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Questi uomini sanno chi sono e cercano di uccidermi! gridò la sua mente. Muoviti! Corri!

Atterrita e disorientata, corse avanti, cercando di dare un senso alla situazione e di formulare un piano. A suo favore c’era il fatto di essere molto più in forma di Larry e almeno quanto Verne. Inoltre, stava scappando per salvarsi.

L’aspetto sfavorevole era evidente: due uomini armati, che conoscevano la zona, arrabbiati come bestie e decisi a ucciderla. Brutta situazione. Sentì comunque che riusciva a mantenere una certa calma e a combattere il panico.

«Taglia da quella parte!» sentì Verne gridare. «Se non la becco prima, presto uscirà dalla proprietà. Impediscile di tornare indietro.»

Nikki tenne le mani davanti agli occhi per evitare di essere colpita dai rami. La città era a parecchi chilometri alla sua sinistra. Alla sua destra, da ciò che ricordava, non vi era nulla fino alla strada principale, a forse sedici chilometri di distanza. Verne le era parso preoccupato che tornasse indietro tra lui e Larry, per cui forse era proprio quello che doveva fare. Scartò subito quell’idea. Le probabilità di venire acciuffata da uno dei due mentre tornava verso la strada erano troppo alte, specialmente senza alcuna garanzia che, anche se ce l’avesse fatta, sarebbe poi passata un’automobile. Doveva continuare a correre in avanti, cercando un posto dove nascondersi fino al calare del buio. Solo allora sarebbe potuta tornare a Belinda.

Con un piano, per quanto debole, stabilito, si appiattì dietro un grosso tronco e ascoltò. Verne non era molto distante da lei. Lo sentiva parlare. Ci mise, tuttavia, un po’ per capire che non stava parlando, ma cantando, che si stava rivolgendo a lei con una voce da bambino, distorta e ossessionante.

«Vieni fuori, vieni fuori, ovunque tu sia. Tut-tiii, tut-tiii liberi. Forza, signorina, non puoi andare da nessuna parte.»

L’attenzione su Verne venne interrotta da uno sparo alla sua sinistra. Il proiettile si conficcò nel tronco dietro il quale era nascosta.

«Che diavolo stai facendo?» gridò Verne.

«È proprio là, cretino», ribatté Larry. «Proprio dietro quell’albero. Si arrenda, dottore, non può andare da nessuna parte.»

Vi fu un secondo sparo, poi un terzo, ma Nikki stava già correndo via, serpeggiando tra gli alberi e saltando i cespugli. L’enorme killer si era mosso molto più rapidamente di quanto avesse immaginato. Averlo sottovalutato era stato un errore che non avrebbe commesso di nuovo. Gli alberi e il fitto sottobosco erano sia alleati sia nemici, nascondendola fino a un certo punto, ma anche lacerandole faccia e braccia, minacciando di farla inciampare o di accecarla, e impedendole di riprendere fiato.

Perché mi state facendo questo? Perché?

Nikki avrebbe voluto fermarsi e gridare quel perché. Quelli, comunque, erano uomini con ordini e nessuna risposta. Si tuffò, invece, in avanti, cadendo in un basso torrente e cercando, per alcune decine di metri, di percorrerlo di corsa. Doveva esserci qualche posto dove nascondersi, o un sentiero su cui accelerare il passo e mettere una certa distanza tra sé e gli uomini. Scivolò sulle pietre bagnate, scivolò di nuovo. Alla fine, rinunciò e si arrampicò su per la sponda fangosa.

«È nel torrente», gridò Verne. «No, eccola là, sull’altra riva. Da questa parte! Da questa parte!»

Crepitarono altri due spari. Uno spezzò un ramo proprio vicino al viso di Nikki. A meno di non avere un po’ di spazio per correre, l’avrebbero colpita. Tagliò a destra, correndo china per essere un bersaglio meno visibile e per evitare che i cespugli le sferzassero gli occhi. Era tarda estate e sul terreno non vi erano sufficienti foglie morte da nasconderla. Respirava a fatica, cercando di mantenere il ritmo. Sapeva comunque che stava rallentando. Una voce dentro di lei cominciò a dirle di rannicchiarsi a terra dietro un albero e di mettersi semplicemente a pregare che non la vedessero. Quale altra possibilità aveva?

