Gli alberi assolvevano ad altre funzioni, non soltanto a quella di sorreggere le pareti di LeGrand Cavern, ma quel ruolo sarebbe diventato cruciale nei prossimi mesi, quando la cometa di Halley avrebbe zoomato verso il Sole per incontrare il suo più pericoloso, e forse ultimo, passaggio al perielio.
Toccò il tronco dell'albero più vicino, un fusto di un metro di diametro che splendeva luminoso, irradiando una luce fredda dalle strisce sottili di corteccia bioluminescente. L'energia proveniente dalla pila a fusione della colonia scorreva direttamente dentro quei giganti geneticamente progettati. Parte dell'elettricità veniva impiegata per alimentare le funzioni vitali di quegli alberi. Il resto dell'energia emergeva sotto forma d'un morbido chiarore che permeava la grande cavità da tutte le direzioni, stimolando la fotosintesi.
Gli alberi erano stati una deliziosa sorpresa quando Saul si era svegliato, un anno prima, da un sonno lungo un decennio. Era chiaro che i coloni si erano dati da fare. L'arte della progettazione della vita e della gestione dell'ecosistema era stata portata molto più oltre, dai due turni di guardia dal tempo dell'afelio.
Naturalmente, in tutti i momenti erano sempre stati presenti due o tre dei quasi-duplicati di Saul, per prestare il proprio aiuto. In un certo senso, Saul aveva messo direttamente mano nella maggior parte delle meraviglie presenti in quella cavità, tramite le sue versioni più giovani che condividevano tanti dei suoi ricordi e delle sue capacità. In effetti si poteva dire che era stato lui ad inventare gli alberi-colonna…
Eppure c'era dentro di lui un impenitente individualista che respingeva quell'idea senza pensarci due volte. Non importa quanto metafisico diventi, so chi è me. Osservò il volpino e ispezionò quel radiante albero-colonna con una traccia d'invidia. Era bellissima.
Aveva appaludito alla fuga della gallina: la pelle-di-pollo era stata una delle sue creazioni.
Una sorda vibrazione si diffuse lungo il tronco dell'albero-colonna fino alla sua mano. Già Halley tremava a causa di un numero sempre maggiore di terremoti a mano a mano che il calore del Sole, sempre più prossimo, filtrava verso il basso dentro la crosta ghiacciata. Boati lontani rivelavano che tratti di ghiaccio amorfo cambiavano improvvisamente stato, esplodendo via dalla superficie, soffiando via polvere, rocce, macigni nello spazio sotto forma di grandi nubi di vapore. Ogni giorno i rombi diventavano più forti.
Già le nubi ionizzata e nebulosa della cometa si erano formate, interrompendo la ricezione radio dal resto del sistema solare. Le spettacolari code gemelle ondeggiavano, diventando sempre più luminose, agghindandosi per il grande spettacolo del perielio.
Gli alberi-colonna, le radici a chiavepietra, e tutti gli altri preparativi fatti sarebbero stati messi a dura prova durante le prossime settimane. Carl pensa che non abbiamo molte possibilità si disse Saul, ma d'altronde Carl è sempre stato un heymisheh depresso.
Saul sorrise, inspirando a fondo il ricco, denso profumo della vita.
In qualche modo, anche se il Caldo ci farà a pezzi e ci sparpaglierà in balìa dell'abbraccio del vuoto, non sarei disposto a scommettere contro di noi neppure in un simile caso.
Una piccola creatura purpurea gli passò accanto, ronzandogli all'orecchio, e atterrò sul bordo di un'orchidea. Il fiore era quasi immutato rispetto ad una varietà che cresceva nelle dense foreste della Terra, ma quell'impollinatore d'un colore lavanda vivo non assomigliava a niente che fosse mai stato visto su quel massiccio mondo verde. Era un lontano cugino di quelle temibili forme native che avevano terrorizzato gli umani nei primissimi tempi, adesso completamente alterate così da inserirsi in un'innocua e utile nicchia ecologica.
