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Quella volta, però, si ricordò di essere una donna, e sbranò Fields in modo tipicamente femminile. Davanti a lui, davanti a tutti, invitò Vornan a dividere il suo letto, quella notte. Fece capire chiaramente che si offriva a Vornan senza riserve. Mi dispiace di non aver potuto assistere alla scena. Come mi raccontò Helen, Aster sembrava una donna per la prima volta in vita sua: occhi ardenti, labbra socchiuse, volto arrossato, artigli sguainati. Naturalmente Vornan acconsentì. Se ne andarono insieme, e Aster era radiosa come una sposa alla sua prima notte di nozze. Per quel che ne so io, lei la vedeva appunto così.

Fields non ce la fece a resistere. Non posso dargli tutti i torti. Aster l’aveva fatto a pezzi in modo defintivo, e sarebbe stato troppo pretendere che restasse lì a subire ancora. Disse a Kralick che se ne andava. Kralick, naturalmente, lo esortò a restare, facendo appello al sentimento patriottico, ai doveri verso la scienza e così via… una serie di astrazioni che so inconsistenti per Kralick quanto per tutti noi. Era un discorso ritualizzato, e Fields lo ignorò. Quella sera stessa fece i bagagli e se ne andò, risparmiandosi così, secondo Helen, la vista di Aster e di Vornan che uscivano il mattino dopo dalla stanza nuziale, radiosi ed estatici.

Io ero a Irvine, mentre succedeva questo. Come ogni comune cittadino, seguivo le prodezze di Vornan sullo schermo, quando mi ricordavo di accenderlo. I mesi trascorsi con lui mi sembravano adesso ancora meno reali di quando li avevo vissuti; dovevo fare uno sforzo per convincermi di non aver sognato tutto quanto. Ma non era un sogno. Vornan era là sulla Luna, in compagnia di Kralick, Helen, Heyman ed Aster. Fields era rientrato a Chicago. Mi chiamò da là verso la metà di giugno; stava scrivendo un libro sulle sue esperienze con Vornan, mi disse, e voleva controllare con me alcuni dettagli. Non mi spiegò per quale motivo aveva abbandonato tutto.

Mi dimenticai subito di Fields e del suo libro. Cercai di dimenticare anche Vornan-19. Ritornai al mio lavoro tanto trascurato, ma lo trovai squallido, stancante, noioso, insoddisfacente. Mentre vagavo senza uno scopo nel laboratorio, rovistando tra i nastri dei vecchi esperimenti, battendo di tanto in tanto qualcosa di nuovo sul computer, e sbadigliando durante i colloqui con gli studenti laureati, dovevo apparire, immagino, come un personaggio patetico: re Lear tra le particelle elementari, troppo vecchio, troppo intontito, troppo sconvolto per capire persino le mie stesse domande. Quel mese, mi resi conto che uomini più giovani di me mi trattavano con fare protettivo. Mi sentivo come se avessi ottant’anni. Eppure nessuno di loro era in grado di fornire suggerimenti utili per abbattere la barriera che ostacolava la nostra ricerca. Anche loro erano in imbarazzo; la differenza stava nel fatto che loro erano sicuri di veder saltare fuori qualcosa, se avessero continuato a cercare, mentre io avevo tutta l’aria di aver perso ogni interesse non soltanto nella ricerca, ma anche nello scopo prefisso.

Naturalmente, erano tutti curiosi di conoscere che ne pensavo dell’autenticità di Vornan-19. Avevo scoperto qualcosa del suo metodo per muoversi nel tempo? Credevo davvero che avesse viaggiato nel tempo? Quali implicazioni teoriche si potevano rilevare nella sua visita?

