Le probabilità erano contro quest'ipotesi. Probabilmente quel pianeta aveva avuto soltanto animali e vegetazione, e la fine era arrivata in fretta, senza nessun preavviso. Ciò non rendeva l'evento meno spaventoso, meno terribile in senso biblico.
Tutte le creature native, dagli animali alle piante, alle piccole forme sulle soglie dell'intelligenza, magari… tutti erano morti proprio nel processo che, in maniera più diretta, aveva condotto all'avventura della stessa Terra.
Che universo… pensò.
Era quasi una questione secondaria, adesso, che ciò aiutasse a spiegare la presenza della vita su Halley. Dapprima quasi incredule, le menti degli scienziati della Terra avevano finito per concludere che quei piccoli frammenti della biosfera del pianeta esploso dovevano essere stati trascinati via dall'onda d'urto, per congelarsi nel freddo dello spazio. Pezzi di roccia, e perfino materia un tempo vivente, avrebbero avuto la funzione di semi ideali intorno ai quali i gas delle frange esterne del nuovo sistema solare potevano coagularsi. Halley, a quanto pareva, si era condensata intorno a un grumo dell'antico pianeta, allo stesso modo con cui le goccioline di pioggia si raccolgono intorno alle particelle di polvere alla deriva nei cieli fecondi della Terra.
Non c'era da stupirsi che le tracce diventassero sempre più ricche quanto più si scendeva in profondità all'interno della cometa. C'era già stata una matrice intorno alla quale i composti prebiotici della nebulosa presolare si erano raccolti durante quei primissimi giorni.
Saul si chiese quante altre comete si fossero formate intorno a simili semi. Non molte immaginò. Noi abbiamo soltanto avuto fortuna, suppongo rifletté ironico.
Oppure le antiche storie di disastri portati dalle comete rispondevano a verità? Era possibile che la Terra fosse stata sempre «rinfrescata» di tanto in tanto, con nuove dosi dell'antica biologia, le quali scendevano galleggiando dentro l'atmosfera tutte le volte che una cometa passava vicina? Ciò avrebbe contribuito a spiegare perché le forme di vita fossero così compatibili. La vita della Terra continuava a incorporare nuovi pezzetti e pezzettini da quel grande magazzino che era lo spazio profondo.
In un certo senso, l'antico pianeta distrutto viveva ancora. I frammenti del codice organico preantico galleggiavano dentro ognuno di loro, e specialmente nei coloni di Halley. Dopo la morte e le paure dei primi giorni, era ironico che sui tempi lunghi risultasse un beneficio, contribuendo alla diversità di cui avrebbero avuto bisogno nei secoli futuri.
Forse la gente di Halley non era più neppure «umana», non nel senso classico della parola. Non alla maniera con cui si stavano sviluppando i terrestri, preparandosi alla loro propria esplosione nella Galassia.
Loro raggiungeranno le stelle. Balzando da un puntino luminoso all'altro, soggiornando giù, dove la gravità incurva strettamente lo spazio e il Sole cuoce i mondi pesanti rocciosi.
Noi, d'altro canto, viaggeremo più lentamente. Ma noi avremo il vero universo… gli spazi in mezzo.
Ricordando la simulazione che Virginia gli aveva fatto vedere, Saul sorrise.
Percepì nel connettore neurale il lieve sfioramento d'una presenza. Stai origliando di nuovo, tesoro? proiettò.
Sì, amor mio. Tanto vale che ti abitui. Siamo insieme in questo, per un lungo periodo.
Sì. Sorrise. Giacché, quando quel corpo che indossava fosse scomparso da tempo, i suoi ricordi avrebbero cavalcato un altro clone… continuando ad amare Virginia. L'Ebreo Errante e la Signora della Macchina… sarebbero stati una risorsa per la gente, servendoli fino a quando qualcuno li avesse voluti intorno.
L'immortalità è servizio pensò.
Si strinsero l'uno all'altra nelle fredde braccia elettroniche. Ed entrambi immaginarono di sentire, debole e spettrale in distanza, una bassa risata di conferma.
