Il dr. Swingler ha chiesto se i loro nomi e i termini con cui si riferiscono l’un l’altro rivelano qualcosa della loro cultura. La risposta è certamente sì, benché io abbia appena una vaga idea di ciò che essi rivelino. Il fatto è che noi non abbiamo mai dato un nome ad alcuno di loro. Invece, mentre apprendevano lo stark e il portoghese, essi domandavano il significato di certe parole e di tanto in tanto qualcuno annunciava di aver scelto il nome per sé (o anche per uno degli altri). Nomi come «Rooter» (Scavatore? o Ficcanaso?) e «Chupaćeu» (Succhia-Cielo) potrebbero essere una traduzione dei loro nomi dalla Lingua dei Maschi, o semplicemente nomignoli stranieri che hanno adottato per nostro uso.
Si riferiscono l’uno all’altro come «fratelli». Le femmine sono sempre chiamate «mogli», mai sorelle o madri. Talvolta usano la parola «padri», ma invariabilmente per riferirsi ai loro ancestrali alberi-totem. Quando parlano di noi naturalmente usano la parola «umani», ma hanno anche adottato la nuova Classificazione per Esclusione, di Demostene. Così si riferiscono agli umani come «framlings» e ai maiali di altre tribù come «utlannings». Stranamente, tuttavia, parlano di se stessi come «ramans», mostrando che o hanno frainteso la Classificazione o si osservano dalla prospettiva umana. E (cosa abbastanza stupefacente) più volte si sono riferiti alle loro femmine come varelse!
La zona residenziale di Reykjavik era stata scavata nelle pareti granitiche del fiordo. La stanza assegnata a Ender era piuttosto in alto, e vi si giungeva dopo una seccante arrampicata lungo rampe e scale. Ma aveva una finestra. Buona parte della sua infanzia era stata trascorsa al chiuso fra pareti di metallo, ed ora, quando poteva, cercava di abitare in luoghi da cui si godesse la vista della natura esterna.
Il locale era caldo e ben illuminato. Quel giorno, quando vi entrò con occhi ancora abituati alla fredda penombra dei corridoi di pietra, lo sfolgorio del sole che fiottava nell’interno lo abbagliò un istante. Mentre stentava ad adattare lo sguardo alla luce fu raggiunto dalla voce di Jane: — Ho una sorpresa per te, sul terminale — disse la ragazza, appena un sussurro dal gioiello incastonato nell’orecchio di lui.
Nell’aria sopra il computer aleggiava la figura di un maiale. La creatura si mosse, si grattò, poi allungò un braccio fuori dal campo olografico. Quando lo ritrasse aveva in mano un verme, molliccio e dalla pelle lucida. Gli diede un morso, e dal corpiciattolo colò un liquido denso che gli sgocciolò lungo il mento e sul petto.
— Come vedi, si tratta di una società molto civile — disse Jane.
Ender sbuffò, seccato. — Molti perfetti imbecilli hanno maniere squisite a tavola, Jane.
Il maiale si volse e parlò. — Vuoi vedere come lo abbiamo ucciso?
— Jane, ma che stai facendo?
Il maiale svanì. Al suo posto comparve un ologramma del corpo di João Figueira disteso nel fango, sotto la pioggia. — Ho costruito una simulazione del procedimento seguito dai maiali per vivisezionarlo, basandomi su tutti i dati del rapporto inviato prima che la salma fosse sepolta. Vuoi vederla?
Ender sedette sull’unica sedia della stanza.
Adesso il terminale mostrava la piccola zona del versante collinoso, con João Figueira, ancora vivo, disteso sulla schiena, mani e piedi legati a paletti di legno. Intorno a lui c’era una dozzina di maiali, uno dei quali armato di un coltello d’osso. La voce di Jane uscì ancora dal gioiello nell’orecchio destro di Ender: — Non possiamo esser certi che la scena fosse questa… — Tutti i maiali sparirono, salvo quello armato, — oppure questa.
— Lo xenologo era cosciente?
— Senza alcun dubbio.
— Vai avanti.
