«Va bene. Vengo con te.»
«Presto, allora. Se qualcuno controlla la tua stanza…»
«E la tua?»
Vornan rise, orgoglioso. «La mia stanza è stata sistemata. Quelli che spiano crederanno che sono ancora là dentro. Ma se mi vedono anche qui… Vestiti, Leo.»
Mi buttai addosso qualcosa e uscimmo dalla mia camera. La sigillai dall’esterno. Nel corridoio c’erano tre degli uomini di Kralick, profondamente addormentati: il globo verde di un pallone anestetico fluttuava nell’aria, e quando la sua piastrina termosensibile m’individuò, puntò su di me. Vornan alzò pigramente la mano, ne afferrò la lunga coda di nastro plastico, e lo tirò giù per disattivarlo. Mi rivolse un sorriso da cospiratore. Poi, come un ragazzino scappato di casa, sfrecciò attraverso il corridoio, facendomi cenno di seguirlo. Aprì con una spinta una porta di servizio, rivelando un pozzo di caduta per la biancheria sporca. Vornan mi accennò di entrare.
«Finiremo in lavanderia!» protestai.
«Non dire sciocchezze, Leo. Scenderemo prima dell’ultima fermata.»
Non stetti a riflettere oltre. Entrai nel tubo insieme a lui e scendemmo a precipizio, buttati come rifiuti verso le viscere dell’edificio. Una rete apparve inaspettatamente attraverso il tubo e noi vi rimbalzammo sopra. Pensai che fosse una specie di trappola, ma Vornan disse semplicemente: «È un sistema di sicurezza per impedire che il personale dell’albergo cada sul nastro trasportatore della biancheria. Ho parlato con le cameriere, vedi. Andiamo!» Uscì dalla rete, che immagino fosse stata attivata dai rivelatori di massa lungo i fianchi del tubo, e ci appollaiammo su un cornicione, mentre lui apriva una porta. Per essere un uomo che capiva a malapena che cos’era il mercato azionario, aveva una conoscenza straordinaria del funzionamento dell’albergo. La rete rientrò nella parete del tubo nel momento in cui la lasciai; dopo un istante alcuni lenzuoli sporchi precipitarono dall’alto, ci passarono accanto e svanirono nelle fauci della lavanderia, molto più in basso. Vornan mi fece di nuovo cenno di seguirlo. Percorremmo uno stretto passaggio illuminato da strisce di luce fredda e finalmente uscimmo in uno dei corridoi dell’albergo. Per mezzo di una prosaica scala arrivammo ad un sottoatrio, e uscimmo sulla strada, senza che nessuno ci vedesse.
Era tutto tranquillo. Si vedeva benissimo dove erano stati i dimostranti. Slogan scritti con gli stampini brillavano sul marciapiedi e sui muri: LA FINE È PROSSIMA, PREPARATEVI A INCONTRARE IL VOSTRO CREATORE, e roba simile, i soliti pensieri sbandierati sui cartelli. Pezzi di indumenti erano sparpagliati dappertutto. Monticelli di schiuma mi dissero che la calca non si era dispersa pacificamente. Qua e là giaceva qualcuno, stordito, ubriaco o semplicemente addormentato: individui che dovevano essere usciti dall’ombra dopo che la polizia aveva sgombrato la zona.
Ci infilammo le maschere e ci muovemmo senza far rumore nella mite notte di Los Angeles. Lì, nelle prime ore del mattino, succedeva ben poco, nei quartieri del centro; i grattacieli tutto intorno a noi erano alberghi e palazzi di uffici, e la vita notturna si svolgeva altrove. Passeggiammo a casaccio. Di tanto in tanto un pallone pubblicitario passava nel cielo qualche decina di metri sopra di noi, facendo lampeggiare i suoi sgargianti incitamenti. A due isolati dall’albergo, ci fermammo a guardare la vetrina di un negozio che vendeva microspie. Vornan sembrava completamente assorto. Il negozio era chiuso, naturalmente, eppure mentre indugiavamo su una lastra sensoria incorporata nel marciapiedi, una voce melliflua ci disse gli orari d’apertura e ci invitò a tornare di giorno. Un po’ più avanti, arrivammo a un negozio di articoli sportivi, specializzato in attrezzatura per la pesca. La nostra presenza fece scattare un altro meccanismo che attaccò un discorsetto destinato ai pescatori di profondità. «Siete venuti nel posto giusto,» proclamò una voce metallica. «Abbiamo la linea completa. Idrofotometri, campionatori per plancton, penetrometri per fango, misuratori a dispersione di luce, registratori di maree, attuatori idrostatici, boe radar, clinometri, rivelatori del fango, indicatori del livello liquido…»
Passammo oltre.
