Sempre che riusciamo veramente a rivedere Giove.
Carl scese in fretta lungo il Pozzo 3, controllando tutti i piccoli distaccamenti lungo il percorso. Era una vecchia abitudine che risaliva ai tempi antecedenti il pattugliamento delle gallerie da parte degli animali geneticamente progettati per divorare le halleyforme indesiderate. Si fermò ad accarezzare un paio di ibridi mangusta-furetto che Saul aveva prodotto su misura per controllare le halleyforme. Gli strisciarono addosso, strofinandogli il muso contro la mano, scoprirono che non era adatto al loro nutrimento e persero interesse.
Entrò nella Centrale e fece il solito controllo giornaliero degli schermi. Adesso si trovavano a sole sei settimane dal perielio e un chilometro dopo l'altro la cometa li stava conducendo — con la sua accelerazione — verso una fine quasi certa. Carl richiamò le poche panoramiche ancora disponibili trasmesse dei relé meteorologici in superficie.
Oggi andava peggio. Molto peggio.
Scelse una telecamera che guardava in direzione della linea dell'alba. Molto lontano, aurore boreali color avorio ribollivano via da promontori colpiti dalla luce del Sole. Il Sole separava nel modo più netto il cielo dal ghiaccio, una linea di divorante fulgore che si allargava sempre più. Dita dorate si stendevano fra le colline all'orizzonte illuminando il primo fumo del mattino. Dove gli obliqui raggi del Sole trovavano il ghiaccio fresco, erompevano gocce d'un pallido azzurro e di un verde rubicondo. Molto in alto ondeggiavano stendardi di plasma, aurore più estese di quelle viste da Amundsen e Peary.
Si erano intessute di nuovo intorno ad Halley per livellare il carico termico. Jeffers aveva montato tutto uno spiegamento di pannelli assorbenti per controllare in parte la dispersione de gas e usarla per una rozza forma di navigazione, ma in quel caos ululante era impossibile perfino fare il punto con le stelle e dire come se la stavano cavando.
Stiamo salpando nel cuore della tempesta pensò. E niente bussola.
Halley non era più una palla di ghiaccio. Assomigliava invece ad una terra innevata misteriosamente butterata e foruncolosa, dove ogni traccia dell'uomo era stata cancellata. Un miliardo di piccole sorgenti di gas più attive avevano bucherellato le pianure polverose, lacerando il suono per uscire fuori e liberamente unirsi al vuoto totale. Strati di polvere, più pesanti, chiazzavano le cavità. Occasionali chiazze brune venivano d'un tratto soffiate via, unendosi alla sfrecciante ascesa della brillante chioma giallo-verde, visibile a Carl come un alone diffuso che si stendeva attraverso il cielo. Mentre guardava, un lento oscurarsi increspò quel trasparente bagliore, un'onda diretta verso l'esterno, generata da qualche eruzione di polvere sul lato rivolto al sole.
— È piuttosto brutta — commentò Jeffers, al suo fianco. Era diventato perfino più magro, nel colombario, la sua pelle più giallastra. — Le particelle al secondo sono tre volte più numerose di quant'erano la settimana scorsa.
— Da questo momento in avanti cresceranno a un ritmo quasi esponenziale — disse Carl. Lo enunciò come un fatto acquisito, anche se era soltanto una previsione di Virginia; era stata talmente accurata, negli ultimi tempi, che non pareva proprio che potesse esserci ancora una distinzione tra ipotesi e realtà.
— Abbiamo perso l'ultimo dei misuratori di velocità.
— Non mi sorprende.
— È stato soffiato via.
— La temperatura?
— Il lato notturno è a centoottanta Kelvin. Quello diurno circa quindici gradi di più. Ciò crea un grosso gradiente.
Il carico termico era cruciale. A mano a mano che la superficie continuava a riscaldarsi, il calore filtrava dentro il nucleo. — Qual è il dato giù nei pozzi?
— Pare che sia all'incirca sette gradi più freddo che in superficie.
