L’arsenale di Sutcher era composto da una pistola infilata in una fondina da spalla appesa sopra una T-shirt nera a maniche lunghe e una specie di mitraglietta semiautomatica, che teneva con dimestichezza nella mano destra. Matt si chiese se avesse mai ucciso o sparato a qualcuno, ma di certo non glielo avrebbe mai domandato. Ciò nonostante, si sentiva molto più fiducioso e sicuro sapendo che quell’uomo li accompagnava.
Ci misero mezz’ora per raggiungere il crepaccio lungo un sentiero mal definito. Hal, tuttavia, conosceva la strada e guidò in silenzio la processione in fila indiana. Carabetta seguiva Hal, poi venivano Nikki, Matt e infine Sutcher.
«Sono veramente felice che tu sia qui», disse Matt a Nikki, mentre avanzavano a fatica.
«Sei molto carino quando parli così», gli mormorò lei.
Sebbene tutti avessero torce elettriche, solo Hal accendeva la sua e solo quando era necessario. La notte senza nuvole era rischiarata da una argentea luna gibbosa sufficientemente splendente da illuminare il sentiero. Il gruppo attraversò il largo torrente che ora Matt conosceva bene e senza alcuna difficoltà raggiunse il crepaccio.
«Ebbene, dottore», disse Hal, «Ora tocca a te. Facci entrare e facci uscire.»
«Ricevuto», rispose Matt, ponendosi alla testa della fila. «Fred, perché non sta dietro di me? Ci sono alcune strettoie e un punto dove dovremo strisciare per un paio di metri, ma sono certo che ce la farà.»
«Mio Dio», gemette Carabetta, «nessuno mi aveva mai parlato di dover strisciare sulla pancia.»
«Continui a pensare a tutti quei soldi e agli encomi che riceverà. La renderanno più magro. Avanzeremo anche lungo alcuni strapiombi. Lei non ci faccia caso.»
«Oh, Cristo», imprecò Carabetta.
Per Matt, la seconda camminata nel tunnel stretto e umido fu decisamente più facile della prima. Avanzava silenziosamente e con una certa sicurezza malgrado, di tanto in tanto, dovesse prendere per mano un Carabetta che bestemmiava sottovoce per fargli superare un salto o attraversare una sporgenza. La claustrofobia di Matt fu meno pesante di quanto aveva previsto, forse grazie alla familiarità con la via o perché era distratto, dovendo guidare gli altri.
Con sorprendente facilità, Carabetta superò lo stretto passaggio che tutti dovettero percorrere carponi. Davanti a uno ancora più stretto, tuttavia, si rifiutò di andare avanti.
«Basta, cazzo», imprecò facendosi sentire da tutti. «Qui mi fermo e lei può tenersi i suoi dannati soldi.»
«Fred, forza», lo esortò Matt. «Può farcela. E dopo circa tre metri potrà raddrizzarsi. Al ritorno prenderemo altri sentieri meno stretti.» A patto che riesca a trovarli.
«Niente da fare. Io resto qui.»
«Signor Carabetta, venga a parlare con me», ingiunse con voce rauca Vin Sutcher.
Senza mettere in discussione l’ordine, Carabetta passò accanto a Hal e Nikki e affrontò il gigante. Sutcher si chinò e gli sussurrò qualcosa nell’orecchio. Anche in quella galleria quasi buia, Matt credette di vedere Carabetta impallidire.
«D’accordo», disse, fermandosi a metà frase per schiarirsi la gola, «ma se temessi di rimanere incastrato, io torno indietro.»
«Che gli ha detto?» chiese Matt a voce bassa a Sutcher, dopo che tutti e cinque avevano superato la bassa fenditura senza grosse difficoltà.
«Gli ho detto che, se non andava avanti, gli avrei strappato il braccio», rispose la guardia del corpo, senza un minimo di umorismo.
«Molto efficace.»
Ora, per la prima volta, Matt colse il pungente odore della discarica di prodotti chimici. Erano trascorsi quattro giorni da quando lui e Lewis erano entrati nella caverna, un tempo con ogni probabilità non sufficiente per svuotarla anche se Armand Stevenson avesse deciso di farlo. Assoldare killer e corrompere funzionari era molto meno costoso e molto più efficace, specialmente con il capo della polizia sul libro paga. Matt si ritrovò per un attimo a chiedersi chi fosse la persona — un uomo, pensava — che aveva infilato il biglietto sulla discarica sotto la sua porta. Qualsiasi fosse stata la molla contro la BC C che aveva spinto lo sconosciuto a scrivergli, ora sarebbe scattata.