Spietatamente e per gradi Jane trasmise le immagini dell’apertura della cassa toracica, la rimozione degli organi e la loro deposizione rituale sul terreno. Ender si costrinse a guardare, cercando di capire quale significato la cosa potesse avere per i maiali. Ad un tratto Jane sussurrò: — È a questo punto che è morto. — Ender fece uno sforzo per rilassarsi, e solo allora s’accorse che tutti i suoi muscoli s’erano irrigiditi per l’empatia con la sofferenza di João Figueira.
Quando la scena finì, Ender andò a sedersi sul letto e si distese, con gli occhi fissi al soffitto.
— Ho mostrato questa simulazione agli scienziati di una mezza dozzina di mondi — disse Jane. — Non ci vorrà molto prima che la videostampa riesca a procurarsene una copia.
— È peggio di come non sia mai stato con gli Scorpioni — disse Ender. — Perfino i video che trasmettevano quand’ero un bambino, con gli Scorpioni che combattevano contro di noi, erano piacevoli confronto a questa roba.
Dal terminale scaturì una risata demoniaca. Enders si volse a guardare cosa stesse facendo Jane. Sull’apparecchiatura era seduto un maiale di grosse dimensioni, che sogghignava grottescamente. Intanto che la figura lo fissava, Jane vi apportò delle lievi modifiche, sottili ma d’effetto snervante: un lampo omicida nello sguardo degli occhi arrossati, le zanne che si facevano più lunghe, e il torso che s’ingobbiva con ferocia mentre un filo di bava gli colava dalla bocca avida. In quel ghigno c’erano gli incubi di ogni bambino. — Ben fatto, Jane. La metamorfosi da raman a varelse.
— Dopo una cosa simile, quando mai l’umanità accetterebbe i maiali come uguali?
— Il contatto è stato interrotto completamente?
— Il Consiglio della Federazione ha ordinato al nuovo xenologo di limitarsi a visite di un’ora, non più di una ogni due giorni. E gli ha proibito di chiedere ai maiali perché hanno fatto quel che hanno fatto.
— Ma niente quarantena.
— Non è stata neppure proposta.
— Però avrebbero dovuto, Jane. Un altro incidente come questo, e la quarantena verrà invocata a gran voce. Per trasformare Milagre in una guarnigione militare il cui solo scopo sarebbe impedire ai maiali di sviluppare una tecnologia che li porti ai voli interplanetari.
— I maiali avranno comunque un problema di public relations — disse Jane. — E il nuovo xenologo è soltanto un ragazzo. Il figlio di Pipo, Libo. Abbreviazione per Liberdade Graças a Deus Figueira de Medici.
— Liberdade… libertà?
— Non sapevo che tu parlassi portoghese.
— È come lo spagnolo. Ho fatto l’elegia per la morte di Zacatecas e San Angelo, ricordi?
— Sul pianeta Moctezuma. Ma questo è stato duemila anni fa.
— Non per me.
— Per te, soggettivamente, sono trascorsi otto anni. E quindici mondi. Non è meravigliosa la relatività? Riesce a mantenerti così giovane!
— Io viaggio troppo — mormorò Ender. — Valentine si è sposata, e ora sta per avere un bambino. Ho già rifiutato due richieste come Araldo. Perché mi stai tentando a continuare queste peregrinazioni?
Il maiale olografico ridacchiò odiosamente. — Credi che quella fosse una tentazione? Guarda! Io posso trasformare i sassi in pane! — La creatura raccolse un frammento di pietra e lo spezzò fra le zanne. — Vuoi assaggiare anche tu?
— Jane, il tuo senso dell’umorismo è perverso.
— Tutti i regni dell’universo! — Il maiale aprì le mani e da esse scaturì un pulviscolo di stelle e di pianeti, i Cento Mondi che ruotavano scintillando nelle loro orbite. — Io posso darteli. Tutti quanti!
— Grazie, non m’interessa.
— È una buona proprietà immobiliare, un ottimo investimento. Lo so, lo so, tu sei già ricco. Interessi che maturano da tremila anni, abbastanza da costruirti un nuovo pianeta. Ma che ne diresti di questo: il nome di Ender Wiggin conosciuto su tutti i Cento Mondi…