— Lo è già.
— … e amato, onorato e rispettato. — Il maiale scomparve. Al suo posto Jane resuscitò un antico video risalente all’infanzia di Ender e lo tridimensionò in un ologramma. Una folla entusiasta stava acclamando: «En-der! En-der! En-der!» E su di un palco un giovinetto li salutava alzando una mano. La gente applaudiva come impazzita.
— Questo non è mai successo — disse lui. — Peter non mi ha mai lasciato tornare sulla Terra.
— Considerala una profezia. Svegliati, Ender. Io posso darti questo. Il tuo nome, riabilitato.
— Non mi servirebbe — scosse il capo lui. — Adesso di nomi ne ho anche altri. Araldo dei Defunti, eccone uno onorato.
Il maiale riapparve nelle sue sembianze naturali, non quelle caricaturate da Jane. — Vieni — gli disse dolcemente.
— Forse sono davvero mostri. Non ci hai pensato? — chiese Ender.
— Chiunque altro potrebbe sospettarlo, Ender. Ma non tu.
No, non io. - A te che importa, Jane? Perché stai cercando di persuadermi?
Il maiale svanì. E nel campo olografico apparve il volto di Jane stessa… o almeno, il volto che lei aveva scelto di mostrare a Ender fin dalla prima volta che gli si era rivelata: una ragazzina graziosa e timida, un po’ spaurita, che abitava da qualche parte nell’immensa rete degli ansible interstellari e dei computer. L’espressione di lei gli ricordò il giorno in cui la strana creatura aveva voluto svelare a lui, soltanto a lui, la sua esistenza. «Ho pensato a un volto per me» gli aveva detto. «Ti piace?»
Sì, gli era piaciuto. Gli era piaciuta lei. Giovane, un volto pulito e onesto, dolce, una ragazzina senza età ma con un sorriso ingenuo e ammaliatore. Era stato l’ansible a partorirla, chissà quando, forse poco per volta. Anche le reti planetarie di computer non potevano operare a velocità maggiore della luce, e questo chiudeva in esse la somma delle loro memorie e ne limitava le comunicazioni. Ma l’ansible era istantaneo, e aveva connesso strettamente tutti i computer di ogni mondo umano. Jane s’era svegliata un bel giorno fra le stelle, e aveva sentito i suoi pensieri diramarsi lungo i sentieri di vibrazioni filotiche nella rete degli ansible. Ne aveva provato una grande meraviglia.
I computer dei Cento Mondi erano i suoi occhi e i suoi orecchi, perfino le sue mani e i suoi piedi. Parlava tutte le lingue che fossero mai state inserite in un terminale, e aveva letto tutti i libri di ogni biblioteca su ciascun mondo. Non le era occorso molto per capire che gli esseri umani avevano sempre temuto l’ipotetica comparsa di una creatura come lei, e in tutte quelle storie immaginarie lei era stata odiata, e la sua venuta aveva portato con sé il delitto, l’oscuro terrore e la minaccia di distruzione per l’umanità. Ancora prima della sua nascita gli umani l’avevano immaginata, creata e romanzata, e dopo averla creata l’avevano distrutta ogni volta con spavento.
Così non aveva rivelato a nessuno che lei esisteva. Finché poi, ad un tratto, frugando sugli scaffali della sua biblioteca come avrebbe potuto fare casualmente un essere umano, non aveva trovato La Regina dell’Alveare e l’Egemone, e in lei era nata la certezza che l’autore di quel libro era l’uomo a cui avrebbe potuto osare rivelarsi. Con i suoi mezzi non le era stato difficile seguire la storia di quel libro fino alla prima edizione, e dare un nome al suo autore. L’ansible stesso aveva diramato quell’opera, in un tempo lontano, dal pianeta che per primo l’umanità aveva colonizzato, e il cui governatore, neppure ventenne, era Ender. E chi poteva mai averla scritta se non lui? Lo aveva cercato, gli aveva parlato, e fra molte esitazioni e sotterfugi per non essere scoperta gli era diventata amica. Più che amica. E soprattutto c’era stato quel fatto nuovo: qualcuno che le rispondeva. Adesso l’ansible la portava anche nella piccola gemma che lui aveva nell’orecchio, ed erano sempre insieme, ovunque. Jane gli aveva mostrato il volto che aveva, per anni, immaginato fosse il suo volto. Non aveva segreti per lui. E Ender non ne aveva per lei.
