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Enkil mi stava costringendo a inginocchiarmi. Era chino su di me. All’improvviso vidi completamente la sua faccia. Era impassibile come sempre, e solo la tensione dei muscoli delle braccia faceva pensare alla realtà della vita.

E, attraverso il suono devastante dell’urlo di Akasha, seppi che la porta dietro di me tremava sotto i colpi di Marius, e le sue grida erano quasi altrettanto forti.

Mi usciva il sangue dalle orecchie. Muovevo le labbra.

La morsa di pietra che mi serrava la testa si allentò. Piombai sul pavimento. Finii disteso e sentii la pressione fredda del piede sul petto. Tra un secondo mi avrebbe schiacciato il cuore. E Akasha, con urla sempre più forti, sempre più penetranti, gli stava alle spalle e gli stringeva il collo con il braccio. Vedevo le sue sopracciglia aggrottate, i capelli neri scomposti.

Ma era Marius che sentivo parlare attraverso la porta, attraverso il suono incandescente delle urla di Akasha.

Uccidilo, Enkil, e io te la toglierò per sempre, e lei mi aiuterà a farlo! Lo giuro!

Un silenzio improvviso. Di nuovo la sordità. Il calore del sangue che mi scorreva sul collo.

Akasha si scostò, guardò davanti a sé e i battenti si spalancarono, urtando contro le pareti dello stretto corridoio di pietra. E Marius stava davanti a me, con le mani sulle spalle di Enkil. Enkil pareva incapace di muoversi.

Il piede scivolò, mi scalfì lo stomaco e sparì. E Marius stava dicendo qualcosa che potevo udire soltanto con il pensiero. Esci, Lestat. Fuggi.

Mi sollevai a sedere con uno sforzo e vidi che li faceva tornare lentamente verso il tabernacolo. Vidi che entrambi lo guardavano, e Akasha stringeva il braccio di Enkil; vidi le loro facce che ridiventavano inespressive e per la prima volta quell’inespressività appariva apatica: non era la maschera della curiosità, era la maschera della morte.

«Lestat, fuggi!» gridò di nuovo Marius senza voltarsi. Obbedii.

16.

ERO nell’angolo più lontano del terrazzo quando finalmente Marius entrò nel salotto illuminato. In tutte le mie vene c’era un ardore che trapelava ancora come se avesse una vita propria. E potevo vedere al di là delle sagome scure delle isole. Sentivo l’avanzare di una nave lungo una costa lontana. Ma continuavo a pensare che, se Enkil fosse tornato a cercarmi, avrei potuto buttarmi dalla balaustrata. Avrei potuto tuffarmi in mare e allontanarmi a nuoto. Sentivo le sue mani sulla testa, il suo piede sul petto.

Rimasi accanto alla balaustrata, tremando. E le mie mani erano coperte del sangue delle lesioni alla faccia, che già erano completamente guarite.

«Mi dispiace, mi dispiace di averlo fatto», dissi non appena Marius uscì. «Non so perché l’ho fatto e non avrei dovuto. Mi dispiace. Mi dispiace, lo giuro, Marius. Non farò mai più qualcosa che tu mi dirai di non fare.»

Si fermò a guardarmi, a braccia conserte. Era furioso.

«Lestat, che cosa ho detto la scorsa notte?» chiese. «Sei il più dannato degli esseri!»

«Marius, perdonami. Ti prego. Non pensavo che sarebbe accaduto qualcosa. Ero sicuro che nulla potesse accadere…»

Mi accennò di tacere e di scendere con lui sulla scogliera. Scavalcò la balaustrata e passò per primo. Lo seguii, vagamente deliziato dalla facilità dei movimenti ma troppo stordito per curarmene. La presenza di Akasha mi permeava come una fragranza: ma lei non aveva un profumo, se non quello dell’incenso e dei fiori che forse era riuscito a penetrarle nella pelle bianca e durissima. Com’era apparsa stranamente fragile nonostante quella durezza…

Scendemmo sui macigni sdrucciolevoli fino a quando raggiungemmo la spiaggia bianca, e camminammo insieme in silenzio guardando la spuma nivea che balzava contro le rocce o correva verso di noi sulla compatta sabbia candida. Il vento mi ruggiva nelle orecchie, e sentivo la solitudine che sempre mi ispira: il vento che ruggisce e cancella ogni altra sensazione e ogni altro suono.