Saul prese un appunto mentale: Lavora alla fissazione del sapore del miele prodotto da questi esseri. Aveva provato quella roba, di recente. Era troppo dolce. Ora una variante acida, quella sì, sarebbe stata popolare…
Un fruscio tra le foglie… Saul sollevò lo sguardo e vide una piccola forma che correva lungo l'orlo luminoso d'un albero-colonna lì vicino. La piccola forma sollevò un occhio ardente all'estremità di un peduncolo, lo contemplò brevemente, poi squittì e si avvicinò in fretta zampettando, per fermarsi tutta fremente davanti a lui.
— Saulie — pigolò la sua minuscola voce.
Saul tese una mano e la minuscola macchina gli corse su per il braccio come un ragno grande quanto un chihuahua. I suoi piedi appiccicosi gli punzecchiarono la pelle ad ogni passo.
— Ciao, piccola Ginnie — disse Saul, salutando il minuscolo mech. — Come sta la tua sorella maggiore?
L'occhiocella ammiccò. — Sta bene, Saulie. Virginia dice che vuole parlarti. Non c'è fretta, ha detto.
Saul sorrise. Virginia avrebbe potuto parlargli direttamente tramite il piccolo mech. In fin dei conti, lei «viveva» dappertutto nella complessa cyber-rete sotto il ghiaccio. Ma il vasto programma che conteneva la sua essenza principale aveva deciso, per qualche motivo, di farlo quanto più raramente possibile. Oh, c'era un po' di lei in ognuna di quelle macchine, di quelle piccole «Ginnie», fino ai fuchi-medici che potevano giocare a scrabble e spettegolare. Ma se si voleva parlare a Virginia, di solito bisognava farlo da qualche particolare luogo di sua scelta.
— D'accordo. Riferisci alla tua padrona che le parlerò allo Stormfield Park.
Il piccolo robot ronzò, si consultò, e rispose:
— Anche la tua padrona, Saulie!
Saul scoppiò in una sonora risata. Quel modello non era certo di quelli capaci di stuzzicarlo con i doppi sensi. Virginia stessa doveva aver origliato.
— Sei carina — disse al piccolo robot. — Sai cosa ti dico? Perché non ci appartiamo un po', tu ed io, quando mamma non guarda?
— Bestia! — Un piccolo braccio a pinza calò di colpo e gli pizzicò il braccio.
— Ohi! — Ma il mech schizzò via a gambe levate prima che lui riuscisse ad afferrarlo, e scomparve in un balenare di fogliame ondeggiante.
Potrei creare una creatura capace di prenderti pensò Saul. Se avessimo davanti a noi l'eternità, tu con le tue macchine ed io con i miei animali… che razza di giochi potremmo fare.
Se avessimo l'eternità…
Saul esalò un lungo sospiro. Girò sui tacchi, fece pressione con i piedi contro il grande albero, e si lanciò attraverso l'intreccio dei tronchi che formava una specie di grata, ricamata dalle strisce di corteccia che spandevano intorno un vivido chiarore, verso un'uscita che era un incrocio di qualcosa fra una classica camera d'equilibrio in metalloceramica, e la valvola d'un gigantesco cuore vivente.
Nei corridoi la luce era ancora più fioca e faceva un po' più fresco che nelle camere della vita. Le luminosfere si nutrivano di minuscoli rivoli di elettricità provenienti dalla pila a fusione della colonia, disponendo isole di luce morbida lungo i corridoi rivestiti di halleyvirid.
Molto tempo addietro Saul si era abituato a quelle temperature di poco al di sotto del punto di congelamento, e di solito indossava poco più di una tunica e scarpette a graffe per far presa sul ghiaccio. Il freddo aveva poca importanza, fintanto che ci si nutriva bene, e si poteva dormire avvolti in una coperta intessuta con la morbida seta dei bachi del gelso-mutato.
Comunque, ormai tutti loro avevano sviluppato una pelle che irradiava pochissimo, conservando all'interno la maggior parte del calore del corpo, un altro prodotto della simbiosi accuratamente elaborata.