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— Non c’era?

— Tu sai che era lì, Nova. E nessuno, a parte te, avrebbe potuto cancellare il programma. Devo vederla.

— Perché?

Lui la fissò, incredulo. — Sarai anche stordita dal sonno, Novinha, ma devi pure aver capito che qualunque cosa Papà abbia scoperto nella tua simulazione è stato per questo che i maiali l’hanno ucciso.

Lei piantò gli occhi nei suoi, e non disse nulla. Non era la prima volta che Libo le vedeva quello sguardo di fredda determinazione.

— Perché non vuoi farmela esaminare? Adesso lo zenador sono io, e ho diritto di sapere.

— Tu hai il diritto di visionare tutti i fascicoli e la documentazione di tuo padre. E non hai il diritto di sapere niente che io non intenda rendere pubblico.

— Allora metti questi dati a disposizione del pubblico.

Di nuovo lei si limitò a fissarlo in silenzio.

— Come possiamo sperare di conoscere i maiali, se non sappiamo cos’è che Papà ha scoperto su di loro? — La ragazza non rispose. — Tu hai delle responsabilità verso i Cento Mondi, e verso il nostro desiderio di comprendere l’unica razza aliena ancora esistente. Come puoi startene seduta lì e… di che si tratta? Vuoi essere tu a scoprirlo? Vuoi essere la prima? Benissimo, sii la prima. Io stesso farò il tuo nome, Ivanova Santa Catarina von Hesse…

— Del mio nome non m’importa niente.

— Guarda che ho anch’io una carta da giocare. Tu non potrai scoprire niente senza quello che io so… e anch’io ti terrò nascosti i miei dati!

— Della tua documentazione non me ne importa niente.

Questo fu troppo per lui. — E allora di cosa t’importa? Cos’è che stai cercando di farmi? — La afferrò per le spalle e la sollevò di peso dalla sedia, scuotendola e gridandole in faccia: — È mio padre quello che hanno ammazzato là fuori, e tu devi dirmi perché l’hanno fatto! Tu sai cos’era quella simulazione! Ora dimmelo, fammela vedere!

— Mai — sussurrò lei.

Libo ebbe una smorfia agonizzante. — Perché no? — gemette.

— Perché non voglio che tu muoia.

Novinha vide la comprensione accendersi nei suoi occhi. Sì, Libo, è proprio così, è perché ti amo, è perché se i maiali capissero che conosci il loro segreto ucciderebbero anche te. Non m’importa niente della scienza, né dei Cento Mondi, né delle relazioni fra l’umanità e una razza aliena. Non m’importa niente di niente, purché tu resti vivo.

Due lacrime sgorgarono lente dagli occhi di lui, e gli scivolarono giù per le guance. — Vorrei morire — disse.

— Tu hai sempre una parola di conforto per gli altri — mormorò lei, — Chi saprà confortare te?

— Tu devi dirmelo. Così potrò morire anch’io.

E d’improvviso le sue mani non seppero più sostenerla; le si appoggiò addosso. Ora era Novinha che sorreggeva lui. — Sei stanco — gli disse sottovoce. — Bisogna che tu dorma un po’.

— Non voglio dormire — mormorò Libo. Ma lasciò che lei continuasse a sostenerlo e lo portasse via dal terminale.

Novinha lo condusse in camera da letto e tirò indietro le lenzuola, senza badare alla polvere che se ne sollevava. — Qui, sei stanco, ora riposati qui. È per questo che sei venuto da me, Libo. Per un po’ di pace e di conforto. Lui si coprì il volto con le mani e scosse la testa da una parte e dall’altra, piangendo come un bambino per suo padre, per la fine di tutto, per le stesse cose che stavano angosciando anche lei. La ragazza gli tolse le scarpe infangate e i pantaloni, poi gli fece alzare le braccia e gli sfilò il maglione dalla testa. Con un ansito rauco Libo cercò di smettere di piangere e di aiutarla a levargli i vestiti.

Novinha li depose su una sedia, e chinandosi di nuovo su di lui gli tirò il lenzuolo fino al mento. Ma mentre glielo rimboccava il giovane la afferrò per un polso e la fissò supplichevole, con le lacrime agli occhi. — Non lasciarmi qui da solo — sussurrò. La sua voce era rauca per la disperazione. — Resta con me.

