi della morte in me e li pianto dovunque oso fermarmi per cercare l’amore. I miei genitori sono morti perché gli altri potessero vivere; ora io vivo perché gli altri possano morire.
Fu il sindaco a notare il suo respiro ansante e spezzato, ed a capire, con improvvisa pietà, che anche quella ragazza era sconvolta e addolorata. Bosquinha incaricò un altro di trasmettere gli appunti rimasti e condusse Novinha fuori dalla Stazione Zenador.
— Mi spiace, bambina — disse la donna. — Sapevo che venivi qui spesso. Avrei dovuto capire che era come un padre per te, e invece tutti ti trattano come se fossi qui di passaggio. Non è stato bello da parte mia, ma ora verrai a casa con me e…
— No — disse Novinha. L’umido vento di quella notte piovosa stava raffreddando il dolore che aveva dentro e le schiariva le idee. — No, per favore. Preferisco restare sola. — E dove? - Vado… alla mia Stazione.
— Non dovresti stare sola, con questi pensieri tutta la notte — disse Bosquinha.
Ma lei non avrebbe potuto sopportare la compagnia di gente benintenzionata e desiderosa di consolarla. Io l’ho ucciso, non capisci? Non merito d’esser consolata. Voglio soffrire tutte le pene che mi aspettano. È la mia penitenza, il mio debito e, se sarà possibile, la mia assoluzione. In che altro modo potrei lavare il sangue che ho sulle mani?
E tuttavia non ebbe la forza di opporsi, né di discutere. Per dieci minuti l’auto del sindaco sorvolò in silenzio le strade erbose.
— Ecco, io abito qui — disse infine la donna. — Non ho figli della tua età, ma penso che ti troverai lo stesso a tuo agio. Non preoccuparti, rispetteremo la tua intimità. L’importante è non essere soli.
— È quello che cerco. — Novinha tentò di esibire sicurezza, ma la voce le era uscita debole e stanca.
— Per favore — insisté Bosquinha. — Stasera non sei te stessa.