Chiusi l'album degli schizzi, misi in tasca le matite, cercai l'uscita, la trovai e ne approfittai.
Leigh Hunt mi venne incontro, in uno dei lunghi corridoi che portavano all'ingresso principale. — Se ne va? — disse.
Sospirai. — Non mi è permesso?
Hunt sorrise, se sorriso si può chiamare quel modo di piegare verso l'alto le labbra sottili. — Sì, certo, signor Severn. Ma il Primo Funzionario Gladstone vorrebbe parlarle ancora, oggi pomeriggio.
— A che ora?
Hunt alzò le spalle. — Una qualsiasi, dopo il discorso. Scelga pure quella che le fa più comodo.
Annuii. Milioni di maneggioni politici, di gente in cerca di lavoro, di sedicenti biografi, di uomini d'affari, di sostenitori del PFE e di assassini potenziali avrebbero dato qualsiasi cosa, per disporre di un minuto in compagnia della leader più in vista dell'Egemonia, di pochi secondi con il PFE Gladstone, e io potevo "scegliere l'ora che mi faceva più comodo". L'universo è proprio pazzo.
Passai davanti a Leigh Hunt e mi diressi all'ingresso principale.
Per lunga tradizione, la Casa del Governo non ha teleporter pubblici nel proprio comprensorio. Dopo una breve camminata al di là degli schermi di sicurezza dell'ingresso principale e attraverso il giardino, arrivai al basso fabbricato bianco che serviva da sala stampa e da terminex. I robocronisti erano raggruppati intorno alla piazzuola di visione centrale, dove il viso e la voce ben noti di Lewellyn Drake, "la voce della Totalità", davano informazioni sul discorso del PFE Gladstone, "di vitale importanza per l'Egemonia". Rivolsi a Drake un cenno di saluto, trovai un portale libero, usai la carta universale e andai a cercare un bar.
Il Grand Concourse era, una volta raggiunto, l'unico luogo della Rete dove si potesse usare gratis il teleporter. Ogni mondo della Rete ha offerto almeno uno dei propri isolati urbani più eleganti (TC2 ne aveva forniti ventitré) per shopping, divertimenti, ristoranti raffinati e bar. Soprattutto bar.
Come il fiume Teti, il Grand Concourse scorreva fra portali di formato militare, alti duecento metri. A forma di fascia richiusa su se stessa, faceva l'effetto di un corso cittadino infinito, un toroide lungo cento chilometri di delizie mondane. Si poteva stare, come facevo io quella mattina, sotto il vivido sole di Tau Ceti e guardare giù lungo il Concourse nella notte di Deneb Drei, viva di luci al neon e di ologrammi, e dare un'occhiata al Mall di Lusus, con i suoi cento livelli, sapendo che più in là c'erano le boutique ombrose di Bosco Divino con il suo viale di mattoni e l'ascensore per raggiungere il Treetops, il più costoso ristorante della Rete.
Me ne fregavo, di tutto questo. Volevo solo trovare un bar tranquillo.
I bar di TC2 erano troppo pieni di burocrati, robocron e gente d'affari; perciò presi una navetta del Concourse e sbarcai nella draga principale di Sol Draconis Septem. La gravità scoraggiava molti — scoraggiava perfino me! — ma significava che i bar erano meno affollati e che gli avventori avevano solo voglia di bere.
Scelsi un locale a pianoterra, quasi nascosto sotto le colonne di sostegno e gli scivoli di servizio che portavano al pergolato principale per le compere, con l'interno scuro: pareti scure, legno scuro, avventori scuri… pelle nera quanto è chiara la mia. Era un buon bar per bere in pace: iniziai con un doppio scotch, ma più andavo avanti, più ci davo dentro.
Perfino lì non mi ero liberato di Gladstone. In fondo alla sala, una TV bidimensionale mostrava il viso della donna contro lo sfondo azzurro e oro usato per le trasmissioni ufficiali. Alcuni avventori si erano riuniti a guardare. Mi giunsero brandelli del discorso: «…per garantire la sicurezza dei cittadini dell'Egemonia e… non si può mettere a repentaglio la sicurezza della Rete e dei nostri alleati in… così ho autorizzato una piena risposta militare al…»
— Abbassate quel maledetto affare! — Fui sorpreso nel riconoscere, in quel grido, la mia stessa voce. Gli avventori girarono la testa e mi lanciarono occhiate di fuoco, ma abbassarono l'audio. Per un istante guardai Gladstone muovere le labbra, poi mi trascinai verso il barista per farmi dare un altro doppio.
