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«Puoi farlo?»

«Posso provarci», rispose Nikki, trasalendo.

«Vado a prendere quel nastro da idraulico e mi dedico agli altri due mentre tu visiti Fred. Non vorrei si ripetesse una scena alla Tarzana, quando riprenderanno conoscenza. Mio Dio, in che pasticcio ci troviamo.»

Muovendosi, lentamente e dolorosamente carponi, Nikki depose due lanterne sul mucchio di pietre, prese due paia di guanti in gomma da una scatola e si mise al lavoro. Usando una forbice da benda e le mani, tagliò e strappò gli indumenti di Carabetta. Se ancora non era sotto choc, mancava poco, pallido, sporco, coperto di sangue e di sudore, con un battito tremendamente rapido e debole. Nel grasso corpo e nelle grosse gambe aveva tre o quattro lacerazioni che continuavano a sanguinare, ma il vero problema era la profonda lacerazione di circa otto centimetri all’inguine, da dove sgorgava sangue scuro.

Ansante, Matt tornò da lei.

«Arteria?» domandò.

«Vena, credo. Tu sei più forte. Che ne dici di fare un po’ di compressione?»

Matt pose un tampone di garza sulla ferita e vi si appoggiò contro con tutte le sue forze, ma lo spesso strato di grasso color zafferano di Carabetta impediva che potesse applicare una forza sufficiente. Il sangue continuò a filtrare da sotto la garza.

Nel frattempo, il respiro stridente di Colin Morrissey stava peggiorando.

«Abbiamo bisogno di più mani», ripeté Matt mentre Nikki strisciava verso l’uomo per esaminarlo.

«Abbiamo quello che abbiamo», ribatté senza girarsi. «Matt, anche questo è nei guai. Non credo che resisterà a lungo senza una tracheotomia.»

«E io non riesco a fare sufficiente pressione per fermare l’emorragia di Fred. Secondo me, si è lacerata la vena safena.»

«Che possiamo fare?»

«Infilare una stretta garza sotto la safena e legarla.»

«Hai mai fatto una cosa simile?»

«Se conti il cadavere del gatto durante la lezione di anatomia comparativa, sì. E tu?»

«Mettendo insieme l’anno di chirurgia e il mio lavoro di squartatrice di cadaveri, l’anatomia la conosco molto bene.»

«Questo sistema le cose. Io ti faccio da assistente e tu tenti l’intervento.»

«E Colin?»

«Per ora sta respirando. Se non blocchiamo questa emorragia, Fred è spacciato.»

«D’accordo, d’accordo.»

Mentre Matt teneva premuta la ferita, Nikki aprì la cassetta del pronto soccorso e ne estrasse un rotolo di garza larga due centimetri e mezzo e un paio di pinze, il tipo dalla punta aguzza usato per togliere schegge.

«Nessun gancio?» domandò Matt, riferendosi alle cinghie emostatiche con chiusura automatica.

«Non ne vedo.»

«Uno scalpello?»

«No.»

«Novocaina? Xylocaina?»

«Sogna pure. Aspetta, c’è uno scalpello usa e getta.»

«Ah, qualcosa di cui essere grati. Fred, può sentirmi?»

«Mi… aiuti.»

Matt abbandonò l’idea di dargli qualche spiegazione medica. Si chinò sull’orecchio dell’uomo.

«Fred, questo le farà molto male», disse. «Nik, come va la caviglia?»

«Insensibile. Se non faccio movimenti rapidi, sopportabile. Non credo, tuttavia, di potermici appoggiare sopra.»

«Io posso continuare a comprimere e a tenere la lanterna, tu però dovrai fare anche da infermiera di sala.»

«Ho paura», esclamò lei improvvisamente.

«Lo so», rispose Matt. «Non mi fiderei di te se tu non avessi paura. Fai del tuo meglio e fallo alla svelta.»

«Credo di dover aprire di più la zona.»

«Fallo.»

Nikki scrollò le spalle e fece una profonda incisione lunga dieci centimetri ad angolo retto col centro della lacerazione. Il sangue sgorgò dai bordi della pelle e dal grasso di un giallo vivace sottostante.

«Oh, mio Dio!» gridò Carabetta. «Oh, cazzo!»

All’urlo dell’uomo, Nikki si tirò indietro, ma Matt scosse la testa.