Diventavo sempre più calmo, e nel contempo più agitato e infelice.

Marius mi aveva passato un braccio intorno alle spalle, come faceva sempre Gabrielle, e io non badavo a dove stavamo andando. Rimasi sorpreso quando vidi che eravamo arrivati a una piccola cala, dov’era ancorata una barca con un solo paio di remi.

Quando ci fermammo, ripetei: «Mi dispiace. Lo giuro. Non credevo…»

«Non dirmi che sei pentito», disse con calma Marius. «Non ti dispiace affatto ciò che è accaduto, e non ti dispiace di esserne stato la causa, adesso che sei al sicuro e non sei finito schiacciato come un guscio d’uovo sul pavimento della cappella.»

«Oh, ma non si tratta di questo», replicai. Mi misi a piangere. Presi il fazzoletto, accessorio indispensabile per un gentiluomo del Settecento, e mi asciugai il sangue dal volto. Sentivo Akasha che mi stringeva, sentivo il suo sangue, sentivo le mani di Enkil. Stavo rivivendo quei momenti. Se Marius non fosse arrivato in tempo…

«Ma cos’è accaduto, Marius? Che cos’hai visto?»

«Vorrei che potessimo portarci al di fuori del suo udito», disse stancamente Marius. «È una follia dire o pensare qualcosa che potrebbe turbarlo ancora di più. Devo lasciare che si rimetta.»

Ora sembrava veramente furioso. Mi voltò le spalle.

Ma come potevo evitare di pensarci? Avrei voluto aprirmi la testa ed estrarne i pensieri. Sfrecciavano in me come il sangue di Akasha. Nel suo corpo era rinchiusa una mente, un appetito, un ardente nucleo spirituale il cui calore era scorso dentro di me come un fulmine liquido; e indiscutibilmente Enkil aveva su di lei un potere mortale. Lo odiavo. Volevo distruggerlo. La mia mente si aggrappava a ogni sorta di idea folle, la convinzione che fosse possibile distruggerlo senza danneggiare tutti noi, purché rimanesse Akasha!

Ma non aveva senso. I demoni non erano penetrati prima in lui? Ma se non fosse stato così…

«Fermati!» scattò Marius.

Ricominciai a piangere. Mi tastai il collo dove lei l’aveva toccato, mi leccai le labbra e sentii di nuovo il sapore del suo sangue. Guardai le stelle sparse nel cielo, e persino quegli astri benigni ed eterni mi parvero minacciosi e insensati, e sentii un urlo salirmi pericolosamente alla gola.

Gli effetti del sangue di Akasha svanivano già. La prima visione si annebbiò; le mie membra erano di nuovo mie. Forse erano più forti, ma la magia stava morendo. La magia aveva lasciato soltanto qualcosa di più forte della memoria, nel circuito di sangue che si era stabilito fra noi due.

«Marius, cos’è accaduto?» gridai nel vento. «Non essere in collera con me, non abbandonarmi. Non posso…»

«Taci, Lestat.» Tornò indietro e mi prese per il braccio. «Non preoccuparti per la mia collera. Non è importante, e non è rivolta verso di te. Lasciami un po’ di tempo per riprendermi.»

«Ma hai visto cos’è accaduto fra lei e me?»

Marius guardava il mare. L’acqua era assolutamente nera, la spuma assolutamente bianca.

«Sì, ho visto», disse.

«Ho preso il violino. Volevo suonare per loro. Pensavo…»

«Sì, lo so, certo…»

«… che la musica avrebbe avuto un effetto, soprattutto quella musica, quella strana musica dal suono innaturale. Sai che un violino,…»

«Sì…»

«Marius, lei mi ha dato… e ha preso…»

«Lo so.»

«E lui la tiene là. La tiene prigioniera!»

«Lestat, ti prego.» Marius sorrideva con aria stanca e triste,

Imprigionalo, Marius, come avevano fatto gli altri, e lascia libera lei!

«Tu vaneggi, figlio mio», disse Marius. «Tu vaneggi.»

Si voltò e mi lasciò, indicandomi con un gesto di non seguirlo. Proseguì lungo la battigia e l’acqua gli lambì i piedi.