VIRGINIA
Lani fece rimbalzare il bambino sulle ginocchia, provocando uno strillo di terrore e di delizia. Carl fissò raggiante quella coppia giuliva e continuò a pompare metodicamente alla sua macchina per gli esercizi. Dovevano passare metà del loro tempo nella ruota-G per mantenere i normali livelli di crescita del calcio nei bambini. Un decimo di G era pesante, ma non imponeva nessuna vera fatica.
— Vuoi visitare la zia Ginnie? — chiese Lani alla sorella più anziana del bambino, che annuì con un pollice in bocca.
Un tremolio comparve, sospeso nell'aria. Poi un'abbronzata Virginia ne uscì fuori, agitando la mano in segno di saluto. — Ciao, marameo… il surf è finito. V'interessa?
La piccola Angelique scoppiò a ridere, e il fratellino strillò di gioia. Il secondo parto di Lani era stato, secondo le parole di Saul, «noiosamente normale». Entrambi i bambini parevano metter su peso sotto gli occhi di Virginia; ne accumulavano sempre più ogni giorno e mangiavano come tempeste di fuoco.
Carl indicò con un gesto la selva verdeggiante di Stormfield Park in basso, sotto la ruota. — Pensi che riusciremo mai a infilare un lago qui dentro?
— E poi crearci sopra delle onde? — chiese Lani, in tono furbesco.
Carl annuì. — È probabile che Angelique vorrà copiare sua zia.
— Su, adesso — replicò Lani. — Ci sono pur sempre alcune cose che non possiamo realizzare, sai.
Carl sogghignò. — Vuoi scommettere?
Virginia ricordava la caduta dentro il pozzo gravitazionale di Giove. Era stato un periodo di tensione e di rimorso.
Il modo in cui aveva modellato i venti del materiale sublimato aveva inclinato l'orbita di Halley, aggiungendo velocità. La divergenza dalla loro traiettoria originaria si era ampliata costantemente a mano a mano che i lanciatori martellavano interminabilmente. In termini astronomici, si era trattato d'una deviazione di poco conto. Ma per loro era stata cruciale.
Erano arrivati alle spalle di Giove, sulla sua immensa orbita planetaria, non sul davanti. Erano sfrecciati attraverso il nevischio protonico delle colossali cinture magnetiche, avevano visto la faccia chiazzata di Io scagliare contro di loro i suoi foschi saluti vulcanici.
Passando dietro a quel mondo gigantesco, non era stata sottratta velocità ad Halley, ma al contrario ne era stata aggiunta. Invece di descrivere un arco che l'avrebbe riportata dentro la parte interna del sistema solare, la testa della cometa aveva accelerato ancora di più, schizzando verso l'esterno, lontano dal Sole. Adesso il gigante avvampante se ne stava acquattato dietro quella particella che fuggiva frettolosa. I suoi raggi e la sua attrazione diventavano ogni giorno più fievoli.
Quando si erano allontanati dall'inanellato Giove, Virginia aveva studiato con attenzione le facce dei membri dell'equipaggio che stavano osservando gli schermi. Si erano guardati l'un l'altro, rendendosi conto dell'enormità di ciò che stavano per affrontare.
Adesso, molti anni più tardi, la cupa rassegnazione di quei giorni si era stemperata. Ci sarebbero voluti parecchi secoli prima che raggiungessero il regno davvero ricco, dove i mondi di ghiaccio si ammassavano in grandi aloni simili a sciami di api. Immense distanze li separavano, ma nello spazio interstellare viaggi come quelli richiedevano poca energia.
Quelle remote palle di ghiaccio li chiamavano, fresche riserve di metalli e di sostanze volatili. Ci sarebbe stata una generazione successiva, e un'altra ancora. Meritavano quelle risorse; meritavano occasioni, speranze.
Carl, Lani, in realtà tutti loro, erano colti nella spirale della lenta diminuzione.
Saul, tuttavia, avrebbe forse potuto durare per sempre, a meno che qualche incidente non lo rivendicasse a sé. E anche se fosse morto, ci sarebbero stati i suoi cloni. Avrebbero sempre avuto un Saul.