Cercai di calmarmi. Mi sembrava impossibile che fossi stato in qualche altro luogo all’infuori di quell’isola, che il mondo dei mortali fosse là fuori, che la strana tragedia e la minaccia di Coloro-che-devono-essere-conservati fossero sconosciute al di là di quelle scogliere splendenti.
Finalmente Marius tornò indietro.
«Ascoltami», disse. «A occidente c’è un’isola che non si trova sotto la mia protezione. Sulla punta settentrionale c’è una vecchia città greca, dove le taverne dei marinai rimangono aperte tutta la notte. Vai subito là con la barca. Vai a caccia e dimentica ciò che è accaduto. Studia i nuovi poteri che potresti aver acquisito da Akasha. Ma cerca di non pensare a lei e a lui. E, soprattutto, non complottare contro Enkil. Prima dell’alba, torna alla casa. Non sarà difficile. Troverai una dozzina di porte e di finestre aperte. Fa’ ciò che ti dico, subito. Per me.»
Chinai la testa. Era l’unica cosa sotto il cielo che poteva distrarmi, che poteva cancellare ogni pensiero nobile o sconvolgente. Il sangue umano, la notte umana, la morte umana.
Senza protestare mi avviai nell’acqua poco profonda per raggiungere la barca.
Nelle prime ore del giorno guardavo la mia immagine riflessa nel frammento di uno specchio metallico inchiodato al muro di una lurida stanza d’una piccola locanda per marinai. Mi vidi con la giacca di broccato con le trine bianche, il viso riscaldato dal sangue bevuto, e il morto disteso dietro di me sul tavolo. Stringeva ancora il coltello con cui aveva cercato di tagliarmi la gola. E c’era la bottiglia di vino drogato che avevo continuato a rifiutare con proteste scherzose, fino a che lui aveva perso la calma e aveva giocato l’ultima carta. Il suo compagno giaceva morto sul letto.
Guardai il giovane libertino biondo riflesso nello specchio.
«To’, il vampiro Lestat», dissi.
Ma tutto il sangue del mondo non sarebbe bastato ad arrestare gli orrori che mi assalirono quando andai a riposare.
Non potevo fare a meno di pensare a lei, di chiedermi se era la sua risata quella che avevo udito nel sonno la notte precedente. E mi sorpresi perché non mi aveva detto nulla, per mezzo del sangue; poi chiusi gli occhi e all’improvviso molte cose mi tornarono alla memoria, cose meravigliose e incoerenti come se fossero magiche. Lei e io percorrevamo insieme una galleria… non lì, ma in un luogo che conoscevo. Credo che fosse un palazzo in Germania, dove Haydn scriveva le proprie musiche… e lei parlava con disinvoltura, come aveva fatto con me mille altre volte. Ma dimmi tutto, dimmi ciò che crede la gente, ciò che fa funzionare i suoi ingranaggi, che cosa sono queste invenzioni straordinarie… Aveva un elegante cappello nero con un fregio di piume bianche sulla tesa e un velo candido annodato sotto il mento, e il suo viso era giovane.
Quando aprii gli occhi, seppi che Marius mi attendeva. Uscii e lo vidi accanto alla custodia vuota del violino. Voltava le spalle alla finestra aperta sul mare.
«Ora devi andare, mio giovane amico», disse tristemente. «Avevo sperato di avere più tempo, ma è impossibile. La barca ti aspetta per condurti via.»
«A causa di ciò che ho fatto…» dissi, avvilito. Dunque venivo scacciato.
«Lui ha distrutto le cose nella cappella», disse Marius. Ma la sua voce era un appello alla calma. Mi passò il braccio intorno alle spalle e con l’altra mano prese la mia sacca. Ci avviammo verso la porta. «Voglio che tu vada, ora, perché è la sola cosa che lo quieterà, e io voglio che tu ricordi non la sua rabbia, ma tutto ciò che ti ho detto, e sia certo che ci incontreremo ancora come abbiamo deciso.»
«Ma hai paura di lui, Marius?»
«Oh, no, Lestat. Non portare con te questa preoccupazione. Ha fatto altre volte cose come questa, ogni tanto. Non sa ciò che fa, in realtà. Ne sono convinto. Sa soltanto che qualcuno s’era messo tra lui e Akasha. Basta un po’ di tempo perché si rimetta.»