Non sapevo cosa rispondere. Anche le domande diventavano tediose. Perciò passai un mese di ozio, cercando di prendere tempo e fingendo. Forse avrei dovuto lasciare l’Università e andare a trovare Shirley e Jack. Ma la mia ultima visita era stata inquietante mi aveva rivelato abissi e crateri inaspettati nel loro matrimonio, e avevo paura di tornare là per scoprire di aver perduto il mio unico rifugio. E non potevo neppure continuare a fuggire lontano dal mio lavoro, per quanto fosse deprimente e moribondo. Rimasi in California. Andavo in laboratorio quasi tutti i giorni. Rivedevo i saggi dei miei studenti. Evitavo le truppe di giornalisti che volevano interrogarmi su Vornan-19. Dormivo molto, qualche volta anche dodici o tredici ore filate, sperando di superare in quel modo il periodo di bonaccia. Leggevo romanzi e commedie ed opere di poesia, in modo ossessivo, facendone letteralmente indigestione. Potete immaginare facilmente il mio stato d’animo dal fatto che lessi tutti i Libri Profetici di Blake in cinque notti consecutive, senza saltarne una parola. Quella lettura m’ispira crisi mentali deliranti ancora adesso, dopo sei mesi. Lessi anche tutto Proust, e quasi tutte le opere di Dostoievski, e una dozzina di antologie di quegli incubi che, nel periodo giacobita, passavano per drammi teatrali. Era tutta arte apocalittica per un’epoca apocalittica, ma in gran parte svaniva con la stessa rapidità con cui passava sulla mia retina agghiacciata, lasciando solo un residuo: Charlus, Svidrigailov, la duchessa d’Amalfi, Vindice, l’Odette di Swann. Rimangono i sogni nebulosi di Blake: Enitharmon ed Urizen, Los, Orc, il maestro Golgonooza:

Ma sangue e ferite e grida di dolore e squille di guerra, e cuori aperti alla luce dalla larga spada grigia, e viscere nascoste nell’acciaio martellato riversate al suolo. Evoca i tuoi sorrisi di tenero inganno, evoca le tue lacrime nebulose! Noi udiamo i tuoi sospiri nelle acute trombe, quando il mattino rinnoverà il sangue.

In questo febbrile periodo di solitudine e di confusione interiore, feci pochissimo caso ai due contrastanti movimenti di massa che sconvolgevano il mondo, l’uno in ascesa, l’altro in declino. Gli Apocalittici non si erano affatto estinti, e le loro marce ed i tumulti e le orge proseguivano ancora, ma con una sorta di ostinazione accanita, non troppo diversa dai sussulti galvanici del braccio morto di Lloyd Kolff. Il loro tempo era passato. Non erano molti gli imparziali, nel mondo, ormai disposti a credere che l’Armageddon fosse fissato per il 1° gennaio 2000… ora che Vornan circolava quale prova vivente del contrario. Coloro che adesso prendevano parte alle manifestazioni degli Apocalittici, a quanto capivo erano quelli per i quali l’orgia e la distruzione erano diventati un modo di vita: non c’era nulla di teologico, ormai, nelle loro capriole e nei loro atteggiamenti. E in questo gruppo di pazzi c’era un nucleo di devoti, che attendevano con ansia l’imminente Giorno del Giudizio: ma questi fanatici perdevano terreno giorno per giorno. In luglio, quando mancavano meno di sei mesi al giorno prefissato per l’olocausto, gli osservatori imparziali avevano l’impressione che il credo apocalittico sarebbe morto d’inerzia prima che arrivassero le presunte settimane finali dell’umanità. Ora sappiamo che le cose non andarono così, perché, mentre sto dettando queste parole, mancano otto giorni all’ora della verità; e gli Apocalittici sono ancora attivi. Questa sera è la vigilia di Natale del 1999… l’anniversario dell’apparizione di Vornan a Roma, adesso che mi ricordo.

Se in luglio gli Apocalittici sembravano al tramonto, l’altro culto, quello senza nome dell’adorazione di Vornan, stava certamente acquistando in potenza. Non aveva una tesi né uno scopo: il fine dei suo aderenti sembrava essere soltanto avvicinarsi a Vornan e lanciargli grida di eccitata approvazione. La Nuova Rivelazione era la sua unica sacra scrittura: un mosaico incoerente e sconnesso di interviste e conferenze stampa, costellato qua e là dalle pepite tentatrici che Vornan aveva lasciato cadere. Io riuscivo a scorgere due soli princìpi fondamentali di Vornanismo: la vita sulla Terra era un accidente, causato dalla trascuratezza di visitatori interstellari, e il mondo non sarebbe stato distrutto il prossimo primo gennaio. Immagino che molte religioni siano state fondate su basi ancora più inconsistenti, ma non saprei citare qualche esempio. Tuttavia i Vornaniti continuavano a raccogliersi intorno alla figura carismatica ed enigmatica del loro profeta. Sorprendentemente, molti lo seguirono fin sulla Luna, creandovi folle che non vi si erano mai viste dopo l’inaugurazione del centro vacanze di Copernico, qualche anno prima. Gli altri si radunavano intorno ai giganteschi schermi montati nelle piazze da intraprendenti società televisive e guardavano in massa le trasmissioni dalla Luna. Qualche volta, mi sintonizzavo anch’io su quei raduni oceanici.