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Sapevo una moltitudine di altre cose.

Sapevo tante cose che avrei impiegato intere notti per apprenderle, se fossero state confidate con parole mortali. E non immaginavo quanto tempo fosse trascorso.

Sapevo che millenni prima c’erano state grandi battaglie fra i Bevitori di Sangue; molti di loro, dopo la prima creazione, erano divenuti profani, spietati apportatori di morte. Diversamente dai benevoli amanti della Buona Madre che digiunavano e quindi bevevano il sangue delle vittime sacrificali, erano angeli della morte che potevano avventarsi su qualunque vittima in qualunque momento, gloriandosi nella convinzione di essere parti dei ritmi delle cose, in cui la singola vita umana non conta e morte e vita si equivalgono… e di avere il diritto di infliggere sofferenze e compiere massacri.

E questi dèi terribili avevano devoti adoratori tra gli uomini, schiavi umani che portavano loro le vittime e tremavano di paura al pensiero di poter cadere per il capriccio della divinità.

Simili dèi avevano regnato nell’antica Babilonia e in Assiria e in tante città ormai dimenticate e nella lontana India, e in terre ancora più lontane di cui non comprendevo i nomi.

E persino in quel momento, mentre ero stordito da quelle immagini, comprendevo che quegli dèi erano diventati parte del mondo orientale, estraneo al mondo romano in cui ero nato. Appartenevano al mondo dei persiani dove gli uomini erano umili schiavi del re, mentre i greci che li avevano combattuti erano liberi.

Per quanto fossero grandi le nostre crudeltà e i nostri eccessi, anche l’ultimo dei contadini aveva un valore per noi. Vita è valore. E la morte era soltanto la fine della vita, da affrontare con coraggio quando la morte non lasciava scelta. Per noi la morte non era gran cosa. Anzi, non credo che per noi la morte fosse qualcosa. Certamente non era stato preferibile alla vita.

E, sebbene quegli dèi mi fossero stati rivelati da Akasha in tutta la loro grandezza e il loro mistero, mi apparivano spaventosi. Non potevo accettarli, né allora né mai; e sapevo che le filosofie discese da loro non avrebbero mai giustificato le mie uccisioni e non mi avrebbero mai consolato quale Bevitore di Sangue. Mortale o immortale, appartenevo all’Occidente e ne amavo le idee. E mi sarei sempre sentito colpevole di ciò che facevo.

Vedevo tuttavia il potere di questi dèi, la loro bellezza incomparabile. Godevano di una libertà che non avrei mai avuto. E vedevo il loro disprezzo per tutti coloro che li sfidavano. Li vedevo portare corone splendenti nel pantheon di altri paesi.

E li vedevo venire in Egitto per rubare il sangue originale e onnipotente del Padre e della Madre e assicurarsi che il Padre e la Madre non si bruciassero per porre fine al regno degli dèi oscuri e terribili, per i quali tutti gli dèi benefici dovevano essere abbattuti.

E vidi la Madre e il Padre imprigionati. Li vidi murati, con blocchi di diorite e di granito premuti contro i loro corpi in una cripta: solo le teste e i colli erano liberi. In questo modo gli dèi tenebrosi potevano nutrire la Madre e il Padre con il sangue umano cui non sapevano resistere; e prendere dalle loro gole il sangue potente, contro la loro volontà. E tutti gli dèi tenebrosi del mondo venivano a bere a quella fonte antichissima.

Il Padre e la Madre urlavano per la sofferenza. Imploravano di venire liberati. Ma questo non commuoveva gli dèi tenebrosi che si allietavano di quell’agonia, e la bevevano, come bevevano il sangue. Gli dèi tenebrosi portavano teschi umani appesi alle cinture, e i loro indumenti erano tinti col sangue umano. La Madre e il Padre rifiutavano le vittime, ma questo li rendeva ancora più impotenti. Non prendevano ciò che avrebbe potuto dar loro la forza di muovere le pietre e di influire sugli oggetti con il solo pensiero.

Tuttavia la loro forza aumentava.

Anni e anni di tormento, e guerre tra gli dèi, guerre tra le sette che patteggiavano per la vita e quelle che patteggiavano per la morte.