«Lo sentite?» mormorò.
«Oh, sì», rispose Nikki.
«Toluene», giudicò Carabetta. «Toluene e forse creosoto.»
«Tenete pronte le macchine fotografiche», ordinò Hal. «Signor Sutcher, prenda per favore il suo posto.»
«Con piacere», rispose Sutcher, stringendo il mitra ancora di più.
«Avanti diritto», disse Matt. «Tenete il più possibile spente le torce elettriche e bassa la voce. Qualsiasi problema verrà dall’entrata opposta.»
Cautamente, con Sutcher in testa e Hal che chiudeva la fila, la colonna attraversò lo stretto, tetro tunnel, seguendo l’odore sempre più forte dei prodotti chimici.
«Là», esclamò Matt.
Davanti a loro, non molto distante, una fioca luce grigia forava l’oscurità.
«Andate avanti», li esortò Sutcher. «Io starò all’erta.»
Matt guidò il gruppo nella caverna. Il fiume sotterraneo, l’enorme piramide tridimensionale di bidoni, che si alzava per sei metri o più, lo sgradevole, nauseante odore dolciastro, l’apparecchio di protezione appeso lungo una parete rocciosa, tutto sembrava uguale a come l’avevano visto pochi giorni prima lui e Lewis. Usando la torcia, indicò a Carabetta di avvicinarsi e fece strada lungo il perimetro prima a lui, poi a Nikki.
«Bene», ordinò Matt, «facciamo alcune foto e prendiamo alcuni campioni.»
«Rutledge», esclamò Carabetta, indicando oltre i bidoni, «che c’è laggiù?»
Matt non ebbe il tempo di rispondere. Con un rombo assordante, una luce brillante e una forza mai vista prima di allora, le due entrate della caverna esplosero simultaneamente. Immediatamente, tutto lo spazio si riempì di fumo acre e di polvere soffocante. Massi grossi come automobili e pietre di ogni genere volarono in giro. Scagliato di lato, Matt sbatté malamente contro la parete. Crollò a terra mentre la polvere gli riempiva i polmoni. Su di lui piovvero sassi. Un masso grosso come una palla da pallacanestro gli cadde sulla schiena. Altri pezzi gli seppellirono le gambe e gli colpirono le braccia con tanta forza da frantumare ossa.
In pochi istanti, le esplosione finirono. La caverna completamente buia si riempì di sedimento soffocante e dell’odore delle sostanze chimiche che uscivano dai bidoni. Matt rimase a terra, la faccia mezzo sepolta nel pietrisco. Riusciva a inspirare un po’ d’aria solo premendo la bocca e il naso contro la camicia. Le orecchie gli ronzavano tremendamente e sentì che perdeva sangue dal naso. Poi, nell’oscurità, pensò di sentire un lamento.
«Nikki?» gridò, ma le corde vocali coperte di terra riuscirono a emettere appena un gracidio.
Tossì, sputò, quindi tossì di nuovo, finché non gli parve di avere eliminato un po’ di terra dalla gola. Notò anche che il dolore alla schiena era sì forte, ma non l’aveva reso inabile. Probabilmente era solo coperto di lividi. Si fregò il naso con la mano. Non era rotto, ma stava decisamente sanguinando. Quanto, difficile dirlo. Rapidamente si esaminò le braccia, che gli parvero intatte, le gambe, che erano completamente sepolte sotto molti chili di pietre.
«Nikki?» gridò di nuovo.
«Matt?»
Pensò di avere sentito la sua voce, debole e tesa, da qualche parte alla sua sinistra, ma non ne era certo. I timpani lesi smorzavano il suono, ma la mancanza di un intenso dolore lo indusse a credere che, benché le membrane e gli ossicini fossero gonfi e contusi, i timpani non erano stati lacerati. Doveva essere stata la voce di Nikki.
Si tirò la camicia sulla bocca e sul naso per facilitare la respirazione. Con un grande sforzo, riuscì a girarsi sul fianco quel tanto da smuovere le pietre dalle gambe.