«Forza, girati», disse, infilando sotto di lei la punta dello stivale.
Ellen gli permise di capovolgerla quasi del tutto, prima di completare per lui l’azione. Con un grido acuto, rotolò sulla schiena e nello stesso tempo roteò la sua arma. Il chiodo penetrò fino in fondo nella guancia di Sutcher, meno di due centimetri sotto l’occhio. Lui gridò un’oscenità e traballò all’indietro, tentando di afferrare il pezzo di legno. Proprio mentre lo tirava via, cadde pesantemente e rotolò giù per lo scosceso pendio ricoperto di macerie. Ellen balzò in piedi prima che lui arrivasse al vialetto e, senza badare al dolore delle numerose ferite, si arrampicò su per il pendio.
«Maledetta! Ti ucciderò!» gridò Sutcher. «Sei già morta!»
Anche se lui avesse avuto la chiave della jeep in tasca, non sarebbe mai riuscito a prenderla prima che lei arrivasse alla sua macchina. Inciampando, correndo, prendendo fiato, attraversò di corsa il prato terroso. Pochi attimi prima di raggiungere la Taurus, venne colta dal timore che lui le avesse sgonfiato uno pneumatico o le avesse reso inutilizzabile l’auto in qualche altro modo. Tutto bene. Avere girato l’auto prima di andarsene era stata l’unica idea brillante in un pomeriggio colmo di sciocchezze. Riuscì in qualche modo a salire in macchina e pochi secondi dopo s’immetteva con una derapata sulla strada.
Con gli occhi che saettavano dalla stretta strada allo specchietto retrovisore e ritorno, affrontò la strada sterrata quanto più rapidamente possibile. Avvicinandosi alla fine di quella strada, osò tirare fuori dalla borsa il cellulare. Pregando di trovarsi a portata di un ripetitore, compose il numero che le aveva dato Bill Grimes e rimase sorpresa nel sentire immediatamente la sua voce.
«Signora Kroft, quello che ha fatto non è stata una cosa molto saggia», commentò Grimes dopo che lei gli ebbe fatto un rapido riassunto della situazione.
Dimmi qualcosa che non so, pensò. «Credo mi stia inseguendo», disse. «Che devo fare?»
«Sono su un’auto della polizia», rispose lui. «Lei continui a guidare il più rapidamente possibile finché non mi vedrà arrivare dalla parte opposta, quindi accosti e si fermi. Terrò acceso il lampeggiatore, per cui mi riconoscerà.»
«Oh, grazie.» Ellen sentì il battito del polso calare al di sotto dei mille.
«Tutto bene, signora Kroft. Lei ha fatto una cosa veramente stupida, ma fortunatamente sta bene. Ora prendo io il comando. Lei tiri un profondo respiro e lo esali lentamente. Ora è al sicuro.»
«No! Assolutamente no! C’è un bebè che sta dormendo qui. Ora andatevene, per favore. Basta interviste.»
Don Cleary sbatté la porta e tornò nell’appartamento, imprecando contro la porta a pianoterra con serratura e il sistema di sicurezza con cicalino che da un anno almeno non funzionavano più. Dannazione, pensò, sarà bellissimo andarsene da quel quartiere di case popolari una volta per tutte.
«Altri giornalisti?» domandò Sherrie sonnolenta, dal suo cantuccio sul divano.
«Sono stipati sulle scale come conigli e ci sono troupe televisive sul marciapiede.»
Lui, Sherrie, sua suocera e alcuni amici avevano guardato il programma televisivo sull’Omnivax, avvisati da una certa Tricia dell’ufficio di Lynette Marquand. Come la donna aveva promesso, per proteggere, almeno per il momento, la loro privacy, i loro nomi non erano stati diffusi. Naturalmente, dopo l’iniezione, le cose sarebbero cambiate. Su questo non avevano dubbi. La signora Marquand, aveva detto Tricia, fornirà loro volentieri una persona che li avrebbe aiutati ad affrontare la stampa e li avrebbe avvantaggiati economicamente in ogni possibile modo, e di certo ci sarebbero state molte offerte.
