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«Allora», esordì, quando Matt terminò, «non è certo un racconto che si sente ogni giorno qui in giro. Sapendo che stava arrivando, ho fatto una piccola ricerca sulla Belinda Coal Coke. Nel corso degli ultimi anni, sono state presentate delle querele contro la società, ma, per qualche motivo, erano state presentate tutte da lei.»

«E non è stato preso alcun provvedimento riguardo nessuna delle mie querele», replicò Matt, in modo troppo veemente. «Alla maggior parte delle mie asserzioni non è stato neppure risposto.»

«Immagino che lei abbia tentato anche la via dell’EPA e dell’ufficio governativo delle miniere?»

«Solo una decina di volte, in passato. Le questioni di cui parlavo non erano tanto importanti né facilmente documentabili. Io non ho comunque alcuna credibilità. Ho bisogno di qualcuno di prestigio e potere che convalidi ciò che ho da dire. Ecco perché Hal ha pensato a lei.»

«Questo lo capisco», commentò Carabetta. «Spero che lei non si offenderà, dottor Rutledge, ma le sue asserzioni sono supportate da una grande dose di speculazioni e sentito dire e da pochi fatti reali.»

«Ne sono conscio, ma…»

«Vi è, inoltre, da tenere in considerazione un altro fatto.»

Matt capì che cosa stava per dire.

«E cioè?»

«Cioè il senatore Nick Alexander.»

Matt fece roteare gli occhi. Alexander, il senatore anziano del West Virginia, un tipo influente, conservatore e, qualcuno avrebbe potuto dire, dalla morale tradizionalista. Era un abilissimo politico che, nel corso degli anni, aveva abilmente annullato un bel numero di disegni di legge che avrebbero potuto causare guai ai destinatari.

«Tutto ciò che sono riuscito a ottenere dal suo ufficio sono state alcune lettere con la solita e vana promessa che avrebbero esaminato la faccenda.»

«Può darsi che lei lo sappia già, ma Alexander è il presidente del sottocomitato che sovrintende a questo ufficio e al suo budget.»

«Non mi sorprende affatto.»

«Potrebbe essere in predicato per diventare ministro degli Interni nel secondo governo Marquand. È impossibile per me piombare in una società come la BC C e pretendere un’ispezione immediata senza prove valide.»

«Questo è assurdo», sbottò Matt, sforzandosi di non alzare la voce. «Io ero là. Ho visto il deposito. Lei ha la possibilità di diventare un eroe.»

Questa volta toccò a Carabetta alzare gli occhi al cielo.

«Dottor Rutldge, non sono mai stato un agitatore né un eroe. Spero di poter lavorare in questo ente fino al momento di andare in pensione, quando avrò salito qualche altro gradino sulla scala dell’anzianità. A quel livello la mia pensione sarà più che buona, per me e per la mia famiglia. L’ultima cosa che voglio è mettere in pericolo questo piano perfetto.»

«Capisco», disse Matt, rassegnato.

«Un’ultima cosa», proseguì Carabetta. «Mi sono laureato in chimica, ma ho studiato anche biologia. Nei miei dieci anni in questa sezione dell’OSHA, ho dovuto valutare più incidenti chimici ed esposizioni a sostanze chimiche di quanto sappia contare. Secondo la mia esperienza e conoscenza, non esiste alcuna sostanza tossica capace di provocare il tipo di malattia neurologica che mi ha descritto, specialmente in una donna che viveva a ottocento chilometri di distanza e che in vita sua forse non era mai entrata in una miniera.»

«Ma lei non crede che le sostanze chimiche tossiche possano provocare mutazioni?» domandò Matt.

«Forse», ammise Carabetta. «Dottor Rutledge, mi spiace, ma proprio non vedo il senso di continuare questa conversazione, data la mancanza di prove concrete. Forse dovrebbe riferire ogni cosa alla polizia.»

Con un sospiro, Matt si alzò e strinse la mano di quel burocrate.

«Grazie per avermi ascoltato», disse, sforzandosi di non palesare la sua frustrazione. «Hal ha detto che vorrebbe parlarle un minuto.»

