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— Vale la pena di provare, Virginia. Nessuno ha ancora trovato il modo di guidare le comete, a meno che noi non riusciamo a far funzionare il sistema della dispersione dei gas verso l'esterno. Nessuno troverà i volatili sulla Luna o su Venere perché sono stati prosciugati. Non è possibile esplorare gli asteroidi ed estrarre i minerali soltanto con l'aiuto dei mech, perché trovare i metalli è ancora un'arte, non una scienza. Comete inaridite come Encke non possono venire intruppate proprio perché non c'è alcun modo di usare con esse, per guidarle, la dispersione dei gas verso l'esterno. Così…

— Mi arrendo, mi arrendo! — Virginia sollevò in alto entrambe le mani.

Carl sbatté le palpebre. Oh, per l'inferno! pensò. Perché mi lascio sempre trascinare?

Una profonda voce maschile disse, da dietro le spalle di Carclass="underline" — Non accettare così in fretta la sconfitta, Virginia. Prima chiedi i rinforzi.

Carl si girò di scatto mentre Saul Lintz prendeva posto su una morbida poltrona verde, a rete, lì accanto, e infilò il suo bicchiere dentro un incavo a pressione sul loro tavolo. Era magro e stagionato. I suoi movimenti della bassa gravità misurati e decisi.

— Sei arrivato troppo tardi — replicò Carl, cercando qualcosa di sagace da dire, per redimersi. — Ho già ammesso che sono noioso.

— Allora il mio aiuto è inutile. — Saul ridacchiò mentre lo diceva, ma Carl avvertì un fugace sussulto d'irritazione.

— Stavo dicendo che diverremo tutti ricchi dopo questa spedizione, se avremo pazienza — riprese Carl, misurando le parole. — E dovremmo lasciarci la politica alle spalle.

Saul annuì. Bevette una lunga sorsata. — Ammirevoli sentimenti.

— Ma noi dobbiamo farlo. Il nucleo di Halley è troppo piccolo per quel genere di…

— Infila la moneta per la Conferenza numero Dodici — esclamò Virginia in tono allegro.

— Be', è vero. — Carl non sapeva come prenderla, non gli piaceva il modo in cui la sua attenzione si era spostata su Saul Lintz nel momento in cui si era unito a loro. Si era mezza girata sulla sua sedia, quasi di faccia a Saul, e accennò appena a guardare Carl quando lui ebbe finito. — E qualunque accenno che qualcuno ne trarrà un profitto maggiore rispetto al resto di noi… be', finirà per causare guai.

Saul sollevò un sopracciglio, interrogativo. Pareva molto esperto nel fare un commento su quello che la gente diceva con un gesto minimo o una scrollata di spalle, un'economia di espressione che Carl gli invidiava.

— Si riferisce ai pettegolezzi del sottoponte — gli spiegò Virginia. — Il fatto che… sì… i non-percell occupino tutti i posti importanti.

— Non-percell come me?

— Adesso che lo dici — annuì Carl.

— Anzianità. Dopotutto, nessuno di voi geneticamente preselezionati ha più di quarant'anni.

— Sei sicuro che non ci sia altro? — Carl si protese in avanti, le mani intrecciate, i gomiti sulle ginocchia.

L'uomo più anziano corrugò la fronte percependo qualcosa nella voce di Carl. — Naturalmente. Che altro pensi che ci possa essere?

— Non potrebbe darsi che la Terra non abbia voluto nessuno di noi là dove potevamo creare problemi?

Saul rimise giù con cura il suo bicchiere e si rilassò sullo schienale. — Gli esiliati sono troppo malconci per causare affanno al faraone — disse, come se stesse parlando fra sé.

A Carl quell'osservazione parve in qualche modo irritante. — Perché non ti limiti a rispondere alla mia domanda?

— Era una domanda? Mi pareva un'accusa.

La voce di Carl era stata più aspra di quanto fosse sua intenzione, ma che fosse dannato se adesso si sarebbe tirato indietro. — Considera l'Installazione del Sistema di Sopravvivenza, il mio gruppo. Il capo della nostra selezione è Suleiman Ould-Harrad, un…

— Ortho? — lo imbeccò Saul con calma.

— Be', sì, è quello in gergo.

