— Un giorno o l’altro — sospirò Ender, — m’innamorerò anch’io di qualcuno che non insisterà per vedermi compiere le fatiche di Ercole.
— Comunque, Ender, ti stavi annoiando di questa vita.
— Sì, ma verso la mezz’età a qualcuno piace annoiarsi.
— Allora ti piaccia sapere che giusto in questo momento il proprietario dell’astronave Havelok, che abita su Gales, ha accettato la tua offerta di quaranta miliardi di dollari per la nave e il carico.
— Quaranta miliardi! Vuoi ridurmi sul lastrico?
— Hai ancora le tasche vergognosamente rigonfie. Tuttavia l’equipaggio ha dichiarato nulli i suoi contratti di lavoro. Mi sono presa la libertà di comprare loro un passaggio su altre navi, usando i tuoi fondi. Tu e Valentine non avrete bisogno di altri che l’abilissima Jane per pilotare l’Havelok. Salperemo le ancore con la marea di domattina?
— Valentine. — Ender si accigliò. La sorella era il solo possibile ostacolo alla sua partenza. Ora che la decisione era stata presa, capiva che né i suoi studenti né i pochi amici nordici che s’era fatto avrebbe sentito la sua mancanza. Ma lei…
— Sono ansiosa di leggere il libro che Demostene scriverà sulla storia di Lusitania — disse Jane. Aveva scoperto la vera identità di Demostene con lo stesso procedimento che l’aveva portata a rintracciare il primo Araldo dei Defunti.
— Valentine non vorrà venire — disse Ender.
— Ma è tua sorella.
Lui sorrise. Malgrado la sua grande intelligenza, Jane faticava a capire i concetti legati alla parentela e alla famiglia. Pur essendo stata creata dagli esseri umani e pensando a se stessa in termini umani, non era una creatura biologica. E sapere tutto in materia non significava sentire i desideri e le necessità comuni a tutti gli esseri fatti di carne e sangue. — È mia sorella, ma adesso la sua casa è Trondheim.
— Se era perfino riluttante a venire qui!
— Stavolta non me la sento di chiederle di seguirmi. — Non con un bambino in arrivo, non con la felicità che ha trovato a Reykjavik. Insegnare le piace, la gente le vuol bene, nessuno la sospetta d’essere la leggendaria Demostene. Qui ha un marito, Jakt, padrone di cento vascelli da pesca e di interi fiordi, e una villa dove ogni giorno gode di compagnia brillante e sofisticata, con gli occhi sull’immensità di questo mare affascinante e pericoloso. Non lascerà mai questo luogo. E non capirà perché io devo andarmene.
E al pensiero di dover lasciare Valentine la sua decisione di andare su Lusitania vacillò. Una volta sola s’era separato dalla sua amatissima sorella, quand’era bambino, e ancora rimpiangeva quegli anni in cui la compagnia di lei gli era stata rubata. Come avrebbe potuto separarsi da lei, adesso, dopo vent’anni nei quali avevano condiviso ogni pensiero? E questa volta non ci sarebbe stato ritorno. Al momento del suo arrivo su Lusitania lei avrebbe avuto ventidue anni di più, e se anche lui fosse tornato indietro subito l’avrebbe ritrovata ormai ottantenne.
((Così non sarà facile per te, dopotutto. Dovrai anche pagare un duro prezzo.))
Non farti gioco di me, disse Ender in silenzio. In fatto di rimorsi io sono ormai un esperto.
((Lei è parte di te. Vuoi davvero lasciarla, per noi?))
Era la voce della Regina dell’Alveare che gli parlava telepaticamente. Il loro contatto era così intimo che la creatura dormiente vedeva tutto ciò che lui vedeva, e sentiva ogni suo pensiero. Con le labbra le formulò una muta risposta: La lascerò, ma non per te. Non possiamo esser certi che questo ti porterà ciò che vuoi. Potrebbe essere solo un’altra disillusione, come Trondheim.
((Lusitania è ciò di cui abbiamo bisogno. Ed è al sicuro dagli esseri umani.))