«Naturalmente. Gli dica d’entrare.»

Matt attraversò la piccola sala dove Nikki e suo zio lo stavano aspettando.

«Niente da fare», li avvisò. «Non ci sono prove sufficienti per indurlo a rischiare alcunché o, soprattutto, a fare adirare il grande Nick Alexander.»

«Freddy, Freddy, Freddy», sospirò Hal. «Voi due aspettatemi qui.»

Si sistemò il cappotto sportivo, fletté il collo ed entrò risoluto nell’ufficio di Carabetta. Quindici minuti dopo ne uscì e indicò a Matt e Nikki di spostarsi nel corridoio.

«Sei sicuro di poterci portare nella caverna questa notte?» domandò.

«Sicurissimo. Una volta attraversato il crepaccio, non vi sono vere deviazioni nella galleria, solo svolte e tornanti. L’unica difficoltà potrebbe essere trovare il crepaccio.»

«Di quello non preoccuparti. So dov’è», ammise Hal. «Sono cresciuto tra quelle colline. Dovremo farlo domani notte. Fino ad allora, voi due starete a casa mia. Metteremo la motocicletta nel garage, Matt. Potrete rilassarvi, svuotare il frigorifero e guardare video fino all’arrivo di Fred.»

«Ce l’hai fatta!» esclamò Matt, alzando i pugni. «Si parte!»

Poi, altrettanto rapidamente, lasciò cadere le braccia. «Hal, hai dovuto dargli dei soldi, non è vero?»

«Speravo che il tuo entusiasmo e la tua forza di persuasione l’avrebbero convinto, ma la verità è che ho sempre sospettato che tutto si sarebbe risolto con il denaro. Fred e io abbiamo già avuto simili affari e, credimi, non sono l’unico.»

«Qual è il suo prezzo? Voglio aiutarti, se posso.»

«Avere ragione riguardo la caverna, è tutto il contributo che ti chiedo. E riguardo a quanto mi è stato difficile, ehm, convincere Fred, diciamo che al momento i miei punti di zio dovrebbero essere alti.»

«Di certo hai un nipote maledettamente grato. E non preoccuparti, a meno che non l’abbiano sepolta, la caverna è ancora là. A questo proposito, dovrebbero esserci ancora anche le guardie.»

«A questo ho già pensato», disse Hal. «In verità ho indagato in giro alla ricerca di qualcuno che si occupi di simili cose in modo professionale e ci possa accompagnare. Ora che so quando andremo, farò una telefonata.»

Matt abbracciò lo zio.

«Sai, non c’è motivo per cui tu debba entrare là dentro.»

«Al contrario», replicò Hal. «Con l’improvviso investimento fatto su Fred Carabetta, non mancherei per nulla al mondo.»

Ellen si svegliò con uno spiacevole ronzio in testa. Una pellicola sgradevole le copriva la lingua e il palato. Ebbene, pensò, era stata proprio una gran giornata. Tutto ciò che aveva fatto era stato ubriacarsi davanti a Rudy, svenire e ora si stava svegliando con un malessere da Merlot, senza essere ancora riuscita a dire ciò che aveva fatto. Per peggiorare le cose, a una bambina di due giorni mancavano solo quarantotto ore prima di ricevere la sua prima dose del supervaccino contenente un elemento incluso specificatamente per bloccare una epidemia letale che Ellen ora sapeva essere stata provocata dall’uomo.

Tenne gli occhi chiusi, ben sapendo che, se li avesse aperti, tutto avrebbe iniziato a ruotarle intorno in modo spaventoso. Alla fine, più per vedere che ore fossero che altro, si costrinse a socchiuderli. Le pareti e il soffitto rimasero ragionevolmente fermi. Era nella stanza degli ospiti di Rudy e non più, si rese conto, nella poltrona dove si era appisolata. Era ancora vestita e coperta con la stessa trapunta. Le tende erano tirate, ma c’era luce sufficiente per verificare l’ora. Le cinque. Presupponendo che fosse la stessa giornata, aveva dormito quattro ore e mezzo. Niente male per una dilettante.