Di nuovo quella frase: «Si rimetta».
«E lei sta seduta come se non si fosse mai mossa, vero?» chiesi.
«Voglio che te ne vada ora, in modo da non provocarlo», disse Marius. Mi condusse fuori della casa, verso la scalinata nella roccia, e continuò a parlare.
«La nostra capacità di muovere gli oggetti con la mente, incendiarli o causare gravi danni con il solo potere del pensiero, non si estende molto al di là del punto in cui ci troviamo fisicamente. Perciò voglio che te ne vada da qui stanotte, e che vada in America. Tornerai a me quando lui non sarà più agitato e non ricorderà più; io non avrò dimenticato nulla e ti aspetterò.»
Quando arrivammo al ciglio della scogliera, vidi la galea nel porto. La scalinata sembrava impossibile, ma non lo era. L’impossibile era lasciare Marius e l’isola in quel momento.
«Non è necessario che scenda con me», dissi prendendo la sacca. Mi sforzavo di non tradire l’amarezza e l’avvilimento. Dopotutto, ero stato io a causare tutto. «Preferirei non piangere di fronte ad altri. Lasciami qui.»
«Vorrei che avessimo potuto trascorrere insieme altre notti», disse Marius. «Per considerare con calma ciò che è successo. Ma il mio amore ti accompagna. E cerca di ricordare le cose che ti ho detto. Quando c’incontreremo ancora avremo molto da dirci…» S’interruppe.
«Cosa c’è, Marius?»
«Sii sincero», mi chiese. «Ti dispiace che sia venuto a cercarti al Cairo e che ti abbia portato qui?»
«Come potrei?» dissi. «Mi dispiace andarmene, ecco. E se non potessi più trovarti o tu non potessi trovare me?»
«Quando verrà il momento, ti troverò», disse Marius. «E ricorda sempre: hai il potere di chiamarmi, come prima. Quando sento quel richiamo, posso superare ogni distanza per rispondere… una distanza che da solo non potrei valicare. Se sarà il momento, risponderò. Puoi esserne sicuro.»
Annuii. C’erano troppe cose da dire, e non pronunciai una parola.
Ci scambiammo un lungo abbraccio. Poi mi voltai e incominciai la discesa. Sapevo che avrebbe capito perché non mi voltavo.
17.
Non sapevo quanto desiderassi «il mondo» fino a che la mia nave non risalì finalmente il fangoso Bayou St. Jean, per raggiungere la città di New Orleans, e vidi contro il cielo luminoso il nero profilo irregolare della palude.
Il fatto che nessuno della nostra specie fosse mai penetrato in quella terra selvaggia mi eccitava e mi avviliva al contempo.
Prima che sorgesse il sole, quella mattina, mi ero innamorato della campagna bassa e umida come mi ero innamorato del caldo secco dell’Egitto; e con il passare del tempo finii per amarla più di qualunque altro posto al mondo.
Lì gli odori erano così forti che si sentiva quello crudo e verde delle foglie assieme a quello dei fiori rosa e gialli. E il grande fiume bruno, che scorreva davanti alla misera Piace d’Armes e alla piccola cattedrale, eclissava ogni altro fiume favoloso che avessi visto.
Ignorato e indisturbato, esploravo la piccola colonia con le vie fangose e i marciapiedi di legno e i luridi soldati spagnoli. Mi perdevo nelle pericolose baracche del porto, piene di battellieri che giocavano d’azzardo e si azzuffavano e di deliziose donne caraibiche, e uscivo per vedere il bagliore silenzioso del lampo, udire il rombo sordo del tuono, sentire il tepore serico della pioggia estiva.
I tetti bassi delle casette splendevano sotto la luna. La luce si rifletteva sui cancelli di ferro delle belle case spagnole, dietro le tende di pizzo appese all’interno delle vetrate pulitissime. Io camminavo tra i rozzi bungalow sparsi sulle banchine, sbirciavo dalle finestre i mobili dorati e gli ornamenti smaltati della ricchezza e della civiltà che in quel luogo barbaro sembravano inestimabili e un poco tristi.