Più tardi, forse erano passate ore intere, alzai lo sguardo dal bicchiere e mi accorsi che qualcuno sedeva di fronte a me, nel séparé in penombra. Battei le palpebre e impiegai un secondo per riconoscere l'intruso, nella luce fioca. Per un attimo sentii il cuore accelerare i battiti, mentre pensavo: "Fanny"; poi battei di nuovo le palpebre e dissi: — Lady Philomel.
Indossava ancora l'abito blu scuro che le avevo visto durante la prima colazione. Il viso e le spalle parvero brillare, nella penombra. — Signor Severn — disse lei, con voce che era quasi un sussurro. — Sono venuta perché mantenga la promessa.
— Promessa? — Con un cenno chiamai il barista, che non rispose. Mi accigliai e guardai Diana Philomel. — Quale promessa?
— Di farmi il ritratto, ovviamente. Ha dimenticato di averlo promesso, al party?
Schioccai le dita, ma l'insolente barista ancora non si degnò di guardare dalla mia parte. — Le ho già fatto il ritratto — risposi.
— Sì — disse lei. — Ma non tutto il ritratto.
Con un sospiro prosciugai le ultime gocce di scotch. — Bevo — dissi.
Lady Philomel sorrise. — Vedo.
Mi mossi per alzarmi e andare dal barista, ci ripensai, tornai lentamente a sedermi sul legno stagionato della panca. — Armageddon — dissi. — Giocano con l'Armageddon. — Guardai attentamente la donna, socchiudendo un poco gli occhi per metterla a fuoco. — Conosce questa parola, signora?
— Non credo che il barista le servirà altri alcolici — disse lei. — Ne ho, a casa. Potrà bere, mentre disegna.
Socchiusi di nuovo gli occhi, stavolta con aria astuta. Forse avevo bevuto qualche scotch di troppo, ma non avevo perso completamente la lucidità. — Marito — obiettai.
Diana Philomel sorrise di nuovo, e anche questo sorriso era radioso. — Trascorre alcuni giorni nella Casa del Governo — disse, ora davvero in un sussurro. — Non riesce a stare lontano dalla fonte del potere, in tempi così importanti. Su, andiamo, il mio VEM è qui a due passi.
Non ricordo di avere pagato, ma immagino di averlo fatto. Oppure fu lady Philomel a provvedere. Non ricordo che mi abbia aiutato a uscire, ma presumo che qualcuno l'abbia fatto. Forse il suo chauffeur. Ricordo un uomo in veste e calzoni grigi, ricordo di essermi appoggiato a lui.
Il VEM aveva il tetto a bolla, polarizzato dall'esterno ma trasparente da dove sedevamo sprofondati nei cuscini e guardavamo fuori. Contai un portale, due, e poi fummo fuori del Concourse e salimmo sopra campi azzurri sotto un cielo giallo. Case riccamente ornate, di un legno color ebano, sorgevano sulla cima di alture circondate da campi color papavero e da laghi color bronzo. Vettore Rinascimento? Era un enigma di difficile soluzione, al momento; appoggiai la testa alla bolla di perspex e decisi di riposarmi per un paio di minuti. Dovevo essere riposato, per fare il ritratto di lady Philomel… eh, eh!
In basso, la campagna scorreva.
5
Il colonnello Fedmahn Kassad segue Brawne Lamia e padre Hoyt nella tempesta di sabbia, verso la Tomba di Giada. Ha mentito a Lamia: il visore notturno e i sensori funzionano bene, nonostante le scariche elettriche che guizzano tutt'intorno. Seguire i due gli è parsa l'opportunità migliore per trovare lo Shrike. Kassad ha ricordato come si dà la caccia al leone delle rocce su Hebron… si lega una capra e si aspetta.
Dati provenienti dai rivelatori disposti intorno all'accampamento lampeggiano sul display tattico di Kassad e bisbigliano attraverso l'impianto. È un rischio calcolato, lasciare Weintraub e sua figlia, Martin Sileno e il Console, addormentati nel campo, senza protezione a parte le armi automatiche e un segnale d'allarme. Ma, tanto, Kassad non è affatto convinto di poter fermare lo Shrike, in caso di necessità. I sei pellegrini sono tutti capre impastoiate in attesa. Prima di morire, Kassad è deciso a trovare la donna, il fantasma di nome Moneta.