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— Adesso saprai, tesorino — disse dolcemente lei. — Moe? Pronto a registrare?

— Tutto pronto, capo — fece rapporto lui, tirando il nastro da una ruota all’altra. Girò un interruttore, e attraverso la griglia frontale dell’apparecchiatura potei vedere delle grosse valvole termoioniche — valvole termoioniche! — illuminarsi debolmente.

— Ecco quel che faremo adesso — spiegò la donna che indossava il corpo della mia amante. — Prenderemo ancora nota di tutte le vostre versioni. Non date informazioni extra. — E lanciò un’occhiata d’avvertimento a quel Douglas. — Limitatevi a rispondere alle mie domande. Al direttore non interessa sapere cosa facevate di bello a Chicago, o se vi è piaciuto il trattamento che vi siete sorbito. Solo l’essenziale, perché voglio concludere prima che si parta per l’aereoporto!

Considerando tutte le domande a cui avevo dovuto rispondere, considerando la complessità delle circostanze su cui ciascuno avrebbe riferito, non vedevo come quella serie d’interviste potesse finire prima di notte. Ma mi sbagliavo. Nyla Christophe aveva un’idea ben precisa di ciò che intendeva mettere su nastro, e chiese solo pochi elementi base. Nicky DeSota fu il primo. Rispose fornendo nome, indirizzo e qualcosa chiamato numero del registro civile. Quindi ci furono soltanto due domande:

— È mai stato dentro i Laboratori Daley?

— No.

— Ha mai visto prima d’oggi l’uomo, qui presente, che le somiglia e dichiara di essere il senatore Dominic DeSota?

— No.

Con un cenno del capo Nyla gli comunicò di levarsi di mezzo, e il suo posto fu preso dal Larry Douglas locale. L’interrogatorio non fu più elaborato, e terminò con le stesse due domande, con la sola differenza che l’uomo lì presente e che gli somigliava era il «Dr. Lawrence Douglas». Lui diede le identiche risposte, quindi fui io a sedermi davanti al microfono.

Stavolta occorse più tempo, perché lei ordinò: — Cominci da quando fu avvisato che un uomo corrispondente a lei era stato catturato in una base militare segreta del New Mexico, e riassuma gli avvenimenti. — Dopodiché si limitò ad ascoltare, intervenendo solo con domande tipo: «E poi che accadde?» sino al momento in cui nominai il maggiore DeSota degli invasori. Qui chiese: — Costui era lo stesso che le fu portato davanti ammanettato e vide scomparire? No? Era forse quest’altro qui presente? No? Dunque dichiara che vi sono almeno quattro di voi? Sì? Bene, prosegua.

Riferii tutto quanto, compreso il modo in cui avevo messo KO l’altra Nyla, senza però parlare del bacio; ma soprattutto evitai di dire che era un doppione di Nyla e la nominai solo come «sergente Sambok». La cosa non mi era stata chiesta. — E poi cademmo sulla sabbia, e ci accorgemmo che intorno a noi c’era solo il deserto. Neanche un’anima in vista, e il caldo era terribile. Dovevamo nasconderci quanto prima, o almeno pensammo di doverlo fare. Ci dirigemmo a sud est, regolandoci a occhio col sole. Camminammo per ore, finché la sete divenne insopportabile. Poi Douglas disse d’aver sentito raccontare che certi cactus contenevano acqua; cercò di sradicarne uno dalla sabbia, e sotto c’era un serpente. — Esitai, chiedendomi quanti dettagli la donna volesse. Avevo sentito i sonagli, e avevo visto Douglas balzare indietro col crotalo che gli penzolava attaccato a una manica. Non era molto grosso, e la blusa di lui aveva un certo spessore, cosicché non era passato troppo veleno. E l’espressione attonita di Douglas, mentre fissava muto e stupefatto il rettile, m’era parsa addirittura ridicola. — Poco dopo giungemmo a una linea ferroviaria. Restammo lì finché il macchinista di un treno ci raccolse.

— Bene — disse Nyla Senzapollici, e annuì verso il suo gorilla. Lui spense il registratore e cominciò laboriosamente a cambiare il nastro. Se Nyla non aveva i pollici, quell’individuo sembrava averne cinque per ogni mano; ma lei fu paziente. Adesso dedicava la sua attenzione al mio involontario compagno di viaggio, che appariva a disagio. Potei capirne il motivo, poiché nel modo in cui la donna lo contemplava c’era qualcosa di strano. Lo avrei detto — ma come poteva essere? — seducente, ma allo stesso tempo sfumato d’incredulità, quasi di paura. Gli elargì un sorriso caldo e dolce. — Tu sei il prossimo, tesoro — disse.