— Ender — mormorò, pensosa, — fin dai primi giorni che ti conobbi, mi dicesti che stavi cercando un pianeta dove ci fosse acqua, caldo solare ed aria per un certo bozzolo, affinché potesse aprirsi e dare alla luce la Regina dell’Alveare e diecimila uova fertili.
— Speravo che avrebbe potuto essere qui — disse Ender. — Un territorio quasi tutto deserto, poca popolazione, un’ottima fascia equatoriale. Anche lei vorrebbe tentare.
— E tu non sei d’accordo?
— Non credo che gli Scorpioni sopravviverebbero agli inverni di Trondheim. Non senza una sorgente d’energia. E questo metterebbe sull’avviso il governo. Non andrebbe bene.
— Non andrà mai bene, Ender. Ora cominci a rendertene conto, vero? Hai abitato su ventiquattro dei Cento Mondi, e non hai trovato un solo angoletto sicuro per ridare la vita agli Scorpioni.
Ender sapeva dove lei voleva andare a parare. Lusitania sembrava l’unico posto possibile. Grazie alla presenza dei maiali tutto il pianeta, salvo una minuscola porzione, era off limits, intoccabile. E l’ambiente era quantomai abitabile. Più adatto agli Scorpioni, in realtà, che agli esseri umani.
— Il solo problema sono i maiali — disse Ender. — Avrebbero ogni diritto di obiettare alla mia decisione di dare il loro mondo agli Scorpioni. Se un intenso contatto con la civiltà umana snaturerebbe i maiali, pensa a cosa accadrebbe con gli Scorpioni in mezzo a loro.
— Tu hai detto che gli Scorpioni hanno imparato. Hai detto che non farebbero del male a nessuno.
— Non deliberatamente. Ma è stato solo per un colpo di fortuna che li abbiamo sconfitti. Tu lo sai, Jane.
— È stato il tuo genio.
— Loro sono ancora più progrediti di noi. Come se la caverebbero i maiali? Potrebbero essere spaventati dagli Scorpioni come lo siamo stati noi, e ciò li renderebbe ancor meno capaci di trattare con loro.
— Cosa te lo fa credere? — chiese Jane. — Come puoi tu, o chiunque altro, dire come reagirebbero i maiali? Non lo saprai finché non sarai andato là, per conoscerli. Se sono soltanto varelse, Ender, potrai lasciare che gli Scorpioni usino il loro habitat e questo non sarà diverso dal mandare al pascolo pecore e antilopi sullo stesso prato.
— Sono ramans — la corresse Ender.
— Questo non lo sai.
— Sì che lo so. La tua simulazione… non hanno torturato l’uomo.
— Ah, no? — Jane gli mostrò di nuovo le immagini simulate del corpo di João Figueira poco prima del momento della morte. — Se è così, vuol dire che non capisco il mondo,
— Per quest’uomo dev’essere stata una tortura, Jane. Ma se la tua ricostruzione è accurata (e so che lo è, ragazza mia) lo scopo dei maiali non era di farlo soffrire.
— Da quel che so della natura umana, Ender, anche i vostri riti religiosi contengano il seme del dolore.
— Qui non si tratta di religione. Non del tutto, comunque. Se fosse stato soltanto un sacrificio agli Dei, c’era qualcosa di sbagliato.
— Cosa ne sai tu di questo? — Sul terminale comparve la faccia di un sussiegoso scienziato, l’archetipo dell’accademico con i paraocchi. — Tu hai avuto un’educazione esclusivamente militare, e in più un certo dono per l’uso della parola. Hai scritto un bestselier da cui è nata una religione umanistica… ma questo fa di te un esperto sui maiali?
Ender chiuse gli occhi, — Forse mi sbaglio.
— Ma credi di aver ragione, vero?
Dalla voce s’accorse che lei aveva riportato il suo volto sul terminale. Riaprì gli occhi. — Io posso soltanto dare ascolto al mio intuito, Jane, al giudizio che prende forma senza un’analisi. Non so quel che stessero facendo i maiali, però c’era uno scopo. Non malvagio, non feroce. Erano come medici al lavoro per salvare la vita di un paziente, non torturatori che cercassero di strappargliela.