— Lo è. Geneticamente ortodosso. — Saul si rilassò ancora di più contro lo schienale, accostando una mano all'altra a V. — Intendendo una mescolanza zigotica non manipolata uscita dal mare dei geni umani, niente di più. I geni non hanno opinioni.

Carl scosse la testa. Non gli piacevano i modi pedanti che gli scienziati adottavano sempre, come se tutto quel gergo li rendesse migliori, più intelligenti, più saggi. — Ascolta, il tuo lavoro con i gas, le direzioni di tutti i laboratori, tutto in mani… vostre.

— Tu supponi che terranno questi frutti per sé? Per vendere le loro competenze una volta tornati sulla Terra?

Virginia interloquì con voce pacata: — Non è un'ipotesi impossibile, Saul.

Saul parve sorpreso a sentirselo dire da lei. — Temo che per me lo sia. L'implicazione diretta è che ci possa essere una cospirazione da parte del contingente «normale»…

— Visto? — scattò Carl. — Chiama i suoi «normali», allora noi non lo siamo.

Saul replicò, rigido: — Non intendevo dirlo in quel senso.

— È così che è saltato fuori.

Virginia s'intromise: — Carl, non puoi saltare addosso ad ogni…

— Non lo sto facendo. Sto soltanto cercando di vedere se dove c'è fumo, c'è arrosto. — Si sentiva caldo. Buttò giù il suo drink.

Saul fece una pausa, passandosi pensosamente la lingua sul labbro inferiore. — Lascia che cominci daccapo. Carl, se tu sapessi qualcosa su di me, capiresti che non vi sono ostile. Esattamente il contrario, in realtà. — Fissò Carl con sguardo fermo. — Suppongo che finiresti per scoprirlo comunque, presto o tardi… Io ho lavorato per anni insieme a Simon Percell.

Carl lo guardò stordito. Virginia rimase a bocca aperta, e poi disse: — Lo hai fatto? Avevo sentito delle voci, ma… non ci credevo.

— Soltanto come specializzazione postlaurea. — Saul scrollò le spalle. — Il nostro ultimo progetto comune studiava le deviazioni nei livelli di attivazione del lupus erythematosus. Ricorderete che quella è stata una della malattie principali dalla quale Percell vi ha liberato. Quell'orrenda affezione inguaribile che attaccava la pelle, i tessuti connettivi, la milza e i reni.

Virginia annuì. — Mia madre è morta per causa sua.

— Sì — annuì Saul. — E anche tua nonna.

Virginia contrasse la labbra per la sorpresa. Saul scrollò le spalle. — Mi ricordo il tuo caso. Simon effettuò le indispensabili alterazioni del DNA di tua madre, mentre io imparavo le tecniche per la prima volta.

Virginia si sporse in avanti. — Hai…

— … fatto il lavoro vero e proprio? Onestamente non riesco a ricordarmelo. Ho svolto i compiti di assistente per molte tecniche di sartoria genetica, alcune sperimentali, altre abbastanza dirette.

— Allora tu… potresti… essere…

Saul sbatté gli occhi, rilassandosi sullo schienale, evitando il suo sguardo estatico. — A quell'epoca era ormai un compito puramente meccanico. Assai poca ricerca, al di fuori della mai parte. Ho compiuto studi su come le cellule risultanti reagivano alle incursioni chimiche che, per il lupus normale, causavano un insorgere spontaneo della malattia.

Virginia disse lentamente: — E la mia… no?

— È ovvio che tu sei stata uno dei nostri successi. Credo proprio che tu non abbia nessuna traccia di lupus.

Virginia scosse la testa. — Per merito tuo.

— No. Di Simon Percell. Io ero andato da lui soltanto per imparare le sue tecniche. Fu durante quei pochi anni, quando godette dell'appoggio più completo, quando tutte le cose erano possibili. O così pensavamo.

Carl disse: — Comunque… non sapevo che tu avessi lavorato con Percell. — Si sentiva addolorato. Era probabile che Saul fosse stato presente quando i geni di sua madre erano stati delicatamente risistemati, liberati da quella microscopica costellazione molecolare che trasmetteva la leucemia. Poi, gli stregoni della genetica avevano aggiunto preziosi frammenti di DNA per dargli quel bagaglio di miglioramenti fisici che adesso contrassegnavano ogni percell. Per lui, Carl, quella piccola, coraggiosa banda d'ingegneri genetici era leggendaria. Non ne aveva mai incontrato uno prima di allora.