— Già.
— Proprio così.
Il ghiaccio era elastico. La superficie, più calda, si espandeva, si tendeva, si spaccava. L'incessante martellare dei lanciatori aveva indubbiamente stressato il ghiaccio fin giù, nelle profondità di Halley. Con il calore, le tensioni sarebbero state liberate, e si sarebbero formate delle fratture. Quante? Nessuna simulazione numerica poteva dirlo. Halley era già crivellata dalle tane che gli esseri umani avevano scavato, come una colonia d'insetti. Avrebbe potuto spaccarsi completamente in due, eruttando in un ultimo ànsito tutti gli insignificanti parassiti umani che l'avevano afflitta.
Mentre guardavano, una goccia perlacea ruppe la crosta della superficie ed esplose in una turbinante sinfonia ciclonica di colori eccitati: verde pisello, violetto, giallo zolfo.
— Vidor è già stato svegliato?
— Ho ordinato che comincino, ma ci vorrà un altro giorno.
— Be', non c'è più motivo di correre. Il suo castello è scomparso.
Jeffers indicò una massa accasciata vicino alla linea dell'alba. L'ornata, modellata e scolpita opera d'arte, che era stata il capolavoro di Vidor nel ghiaccio, creata tre anni dopo la battaglia equatoriale, per il compito che doveva svolgere, come sostegno strutturale per il Pozzo 20, avrebbe potuto essere una semplice scatola quadrata, un igloo. Vidor aveva voluto aggiungervi parapetti, torri, argentei arabeschi, mura merlate e ponti volanti biancoazzurri. Adesso…
— Non si aspetta certo di trovarlo ancora in piedi… — Un castello di sabbia dura soltanto fino alla prossima marea.
— Quanti ne tirate fuori?
— Tutti — rispose Carl. — Salvo quelli che sono talmente morti che non esiste nessuna vera speranza di salvarli, naturalmente.
Jeffers torse la bocca, atteggiandola nella sua familiare linea di scetticismo. — I tecno-medici sono in grado di utilizzare quelle nuove cure?
— Virginia ha adibito dei mech ad aiutarli. Li ha addestrati in velocità, con quel suo metodo sperimentale.
— Cosa avete deciso a proposito di quelli parzialmente danneggiati al cervello?
— Non serviranno un granché, ma meritano ugualmente di essere rianimati.
— Già. Hanno pagato il biglietto. Tanto vale che assistano al finale.
Alcuni si erano opposti alla sua decisione, ma lui aveva respinto le loro obiezioni. L'argomentazione razionale era che con il massimo equipaggio possibile sveglio avrebbero potuto affrontare più efficacemente eventuali crisi. La motivazione privata di Carl, però, era del tutto emotiva. Se Halley si fosse spaccata, se si fosse rotta in due, se fosse esplosa in un rutilante pennacchio in technicolor, per lo meno avrebbero vissuto tutti ogni singolo momento, affrontando la fine così come avevano cominciato: una spedizione, un equipaggio.
È pur sempre qualcosa pensò Carl. Così, non si finisce addormentati nell'oblio.
Corrugò la fronte. Qual'era la poesia che Virginia aveva sottoposto alla sua attenzione?
Non dovrei pensare al programma come se fosse Virginia, ma mi è impossibile non farlo. JonVon non esiste più. E qual era la poesia che ha recitato ieri?
Non andare con gentilezza dentro quella buona notte…
Giusto. Dannatamente giusto.
— Signore?
Carl si girò, non riconoscendo la voce.
Era il capitano Miguel Cruz.
— Uh… — Carl fissò l'uomo, immutato rispetto al ricordo che ne aveva. La mascella era sempre solida, sicura. Lo sguardo era fermo, ispirava fiducia. Perfino il colore azzurro dovuto al colombario non poteva nasconderlo.
Tuttavia, in quell'uomo c'era qualcosa d'impacciato… di bloccato. Cruz indossava scarpe, e si reggeva in piedi come se la gravità avesse importanza.