Lei lasciò che Libo la attirasse sul letto al suo fianco e la abbracciasse, e rimase immobile finché, qualche minuto dopo, sentì la sua stretta rilassarsi e capì che s’era addormentato. Ma il sonno le era passato del tutto. Gli poggiò dolcemente una mano sul petto nudo e poi gli accarezzò il collo e una guancia. — Oh, Libo! Credevo di averti perduto quando gli altri ti hanno portato via. Credevo di aver perduto anche te, come Pipo. — Lui non poteva udire il suo mormorio. — Ma tu tornerai sempre da me, come stanotte. — Lei poteva esser stata scacciata dal Giardino a causa del suo peccato e della sua ignoranza, come Eva. Ma, proprio come Eva, ora sapeva che avrebbe potuto farcela lo stesso, perché aveva ancora il suo Libo, il suo Adão.

Lo aveva? Aveva lui? La sua mano tremò sfiorandogli il petto. No, non avrebbe mai potuto averlo. Il matrimonio era l’unica situazione che avrebbe consentito loro di stare sempre insieme, perché le leggi erano rigide nei mondi coloniali, e rigidissime sotto la Chiesa Cattolica. Per il breve spazio di una notte poteva illudersi che Libo avrebbe desiderato essere suo marito. Ma Libo era l’unico uomo che lei non avrebbe mai potuto sposare.

Perché come marito lui avrebbe avuto diritto di accedere, automaticamente, a ogni sua registrazione di lavoro — e Libo aveva una qualifica bastante a convincere il computer — incluse quelle registrazioni, non importa con che espedienti lei le avesse protette. Il Codice Starways era chiaro in materia: marito e moglie erano virtualmente la stessa persona agli occhi della legge.

Non avrebbe mai potuto lasciargli leggere le sue note, o Libo avrebbe agito in base agli stessi doveri e necessità che avevano fatto muovere il padre di luì, e sarebbe stato il suo corpo che gli uomini avrebbero dovuto riportare a casa dalle colline, sarebbe stata la sua agonia sotto la tortura de: maiali l’incubo che l’avrebbe tormentata ogni notte. Non era già fin troppo dover sopportare il peso della colpa per la morte di Pipo? Sposarlo avrebbe voluto dire ucciderlo. Eppure non sposarlo era qualcosa di molto simile a uccidere se stessa, perché se non poteva stare con Libo non riusciva a immaginare a chi altri dedicare la sua vita.

Quanto sono razionale. Ho trovato una strada per l’inferno cos’i nitida e diretta che non potrò mai tornare indietro da essa.

Poggiò la fronte contro una guancia di Libo, e le sue lacrime scivolarono calde lungo il collo di lui.

CAPITOLO QUARTO

ENDER

Abbiamo identificato quattro linguaggi dei maiali. La «Lingua dei Maschi» è la sola che viene comunemente parlata in nostra presenza. Ci è però accaduto di udire frammenti della «Lingua delle Mogli», che evidentemente essi usano nel conversare con le femmine (a che punto danno peso alla diversità fra i sessi!), e della «Lingua Albero», un idioma rituale che dicono di usare quando pregano gli ancestrali alberi-totem. Hanno anche menzionato l’esistenza di un quarto linguaggio chiamato «Lingua Padre», che consiste nel battere insieme bastoni di diversa grossezza. Insistono nell’affermare che questa è la loro vera lingua, pur tanto differente dalle altre come il portoghese lo è dall’inglese. Potrebbero chiamarla «Lingua Padre» perché è parlata con dei pezzi di legno, dei rami, ed essi credono che gli alberi contengano gli spiriti dei loro antenati.

I maiali sono meravigliosamente attrezzati per far uso delle lingue umane, molto più di quanto lo siamo noi per usare le loro. Negli ultimi anni li abbiamo sentiti parlare fra loro in portoghese o in stark per la maggior parte del tempo delle nostre visite. Forse tornano alle loro lingue quando noi non siamo presenti. Potrebbero perfino aver adottato per proprio uso gli idiomi umani, o forse questo nuovo modo di esprimersi li diverte al punto che ne fanno uso costante come fosse un gioco. La contaminazione linguistica è un fatto spiacevole, ma probabilmente inevitabile se vogliamo in qualche modo comunicare con loro.