Ma appartiene a un altro popolo. Non voglio distruggere i maiali per rimediare alla distruzione della tua gente.
((Loro non corrono alcun pericolo con noi. Non gli faremo del male. Dovresti conoscerci ormai, dopo tutti questi anni.))
So soltanto ciò che tu mi hai detto.
((Noi non sappiamo come si fa a mentire. Ti ho mostrato i nostri ricordi, la nostra anima.))
So che vorreste vivere in pace con i maiali. Ma loro riusciranno a fare lo stesso con voi?
((Portaci là. Abbiamo aspettato tanto tempo!))
Ender andò a raccogliere una grossa borsa da viaggio, un po’ malconcia, che giaceva aperta su uno scaffale. Poteva contenere tutto ciò che gli apparteneva in quella stanza: indumenti, abiti e pochi oggetti personali. Il resto erano cose che la gente gli aveva regalato per le sue elegie ai defunti, non sapeva se per onorare lui o le verità che aveva detto. Era roba che poteva esser lasciata lì. Non aveva abbastanza spazio nella sua borsa. La aprì e ne tolse fuori un grosso rotolo di stoffa, che depose sul tavolo e aprì con cura. I suoi occhi si posarono sulla robusta superficie fibrosa di un bozzolo, spesso quindici centimetri nel punto più largo.
((Sì, guardami.))
Aveva trovato quel bozzolo ad attenderlo, pronto per lui, dopo esser divenuto governatore della prima colonia stabilita dagli uomini su un ex mondo degli Scorpioni. Prevedendo la loro distruzione, consci che Ender sarebbe stato un invincibile avversario, essi avevano costruito sulla superficie di quel pianeta uno schema architettonico che avrebbe avuto un significato soltanto per lui, poiché era stato tolto telepaticamente dai suoi stessi sogni. Il bozzolo, con la sua indifesa ma vigile Regina addormentata, era stato posto nella torre di un castello dove, in quei sogni, Ender era andato alla ricerca di un enigma. — Hai atteso anni perché io ti trovassi — mormorò. — E poi ancora qualche anno, da quando ti ho tolto dal mio mondo dello specchio.
((Qualche anno? Ah, sì, per la tua mente sequenziale che non nota il passaggio degli anni, quando viaggi alla velocità della luce. Ma io l’ho notato. Il nostro pensiero è istantaneo, ricordi? Come l’ansible, esso non è legato alla struttura dello spazio. Io ho conosciuto ogni momento di questi tremila anni.))
— Ho mai trovato un posto che fosse buono per voi?
((Io ho diecimila uova fertili che aspettano di vivere.))
— Forse Lusitania si rivelerà adatto. Non lo so.
((Riportaci alla vita!))
— Ci sto provando. — Per che altro motivo credi che io abbia vagato di mondo in mondo tutti questi anni, se non per cercarti una casa?
((Presto presto presto presto!))
Devo trovare un luogo dove la mia razza non ti uccida nello stesso momento in cui apparirai. Voi abitate ancora gli incubi degli uomini. Non molta gente crede davvero nel mio libro. Possono condannare Ender lo Xenocida, ma rifarebbero la stessa cosa.
((In tutta la nostra vita, tu sei stato l’unica creatura che noi abbiamo conosciuto, a! di fuori della nostra razza. Non abbiamo mai dovuto essere comprensivi, perché fra noi c’era la comprensione totale. Ora tutti noi siamo chiusi in una singola identità, e tu sei i nostri occhi, le nostre braccia, le nostre gambe. Perdona la nostra impazienza.))
Lui rise. Io devo perdonare te?
((Voi umani siete strani. Noi conosciamo la verità. Noi sappiamo chi ci ha distrutto, e non sei stato tu.))
Sono stato io.
((Tu eri uno strumento.))
Sono stato io.
((Quando l’hai fatto, ti avevamo già perdonato.))
Il giorno in cui camminerai sulla superficie di un mondo azzurro, soltanto allora io sarò perdonato.