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Non appena si accostava a Katharine, lei sembrava ritrarsi, irrigidirsi. Abbracciarla era come stringere una marionetta di legno con gli arti snodabili. Anche quando era allacciata a lui, Winston provava la strana sensazione che nello stesso tempo lo stesse respingendo con tutte le sue forze. Era la sua rigidità muscolare a trasmettergli una simile impressione. Se ne stava lì, con gli occhi chiusi, senza fare resistenza, senza collaborare: si sottometteva. Il tutto era estremamente imbarazzante e, dopo un po’, orribile. Eppure, perfino così avrebbe potuto continuare a stare con lei, se, poniamo, si fosse convenuto fra loro di non avere rapporti intimi. Ma chi si opponeva era lei! Dovevano cercare di mettere al mondo un figlio, diceva. E così la farsa era andata avanti con perfetta regolarità, una volta la settimana, almeno quando era possibile. Giungeva a ricordarglielo la mattina per la sera, come un dovere da non dimenticare. Per definirlo usava due espressioni: la prima era “fare un bambino”; la seconda “fare il nostro dovere verso il Partito”; proprio così. Non passò molto che all’approssimarsi del fatidico giorno Winston cominciava ad avvertire sensazioni di schietto terrore. Per fortuna, bambini non ne vennero. Decisero infine di smettere coi loro tentativi e dopo un po’ si separarono.

Winston emise un impercettibile sospiro, poi sollevò di nuovo la penna e scrisse:

La donna si buttò sul letto e subito, senza preliminari di sorta e nella maniera più volgare e orrenda che si possa immaginare, si alzò la gonna. Io…

Si rivide in piedi in quella luce fioca, l’olezzo di cimici e di profumo dozzinale nelle narici, il cuore invaso da un senso di sconfitta e di astio che perfino allora si sovrapponeva al corpo bianco di Katharine che il potere ipnotico del Partito aveva trasformato, irreversibilmente, in ghiaccio. Perché doveva essere sempre così? Perché non poteva avere una donna sua, invece di quegli aggrovigliamenti sudici a distanza di anni? Ma una vera storia d’amore era pressoché inconcepibile. Le donne del Partito erano tutte uguali, a tutte era stata inculcata a fondo la convinzione che la castità e la lealtà verso il Partito fossero la stessa cosa. L’opera di condizionamento (attenta e posta in essere fin dall’infanzia), l’attività sportiva e le docce gelate, le porcherie con cui le rimbambivano a scuola, nelle Spie e nella Lega Giovanile, le conferenze, le sfilate, le canzoni, gli slogan, la musica marziale, avevano scacciato dal loro animo quel sentimento naturale. La ragione gli diceva che qualche eccezione doveva pur esserci, ma il cuore non ci credeva. Erano tutte inespugnabili, proprio come le voleva il Partito. E Winston desiderava, più ancora che essere amato, abbattere quel muro di virtù, fosse stato anche una sola volta in tutta la sua vita. L’atto sessuale, il vero atto sessuale, era un gesto di rivolta. Il desiderio era psicoreato. Se gli fosse riuscito di risvegliare i sensi di Katharine, che pure era sua moglie, si sarebbe trattato di una seduzione in piena regola.

Ma il resto di quella storia andava scritto, in ogni caso. E così scrisse:

Alzai il lume. Quando la vidi in piena luce…

Dopo tutto quel buio, la luce della lampada a olio gli era sembrata vivissima. Per la prima volta poteva guardare bene quella donna. Aveva mosso un passo verso di lei, poi si era arrestato, pieno di libidine e di terrore allo stesso tempo. Era dolorosamente consapevole del rischio che aveva corso nel recarsi in quel luogo. Era possibilissimo che la polizia lo avrebbe arrestato quando fosse uscito: per quel che ne sapeva, poteva anche darsi che lo stessero aspettando fuori. E se fosse andato via senza neanche fare quello per cui era venuto?