Poi, solo un’ora o poco più dalla fine del programma, il telefono aveva iniziato a squillare. Nessuno di coloro che chiamavano sembrava sapere esattamente come aveva ottenuto il numero di telefono dei Cleary o il nome di Donelle. All’inizio, lui e Sherrie si erano sentiti eccitati. Avevano rilasciato un’intervista registrata a un reporter di una stazione televisiva di Washington e permesso a un fotografo del Post di entrare in casa e di scattare loro una foto con la neonata. Dopodiché, mentre l’assalto dei mezzi di comunicazione si intensificava, avevano cominciato a dire di no. Ora si stavano arrabbiando.
Nella sua culla accanto al divano, Donelle cominciò a piangere.
«Dannazione, l’ho svegliata», imprecò Don. «Scusami, tesoro.»
Corse alla culla, prese in braccio il prezioso fagotto e si sedette vicino alla moglie. Il piagnucolio della piccola si arrestò immediatamente. I suoi occhi scuri si spalancarono e parvero fissarsi sul suo volto.
«Ti sta guardando?» chiese Sherrie. «Che civetta.»
«Già, proprio come sua madre.»
«Smettila! Donny, guarda, non è perfetta?»
«Sì.»
«Cosa pensi diventerà? Una ballerina? O… o un medico? O forse un’atleta famosa?»
«Non lo so e non m’importa», rispose Don. «In verità, c’è un’unica cosa che voglio che sia.»
«Che cosa?»
«Sana.»
In un angolo, il telefono riprese a squillare.
30
Erano le dieci e mezzo di sera quando Fred Carabetta arrivò a casa di Hal, una villa rustica ma costosa con una decina di camere da letto, tre caminetti in pietre raccolte nei campi e una rimessa per barche edificata in cima a un’alta sporgenza sopra un lago naturale lungo otto chilometri. Matt e Nikki lo osservarono dalla finestra della cucina fare uscire la sua considerevole stazza da quella che sembrava una Cadillac.
«Carabetta è arrivato», gridò Matt. «In alcuni di quei tunnel passerà a fatica, ma penso che ce la farà.»
Hal entrò in cucina, la custodia di una macchina fotografica appesa a un braccio e un fucile stretto nell’incavo del gomito dell’altro. Tutto vestito di nero, come aveva consigliato Matt, era visibilmente eccitato, ma, avesse provato anche solo un po’ di paura e tensione, queste le nascondeva bene. Conoscendo il senso d’avventura dello zio, Matt non se ne stupì affatto.
«E con Freddy siamo in quattro», disse Hal allegramente. «Il nostro uomo della sicurezza dovrebbe arrivare a momenti. Con l’arma che porterà lui, più la mia vecchia Occhio di Falco e la tua pistola, dovremmo essere meglio equipaggiati di quanto fossi stato tu quando sei entrato nel deposito con Lewis Slocumb, entrambi disarmati.»
«Credimi, sono molto più bravo a correre che a sparare. Speriamo che non. succeda niente. È stato un caso che le guardie abbiano fatto il loro giro in quel momento. Sono entrate nella caverna senza immaginare che fossimo lì. Questa notte dovremo solo stare all’erta. Non ci saranno guai.»
«Penso di no», concordò Hal. «Sei sicuro di riuscire a portarci là?»
«Ho prestato molta attenzione al percorso, entrando, devi fidarti di me. Dopo ciò che è successo a Lewis, non mi pare giusto coinvolgere di nuovo gli Slocumb, anche se sono certo che uno degli altri fratelli ci accompagnerebbe, se lo chiedessi. Hanno fatto abbastanza. È un miracolo che Lewis sia ancora vivo.» Se lo è ancora.
Carabetta bussò alla porta d’entrata e gli venne aperto. Aveva un aspetto un po’ ridicolo in maglione nero e berretto da guardia, ma appesa alla spalla aveva una Pentax molto sofisticata e uno stretto astuccio in pelle che Matt arguì contenesse arnesi per raccogliere campioni. Dal momento in cui era entrato in casa, il funzionario dell’OSHA era parso a disagio.