Si poggiò su un ginocchio e rimase immobile, mentre cercava di riprendere fiato. Per dieci secondi, forse quindici, calò il silenzio. Li aveva forse distanziati tanto in così poco tempo? A quella domanda rispose pochi istanti dopo il rumore di un bastone che si spezzava e il fruscio di alcuni cespugli. Almeno uno di loro era vicino, molto vicino. Era in preda al panico e non aveva più idee. La voce interiore le disse di rimanere ferma e di rischiare. L’istinto la esortò ad agire in altro modo. Balzò in piedi e riprese a correre, muovendosi rumorosamente attraverso la fitta boscaglia.

«Da questa parte! Laggiù!» gridò Verne.

Nikki irruppe da alcuni cespugli e si fermò di botto. Era in piena luce sul bordo superiore di una cengia. Davanti a lei si stendeva un lago, annidato in una conca di verdeggiante bosco. La cengia pendeva leggermente per una decina di metri verso un salto di una quarantina di metri sopra la superficie del lago. In lontananza riuscì a malapena a distinguere un paio di barche. Era questo ciò che Verne aveva inteso quando aveva detto che lei presto non sarebbe più andata da nessuna parte. La sua tipica calma era completamente svanita. ‘Cubetto di ghiaccio’ non esisteva più. Era in trappola e stava per morire e l’unica cosa che pensava di poter fare era urlare.

Sentì i due killer sopraggiungere. Non poteva più sfuggire loro. La sua unica mossa era il lago, tuffarsi completamente vestita e sperare di non finire come un pesce nel bidone raccoglipioggia. Nell’attimo in cui si voltò per precipitarsi lungo il pendio in granito, vi fu uno sparo, seguito immediatamente da un altro. La seconda pallottola le scalfì il cuoio capelluto, appena sopra l’orecchio. Stordita, roteò e cadde pesantemente. Sbatté con forza la testa contro la roccia. Impotente e a malapena cosciente, rotolò giù per la china e cadde dalla cengia.

Colpì la superficie del lago con la faccia, consapevole soltanto dell’acqua fredda che l’avvolgeva e del fatto che non si stava muovendo in modo coerente e finalizzato. La caduta le aveva tolto quasi tutta l’aria dai polmoni e, come entrò in acqua, cominciò subito a sprofondare. Nel giro di dieci secondi aveva raggiunto il fondo roccioso. Per alcuni istanti rimase cosciente, sconvolta dall’orrore della situazione. Poi, quando l’oscurità e la pace calarono su di lei, trasse un profondo respiro.

14

Erano già passate le dieci del mattino quando finalmente Matt si sentì abbastanza tranquillo da lasciare Lewis ai fratelli. Frank parve assumere spontaneamente il ruolo di capo nell’assistere il fratello e, paragonato a Lyle e Kyle, era proprio lui il fratello che Matt stesso avrebbe scelto per quel compito. Gli diede un sacco di istruzioni su come curare la ferita e su quali osservazioni generali fare, lo implorò di portare Lewis in ospedale, se si fosse presentato qualsiasi peggioramento, e promise di tornare appena il lavoro glielo avesse permesso. Mandò su di giri la Vulcan e si diresse verso casa per fare una doccia, cambiarsi e chiamare Mae.

«Dottor Rutledge, stavo per mandare la polizia a casa tua», lo rimproverò Mae.

«Scusami. Ieri notte ho fatto un lungo giro in moto e ho dormito sotto le stelle.»

«Non c’erano stelle la notte scorsa, signore», replicò Mae nel suo tono cantilenante. «Non c’è bisogno che racconti a me bugie. Io sono la tua più grande ammiratrice e crederò a qualsiasi cosa tu dica.»

«Va bene lo stesso, Mae. Credimi. Tutto a posto?»

«No, non è tutto a posto. Oggi è di rimpiazzo al pronto soccorso ed è da un’ora che stanno cercando di contattarla.»

«Gesù!»

«Pardon?»

«Ho detto che li chiamerò immediatamente.»

«L’infermiera ha detto qualcosa su un cinquantenne di Hawleyville con diarrea e febbre e nessun medico.»