Lo doveva scrivere, doveva confessare. Alla luce del lume aveva visto che quella donna era vecchia. Sul suo volto il belletto era tanto spesso, che sembrava potesse rompersi in mille crepe, come una maschera di cartapesta. Molti capelli erano bianchi, ma il particolare più orrendo era che la bocca, nello schiudersi, gli aveva rivelato una caverna nera. Quella donna non aveva più neanche un dente.

Scrisse in fretta, quasi scarabocchiando:

Quando la vidi in piena luce, mi accorsi che era proprio vecchia, aveva almeno cinquant’anni. Ma non esitai e lo feci lo stesso.

Si premette di nuovo le dita sulle palpebre. L’aveva scritto, finalmente, ma non era servito a nulla, la terapia non aveva funzionato. L’impulso di urlare parole oscene con quanto fiato aveva in gola non si era affievolito.

VII

Se c’è una speranza scrisse Winston, questa risiede fra i prolet.

Se una speranza restava, doveva trovarsi fra i prolet, perché solo fra loro, fra quelle masse disprezzate e brulicanti che formavano l’85 per cento della popolazione dell’Oceania, poteva nascere la forza capace di distruggere il Partito. Il Partito, infatti, non poteva essere rovesciato dall’interno. I suoi nemici, ammesso che ce ne fossero, non avevano possibilità alcuna di associarsi. Non potevano, anzi, nemmeno arrivare a individuarsi. Quanto alla leggendaria Confraternita, sempre che esistesse (e una simile ipotesi non si poteva scartare del tutto), era inconcepibile che i suoi affiliati potessero incontrarsi in numero superiore a due, tre per volta. Adesso la rivolta poteva esprimersi solo in uno sguardo, in un’inflessione di voce, in una parola lasciata cadere in un sussurro. Ma i prolet, se fossero riusciti in qualche modo a prendere coscienza della loro forza, non avrebbero avuto bisogno di cospirare. Non avrebbero dovuto fare altro che levarsi in piedi e scrollare le spalle, come un cavallo che scuote da sé le mosche. Se avessero voluto, avrebbero potuto fare a pezzi il Partito l’indomani stesso. L’avrebbero pur dovuto fare, prima o poi. Eppure…

Ricordò che una volta stava camminando per una strada affollata quando da una stradina laterale un po’ più avanti si era levato un grido impressionante, emesso da centinaia di voci, tutte femminili. Era un formidabile grido di rabbia e di disperazione, un “Oh-o-o-o-oh!” forte e profondo insieme, che continuava a propagarsi tutt’intorno come l’eco di un suono di campana. Il cuore gli era balzato in petto. Ci siamo, pensò. Una rivolta! Finalmente la rabbia dei prolet stava esplodendo! Ma quando era arrivato sul posto, si era trovato davanti una folla di due, trecento donne che si accalcavano attorno alle bancarelle di un mercatino con la disperazione dipinta sul volto, come se fossero state gli sventurati passeggeri di una nave sul punto di colare a picco. Proprio in quel momento la disperazione collettiva si frammentò in tante dispute individuali. A quanto era dato di capire, fino a quel momento a una delle bancarelle avevano venduto pentole di latta. Si trattava di oggetti di qualità infima, che si rompevano subito, ma il pentolame di qualsiasi genere non si trovava facilmente. Le donne a cui l’impresa era riuscita cercavano di svignarsela con le loro pentole fra gli urti e gli spintoni delle meno fortunate, mentre altre dozzine rumoreggiavano attorno alla bancarella, accusando il venditore di favoritismi e di avere altra merce nascosta da qualche parte. A un tratto si levarono altre urla. Due donne, gonfie e sformate, una coi capelli tutti scarmigliati, avevano afferrato la stessa pentola e cercavano di strapparsela a vicenda, e continuarono a tirare finché il manico non venne via. Winston stette a guardarle disgustato. E tuttavia, anche se per un momento solo, quale spaventosa forza era risuonata in quel grido! E a lanciarlo erano state appena un paio di centinaia di bocche! Perché non erano capaci di gridare così anche per le cose veramente importanti? Scrisse:

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