«Puoi farlo», disse con decisione.

«D’accordo», rispose lei, «comprimi sotto l’incisione, mettici un sacco di forza. Guarda, è la vena safena, quasi completamente recisa. È un miracolo che sia ancora vivo.»

«Sei tu il miracolo. Legala, in alto e in basso, poi passiamo a quello che non riesce a respirare.»

Dietro di loro sentirono peggiorare ancora di più la respirazione faticosa di Colin.

«Se quell’uomo e la ragazza sono pazzi come la Tarzana, avremo un bel daffare quando riprenderanno conoscenza», osservò Nikki.

«Quest’uomo, poi quell’uomo, poi la ragazza», sottolineò Matt.

«Giusto.»

Nikki usò le dita e la punta spuntata della pinza per allargare il tessuto attorno e sotto il vaso lacerato. Spinse poi le estremità di due garze lunghe trenta centimetri nel canale che aveva creato. A ogni mossa, Fred gridò, ma la sua reazione al dolore si faceva sempre più debole. Un’alta percentuale della sua massa sanguigna era nei vestiti e sul pavimento impolverato. A meno che l’emorragia non venisse bloccata, entro uno o due minuti, forse qualcuno di più, o forse di meno, avrebbe perso per sempre coscienza.

«Ti stai comportando benissimo», la incoraggiò Matt. «Annoda i legacci in basso, e io sposterò la compressione per fermare il riflusso. Per qualcuno che non ha toccato da anni un paziente vivo, sei decisamente brava.»

«Forza, bambina», mormorò Nikki alla vena, mentre sistemava il secondo legaccio in garza, «non lacerarti proprio ora.»

«Ce l’hai fatta! Ce l’hai fatta!»

«Lo spero proprio, perché sto per dare il tocco finale.»

Nikki strinse bene il nodo e, un attimo dopo, Matt allentò la compressione che aveva mantenuto durante tutto l’intervento. Dall’incisione e dalla ferita colò ancora un po’ di sangue, ma l’area attorno alla vena lacerata era asciutta. La safena era la vena che veniva di solito utilizzata nei bypass aorto-coronarici. Le vene collaterali sarebbero subentrate per riportare il sangue al cuore. Se Carabetta fosse riuscito a superare questo episodio e a uscire dalla caverna, entrambi due grandi se, tutto quello che gli sarebbe rimasto sarebbe stato, di tanto in tanto, un gonfiore alle caviglie.

«Ben fatto», la lodò Matt. «Riuscire a girare attorno a quella vena senza strapparla in due è stato veramente fantastico.»

In quell’attimo, la respirazione di Colin Morrissey parve farsi ancora più difficile.

«Forse dovremo fargli una tracheotomia», disse Nikki. «Puoi andare a controllarlo di nuovo?»

«Lo farei, ma devo continuare a comprimere la ferita di Fred.»

«Lo farò io», disse una voce accanto a loro. Una donna anziana, malconcia come tutti loro, era strisciata lì da qualche parte della caverna che non avevano ancora ispezionato. «Voi andate a controllare il ragazzo», disse. «Io farò del mio meglio qui. Mi chiamo Ellen Kroft.»

32

Nikki sapeva che la caviglia era fratturata. Aveva sentito il crac dell’osso che si spezzava e l’esplosione di dolore quando la donna, che Matt chiamava Tarzana, ottanta, ottantacinque chili al minimo, l’aveva aggredita di sorpresa. Ora non poteva fare altro che mordicchiarsi le labbra e fare del suo meglio per sopportare il dolore. Si trovavano in una situazione spaventosa con una riserva d’aria limitata e nessun modo evidente per uscire dalla caverna. L’ultima cosa di cui gli altri avevano bisogno era preoccuparsi per lei.

La nuova arrivata, Ellen Kroft, sostanzialmente illesa, comprimeva la ferita di Fred Carabetta, mentre Matt usava l’orecchio come stetoscopio per auscultare i polmoni di Colin Morrissey.

«Penso stia muovendo sufficiente aria», osservò, «almeno per ora. Anche il suo stato di coma si sta alleggerendo.»

«Speriamo sia sano di mente quando si sveglia.»

«Con la laringe tanto gonfia che è quasi chiusa, non credo che darà grossi problemi. Come va la gamba?»