Vornan disse: «Adoro le vostre città. Gli edifici sono così alti… i mercanti così aggressivi. Noi non abbiamo mercanti, Leo.»
«E cosa faresti, se avessi bisogno di un rivelatore del fango o di un campionatore di plancton?»
«Sono disponibili,» disse lui, semplicemente. «Ma è raro che io abbia bisogno di cose del genere.»
«Perché ci hai detto così poco del tuo tempo, Vornan?»
«Perché sono venuto qui per imparare, non per insegnare.»
«Ma non ti manca il tempo. Potremmo fare una specie di scambio. Noi siamo animati da una curiosità morbosa nei confronti della realtà futura. E tu ci hai detto così poco. Ho solo un’idea molto vaga del tuo mondo.»
«Dimmi come ti sembra.»
«Meno gente di quanta ce n’è oggi,» dissi. «Tutto molto ordinato, molto agile. Le macchine tenute sullo sfondo; e tuttavia tutto è ha disposizione, quando è necessario. Niente guerre. Niente nazioni. Un mondo semplice, piacevole, felice. Per me, è molto difficile crederci.»
«Lo hai descritto molto bene.»
«Ma come ha fatto a diventare così, Vornan? È questo che vogliamo sapere! Guarda il mondo che stai visitando. Cento nazioni sospettose. Superbombe. Tensione. Fame e frustrazione. Milioni di individui isterici alla ricerca di un ricettacolo per la loro fede. Che cos’è successo? Come mai il mondo si è messo tranquillo?»
«Mille anni sono parecchi, Leo. Possono succedere moltissime cose.»
«Ma che cosa è successo, veramente? Dove sono finite le nazioni del nostro tempo? Parlami delle crisi, delle guerre, delle rivoluzioni.»
Ci fermammo sotto un lampione. Immediatamente i suoi fotosensori ci percepirono, ed aumentarono la quantità di luce irradiata. Vornan disse: «Supponiamo che tu mi parli, Leo, dell’organizzazione, dell’ascesa e della caduta del Sacro Romano Impero.»
«E dove hai sentito parlare del Sacro Romano Impero?»
«Ne ho sentito parlare dal professor Heyman. Dimmi cosa ne sai dell’Impero, Leo.»
«Mah… quasi niente, credo. Era una specie di confederazione europea di sette od otto secoli fa. E poi… e poi…»
«Esattamente. Non ne sai nulla.»
«Non ho mai preteso di essere uno storico praticante, Vornan.»
«Neppure io,» rispose lui, tranquillamente. «Perché pensi che dovrei saperne, sul Tempo della Pulizia, più di quanto ne sai tu del Sacro Romano Impero? Per me è storia antica. Non l’ho mai studiata. Non m’interessava conoscerla.»
«Ma se avevi intenzione di tornare indietro nel tempo, Vornan, avresti dovuto preoccuparti di studiare la storia nello stesso modo in cui hai studiato l’inglese.»
«L’inglese mi serviva per comunicare. Non mi serviva la storia. Non so qui come studioso, Leo. Soltanto come turista.»
«E non sai niente neppure della scienza della tua epoca, immagino.»
«Niente del tutto,» rispose lui, allegramente.
«Ma che cosa sai? Che cosa fai, nel 2999?»
«Niente. Niente.»
«Non hai una professione?»
«Viaggio. Osservo. Mi diverto.»
«Fai parte della classe dei ricchi oziosi?»
«Sì, solo che noi non abbiamo ricchi oziosi. Penso proprio che mi definiresti ozioso, Leo. Ozioso e ignorante.»
«E nel 2999 siete tutti quanti oziosi ed ignoranti? Il lavoro e la cultura e l’impegno sono antiquati?»
«Oh, no, no, no,» disse Vornan. «Abbiamo molte anime diligenti. Il mio fratello somatico Lunn-31 è un collezionista di impulsi luminosi, un’autorità in materia. Il mio buon amico Mortel-91 è un esperto di gesti. Pol-13, di cui tu apprezzeresti la bellezza, danza nello psicodromo. Abbiamo i nostri artisti, i nostri poeti, i nostri eruditi. Il celebre Ekki-89 ha lavorato cinquant’anni sulla reviviscenza degli Anni di Fiamma. Sator-11 ha realizzato una serie completa di immagini cristalline dei Cercatori, tutte fatte da lui. Sono orgoglioso di loro.»