«Sì, e tutta la sofferenza di veder morire tante cose…» Tutte le cose contro cui mi aveva messo in guardia Armand.
«Naturalmente. Sei fatto per trionfare sul tempo, non per fuggirne. E soffrirai perché conosci il segreto della tua mostruosità e perché devi uccidere. E forse cercherai di nutrirti solo dei malfattori per alleviare la tua coscienza; e forse ci riuscirai, forse no. Ma potrai giungere molto vicino alla vita, se rinchiuderai il segreto dentro di te. Sei fatto per giungerle vicino, come hai detto una volta ai membri della vecchia congrega parigina. Tu sei l’imitazione di un uomo.»
«Lo voglio, lo voglio…»
«Allora fa’ ciò che ti consiglio. E comprendi anche questo. In un senso molto reale l’eternità è vivere un’esistenza umana dopo l’altra e nulla più. Naturalmente possono esservi lunghi periodi di ritiro, tempi di sonno o di semplice osservazione. Ma poi ci immergiamo di nuovo nella corrente e nuotiamo finché possiamo, finché il tempo e la tragedia ci travolgono come se fossimo mortali.»
«Tu lo farai ancora? Lascerai questo ritiro e t’immergerai nella corrente?»
«Sì, certo. Quando si presenterà il momento opportuno. Quando il mondo sarà di nuovo così interessante che non saprò resistere. Allora percorrerò le vie delle città. Assumerò un nome. Farò molte cose.»
«Allora vieni subito, con me!» Ah, l’eco dolorosa di Armand, e la vana supplica di Gabrielle, dieci anni dopo.
«È un invito più allettante di quanto immagini», rispose Marius. «Ma ti renderei un pessimo servizio se venissi con te. Starei fra te e il mondo. Non potrei evitarlo.»
Scossi la testa e distolsi lo sguardo, pieno di amarezza.
«Vuoi continuare?» chiese Marius. «Oppure vuoi che si avverino le predizioni di Gabrielle?»
«Voglio continuare», dissi.
«Allora devi andare. Fra un secolo o forse meno c’incontreremo di nuovo. Non sarò su quest’isola. Avrò portato in un altro luogo Coloro-che-devono-essere-conservati. Ma, dovunque tu sia e dovunque io sia, ti troverò. Allora sarò io a non volere che tu mi lasci. Sarò io a implorarti di restare. M’innamorerò della tua compagnia, della tua conversazione, della tua semplice vista, della tua energia e della tua avventatezza e della tua assenza di fede in qualcosa… tutto ciò che amo già anche troppo in te.»
Era difficile ascoltarlo senza crollare. Volevo che mi supplicasse di rimanere.
«È assolutamente impossibile, ora?» domandai. «Marius, non puoi risparmiarmi questa vita?»
«Impossibile», rispose. «Potrei raccontarti molte storie, all’infinito, ma non sono surrogati della vita. Credimi, ho tentato di risparmiare altri e non ci sono mai riuscito. Non posso insegnare ciò che può insegnare una vita. Non avrei mai dovuto prendere Armand così giovane, e i suoi secoli di follie e di sofferenze sono una penitenza per me ancora adesso. Gli hai fatto un favore spingendolo nella Parigi di questo secolo: ma temo che per lui sia troppo tardi. Credimi, Lestat, quando ti dico che questo deve avvenire. Devi avere quella vita, perché coloro che ne vengono privati piombano nell’insoddisfazione fino a che si decidono a viverla o vengono annientati.»
«E Gabrielle?»
«Gabrielle ha avuto la sua vita, e ha avuto quasi la morte. Ha la forza per rientrare nel mondo quando vorrà, o per viverne ai margini a tempo indeterminato.»
«E tu pensi che vi rientrerà?»
«Non lo so», rispose Marius. «Gabrielle sfida la mia comprensione. Non la mia esperienza… è troppo simile a Pandora. Ma non ho mai capito Pandora. La verità è che molte donne sono deboli, mortali o immortali che siano. Ma quando sono forti, sono assolutamente imprevedibili.»
Scossi la testa. Chiusi gli occhi per un momento. Non volevo pensare a Gabrielle. Gabrielle se n’era andata, qualunque cosa dicessimo.
E non potevo ancora rassegnarmi all’idea di dover partire. Quello mi sembrava un Eden. Ma non discutevo più. Sapevo che Marius era deciso, e sapevo anche che non mi avrebbe forzato. Avrebbe lasciato che cominciassi a preoccuparmi del mio padre mortale, avrebbe lasciato che mi presentassi a lui e annunciassi la mia intenzione di andar via. Mi restavano poche notti.