Anni innumerevoli, fino a che la Madre e il Padre tacquero e non vi fu più nessuno che ricordasse il tempo in cui avevano implorato, lottato o parlato. Vennero anni in cui nessuno ricordava più chi avesse imprigionato la Madre e il Padre, e perché la Madre e il Padre non dovessero mai essere liberati. Alcuni non credevano neppure che la Madre e il Padre fossero proprio quelli veri, e che la loro immolazione avrebbe danneggiato altri. La ritenevano una vecchia favola.

E nel frattempo l’Egitto era l’Egitto, e la sua religione, non corrotta da estranei, continuò a procedere verso la fede nella coscienza, il giudizio dopo la morte, la fede nel bene sulla terra e nella vita dell’aldilà.

Poi venne la notte in cui la Madre e il Padre furono trovati liberi dalla loro prigione. E quelli che li custodivano compresero che loro soltanto potevano aver mosso le pietre. In silenzio, la loro forza era cresciuta incalcolabilmente. Tuttavia erano come statue, e stavano abbracciati al centro della camera sporca e buia dov’erano rimasti chiusi per secoli. Erano nudi e splendenti. I loro abiti erano marciti molto tempo prima.

Se e quando bevevano il sangue delle vittime offerte, si muovevano con la lentezza torpida dei rettili in inverno, come se il tempo avesse assunto per loro un significato del tutto diverso, e gli anni fossero come notti, i secoli come anni.

E l’antica religione era forte come non mai: non apparteneva all’Oriente né all’Occidente. I Bevitori di Sangue restavano simboli positivi, immagini luminose della vita dell’aldilà, dove avrebbe trovato la gioia anche l’anima del più umile egiziano.

In quei tempi più tardi la vittima poteva essere soltanto il malfattore: con questo mezzo gli dèi eliminavano il male e proteggevano il popolo, e la loro voce silenziosa consolava i deboli, rivelava le verità scoperte dagli dèi durante l’inedia: il mondo era pieno di bellezza imperitura, e nessun’anima era veramente sola.

La Madre e il Padre erano tenuti nel più bello dei santuari; tutti gli dèi venivano a onorarli e, con il loro consenso, prendevano qualche goccia del loro sangue prezioso.

Ma poi accadde l’impossibile. L’Egitto stava per finire. Ciò che sembrava immutabile stava per mutare completamente. C’era stato Alessandro, regnavano i Tolomei, e poi vennero Cesare e Antonio… tutti protagonisti estranei al dramma che era semplicemente la Fine.

E infine venne l’Anziano cinico e perverso e deluso, che espose al sole la Madre e il Padre.

Mi alzai dal letto e rimasi in quella camera, a guardare la figura immota di Akasha. I lini sporchi che le pendevano addosso sembravano un insulto. Nella mia mente turbinavano antiche poesie. Ero travolto dall’amore.

Non sentivo più alcun dolore, dopo la lotta con l’Anziano. Le ossa s’erano saldate. M’inginocchiai e baciai le dita della mano destra abbandonata lungo il fianco di Akasha. Alzai il viso e mi accorsi che mi guardava con la testa inclinata e un’espressione stranissima: sembrava pura, nella sua sofferenza, quanto la felicità che avevo appena conosciuto. Poi, con lentezza inumana, la testa tornò a volgersi in avanti; e in quell’attimo compresi di aver visto e conosciuto cose che l’Anziano non aveva mai saputo.

Mentre avvolgevo di nuovo il suo corpo nei lini, ero come in trance. Più che mai sentivo l’imperativo di aver cura di lei e di Enkil, e l’orrore della morte dell’Anziano balenava davanti a me a ogni secondo, e il sangue che mi aveva donato Akasha aveva ingigantito la mia euforia e non soltanto la mia forza fisica.

E mentre mi preparavo a lasciare Alessandria, sognai di destare Enkil e Akasha: negli anni futuri avrebbero ripreso tutta la vitalità che era stata loro rubata, e noi ci saremmo conosciuti in modi così intimi e sorprendenti da far impallidire al confronto i sogni di conoscenza e di esperienza che mi erano stati donati con il sangue.

I miei schiavi erano tornati con i cavalli e i carri, con i sarcofagi di pietra e le catene e i lucchetti che avevo ordinato loro di acquistare. Attendevano fuori, sulla strada.