Se i primi tre di noi avevano riempito un rotolo di nastro, questo Dr. Lawrence Douglas doveva avere tanto da raccontare da esaurire tutte e sei le bobine che Moe aveva tirato fuori. Nyla sparava domande secche e concise e di tanto in tanto si aiutava con certe sue note per esser certa di non aver trascurato niente. Douglas comunque cominciò subito con una dichiarazione sorprendente:

— In primo luogo — disse, fissando me con aperta acredine, — la linea temporale da cui sono stato rapito è il Paratempo Gamma. Non è quella da cui provengo io, ma…

— Un momentino, dolcezza. Che cos’è questo Gamma?

— È il nome che gli diamo — spiegò stancamente lui. — Tanto per averne uno con cui identificarlo. Il mio è il Paratempo Alfa. Questo è il Tau. Quello del senatore è l’Epsilon, quello che è stato invaso. E l’altro, da cui è partita l’invasione, è il Paratempo Gamma.

— Vai avanti.

— Non è stato il Paratempo Gamma a inventare il portale. Lo abbiamo realizzato noi in Alfa.

— Noi chi, caro? L’hai inventato tu?

— Nessuno inventa roba simile da solo. Non cose complesse come il portale… è come l’invenzione della bomba atomica. Io facevo parte della squadra, ma ci entrai che ero appena laureato. Quelli che idearono la teoria di partenza furono tre scienziati: Hawking e Gribbin in Inghilterra, e il Dr. DeSota negli Stati Uniti. Non trovate divertente quest’ultimo particolare?

Non stava cercando d’essere sarcastico, soltanto d’essere capito bene, ma dalla gola di Moe uscì un ringhio d’avvertimento. Nyla scosse il capo senza guardare il gorilla. — Continua — disse, e stavolta non aggiunse «tesoro».

Ubbidiente lui proseguì: — All’inizio tutto ciò che potemmo fare fu di spiare. Voglio dire, era possibile ricevere segnali attraverso la barriera. Captare onde elettromagnetiche, ad esempio; e dopo un po’ riuscimmo anche con la visione diretta. Non per tutti i Paratempi. Alcuni sono accessibili, molti altri no. Il Dr. DeSota dice che si tratta di un effetto di risonanza: eravamo fuori sintonia con molte delle linee temporali. Ma naturalmente esse sono in numero infinito. Al tempo in cui io… uh, me ne andai, ne avevamo identificato circa duecentocinquanta, ma da molte di esse non riuscivamo a percepire che segnali sfocati. È questo che voleva sapere?

— Quello che vogliamo sapere, caruccio — disse Nyla, — è tutto quanto. Se non potevate far altro che guardare, come sei arrivato qui?

— No, no — sospirò lui. — Questo succedeva all’inizio. Vale a dire al tempo in cui mi aggregai alla squadra, ai primi di Agosto del 1980. In Ottobre riuscivamo già a mandare oggetti oltre la barriera, senza però poterli recuperare. E nel Gennaio 1981 inviammo un volontario. Io. — Inarcò un sopracciglio. — Fui io a offrirmi.

— E come otteneste questo? — chiese Nyla.

Lui esibì un’espressione paziente, molto paziente. — Se ve lo spiegassi, in questa stanza non c’è una sola persona che avrebbe la più vaga idea di quello che direi.

Nyla aveva un ferreo controllo di se stessa, ma se fossi stato al posto di Douglas-Alfa ci sarei andato più cauto. — Provaci — gli disse, secca.

A Douglas non dovette piacere il lampo dei suoi occhi, perché degluti saliva e disse subito: — Non volevo dire che non siete abbastanza intelligenti. Solo che ci sono due soli modi per spiegarlo. Uno è con le parole che coniammo in fase di realizzazione: la struttura del portale genera una corrente di crononi verdi-negativi che interferisce col flusso naturale dei crononi rossi-positivi. Capite cosa voglio dire? Astruso, no? L’altro modo è in formule matematiche. E per favore, se volete seguirmi dovete prima studiare la fisica dei quanta e la meccanica ondulatoria.