«Sì», rispose a voce bassa. «E vi sono altre cose che posso dirti.»
Riaprii gli occhi. Marius mi guardava con pazienza affettuosa. Sentivo la tensione dell’amore con grande forza, come mi era accaduto con Gabrielle. Sentivo il pianto inevitabile e facevo del mio meglio per reprimerlo.
«Hai imparato molto da Armand», mi disse, con voce ferma come per aiutarmi in quella lotta silenziosa. «E hai imparato ancor più da solo. Ma vi sono ancora alcune cose che potrei insegnarti.»
«Sì, ti prego», dissi.
«Ebbene, tanto per incominciare», disse Marius, «i tuoi poteri sono straordinari: ma non puoi aspettarti che coloro che creerai nei prossimi cinquant’anni eguaglino te o Gabrielle. La tua seconda creatura non aveva neppure la metà della forza di Gabrielle, e i figli che verranno poi ne avranno ancor meno. Il sangue che io ti ho dato causerà qualche differenza. Se berrai… se berrai da Akasha ed Enkil, e forse deciderai di non farlo… causerà qualche differenza anche questo. Ma non ha importanza: in un secolo, uno di noi non può creare più di tanti figli. E i nuovi saranno deboli. Questo, comunque, non è necessariamente un male. La legge delle vecchie congreghe era saggia in quanto la forza deve venire con il tempo. E poi c’è un’antica verità: potresti creare titani o imbecilli, e nessuno sa come e perché.
«Ciò che accadrà, accadrà. Ma scegli con cura i tuoi compagni. Sceglili perché ti piace guardarli e perché ami il suono delle loro voci, e perché custodiscono segreti profondi che desideri conoscere; in altre parole, sceglili perché li ami. Altrimenti non riuscirai a sopportare a lungo la loro compagnia.»
«Capisco», dissi. «Devo crearli nell’amore.»
«Esattamente, crearli nell’amore. E accertarti che abbiano vissuto una vita prima di crearli; e non crearne mai uno giovane come Armand. E il crimine peggiore che io abbia commesso contro la mia specie: l’aver preso Armand ragazzo.»
«Ma non sapevi che i Figli delle Tenebre sarebbero venuti quando vennero effettivamente e lo separarono da te?»
«No. Tuttavia avrei dovuto attendere. Era stata la solitudine a spingermi. E il fatto che Armand fosse così indifeso, che la sua vita mortale fosse così completamente nelle mie mani. Ricorda: guardati da quel potere, e dal potere che hai sui morenti. La solitudine che ci affligge, e quel senso di potere, possono essere forti quanto la sete del sangue. Se non vi fosse un Enkil, non potrebbe esistere un’Akasha, e se non vi fosse un’Akasha non esisterebbe un Enkil.»
«Sì, e a giudicare da tutto ciò che hai detto, sembra che Enkil desideri Akasha. E Akasha è quella che ogni tanto…»
«Sì, è vero.» Il volto di Marius si oscurò all’improvviso. I suoi occhi avevano un’espressione confidenziale, come se bisbigliassimo e temessimo che qualcun altro potesse udire. Attese un momento, come se pensasse a ciò che doveva dirmi. «Chi sa cosa potrebbe fare Akasha se non vi fosse Enkil a trattenerla?» mormorò. «E perché fingo di credere che Enkil non possa udire tutto questo mentre lo penso? Perché parlo sottovoce? Può annientarmi quando vuole. Forse Akasha è la sola cosa che glielo impedisce. Ma poi, che sarebbe di loro, se Enkil mi eliminasse?»
«Perché si sono lasciati bruciare dal sole?» chiesi.
«Come possiamo saperlo? Forse sapevano che non ne avrebbero sofferto, ma questo avrebbe punito coloro che l’avevano fatto. Forse nello stato in cui vivono comprendono lentamente ciò che accade intorno a loro. E non hanno avuto tempo di chiamare a raccolta le forze, di destarsi dai loro sogni e di salvarsi. Forse i loro movimenti, dopo che questo è accaduto, i movimenti di Akasha che ho visto, erano possibili solo perché erano stati destati dal sole. E adesso dormono di nuovo, a occhi aperti. E sognano di nuovo. E non bevono neppure.»