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«Ma che cos’è questa storia?» domandò Caroline. «Non stiamo aspettando alcun visitatore questa sera, importante o meno.»

«Non sopporto di essere comandato a bacchetta, specie da Victor Millson.»

«Scommetto che ti ritelefonerà non appena avrà avuto il rapporto del colonnello.»

«Allora dovremo togliere il video e fare un po’’ di baccano, come se fosse in corso un ricevimento. Ma, per essere del tutto sincero, a questo punto non ho davvero niente da dirgli.»

«A proposito di che cosa, se mi è consentito domandarlo?»

«Scusami, cara. Sembra che la Discovery ci stia giocando un brutto tiro. Ritenevamo che l’astronave fosse su un’orbita stabile, e invece potrebbe essere sul punto di schiantarsi.»

«Su Giove?»

«Oh, no… questo è assolutamente impossibile. Bowman l’aveva lasciata parcheggiata nel punto interno di Lagrange, lungo il limite tra Giove e Io. Sarebbe dovuta restare là, più o meno, anche se le perturbazioni delle lune esterne l’avrebbero fatta oscillare avanti e indietro. Invece, quello che sta accadendo adesso è qualcosa di molto strano, e non conosciamo la vera spiegazione. La Discovery si sta spostando sempre e sempre più rapidamente verso Io sebbene talora acceleri e talora addirittura torni indietro. Se le cose continueranno in questo modo, l’impatto avrà luogo entro due o tre anni.»

«Credevo che questo non potesse accadere nell’astronomia. La meccanica celeste non dovrebbe essere una scienza esatta? Almeno così è sempre stato detto a noi poveri, ottusi biologi.»

«È una scienza esatta, quando vengono presi in considerazione tutti i dati. Ma intorno a Io accadono alcune cose molto strane. A parte i vulcani, si determinano tremende scariche elettriche… e il campo magnetico di Giove ruota ogni dieci ore. Pertanto la gravitazione non è la sola forza ad agire sulla Discovery; avremmo dovuto pensarci prima… molto prima.»

«Be’, non si tratta più di un tuo problema… E di questo dovresti essere grato.»

Il tuo problema… Le stesse precise parole che aveva pronunciato Dimitri. E Dimitri quell’astuta, vecchia volpe! lo conosceva da molto più tempo di Caroline.

Poteva non essere il suo problema, ma lui continuava a sentirsi responsabile. Sebbene molti altri fossero stati coinvolti, in ultima analisi egli aveva approvato i piani relativi alla Missione Giove, dirigendone poi l’attuazione.

E, sin da allora, era stato tormentato dai dubbi: i suoi punti di vista in quanto scienziato contrastavano con i suoi doveri in quanto burocrate. Avrebbe potuto parlare apertamente e opporsi alla miope politica dell’amministrazione precedente anche se continuava ad essere incerto riguardo a in quale misura l’atteggiamento da lui assunto avesse contribuito al disastro.

Forse sarebbe stato preferibile se avesse considerato chiuso quel capitolo della sua vita, per concentrare ogni pensiero e ogni energia sulla nuova carriera. Ma, in cuor suo, egli sapeva che questo era impossibile; anche se Dimitri non avesse fatto rivivere precedenti rimorsi, essi sarebbero affiorati alla superficie di loro iniziativa.

Quattro uomini erano morti, ed uno era scomparso, là nello spazio esterno, tra le lune di Giove. Egli aveva le mani sporche di sangue e non sapeva come lavarsele.

3. SAL 9000

Anche il dottor Sivasubramanian Chandrasegarampillai, professore di informatica dell’Università dell’Illinois, a Urbana, provava un persistente senso di colpa, ma un senso di colpa molto diverso da quello di Heywood Floyd. Coloro tra i suoi allievi e colleghi i quali si domandavano spesso se il piccolo scienziato fosse del tutto umano, non si sarebbero stupiti venendo a sapere che egli non pensava mai agli astronauti deceduti. Il dottor Chandra si affliggeva soltanto per il suo bambino perduto, Hal 9000.

Anche dopo tutti quegli anni, e dopo che aveva passato in rassegna innumerevoli volte i dati radiotrasmessi dalla Discovery, egli non era affatto sicuro di quello che poteva essere accaduto. Poteva soltanto formulare teorie; i dati che gli occorrevano rimanevano rinchiusi nei circuiti di Hal, lassù tra Giove e Io.

La sequenza degli eventi era stata chiaramente accertata, fino al momento della tragedia; successivamente, il comandante Bowman aveva fornito alcuni altri particolari, nelle brevi occasioni in cui era riuscito a ristabilire il contatto. Ma sapere che cosa era accaduto non spiegava il perché.

Il primo indizio di difficoltà lo avevano avuto nell’ultima fase della missione, quando da Hal era stato riferito l’imminente non funzionamento dell’apparato che manteneva l’antenna principale della Discovery allineata sulla Terra. Se il fascio di onde radio, lungo mezzo miliardo di chilometri, avesse deviato dal bersaglio, l’astronave sarebbe rimasta cieca, sorda e muta.

Lo stesso Bowman era uscito dall’astronave per smontare l’apparato sospetto, ma dopo il collaudo era risultato, con vivo stupore di tutti, che esso funzionava perfettamente. I circuiti del controllo automatico non avevano individuato alcun difetto. Né aveva individuato difetti il gemello di Hal, il Sal 9000, sulla Terra, quando le informazioni erano state trasmesse ad Urbana.

Hal si era incaponito sull’esattezza della sua diagnosi, facendo pungenti commenti a proposito dell’«errore umano». Aveva proposto che l’apparato di comando venisse rimontato sull’antenna fino al momento in cui avrebbe smesso di funzionare, così da rendere possibile l’individuazione precisa del guasto. Nessuno aveva trovato qualcosa da obiettare, in quanto l’apparato poteva essere sostituito in pochi minuti, anche se si guastava.

Bowman e Poole, tuttavia, non erano tranquilli; sentivano entrambi che qualcosa non andava, anche se nessuno dei due riusciva a precisare di che si trattasse. Per mesi avevano accettato Hal come un terzo compagno nel loro minuscolo mondo, e ne conoscevano ogni umore. Poi l’atmosfera a bordo dell’astronave si era sottilmente modificata; esisteva nell’aria un senso di tensione.

Sentendosi un po’’ come traditori — così l’agitato Bowman aveva riferito in seguito al Controllo Missione — i due terzi umani dell’equipaggio avevano discusso il da farsi nell’eventualità di un effettivo malfunzionamento del loro collega. Nel peggiore dei casi possibili, Hal sarebbe dovuto essere esonerato da tutte le sue più gravi responsabilità. Questo avrebbe significato il disinserimento — l’equivalente della morte per un computer.

Nonostante i loro dubbi, i due uomini avevano continuato a svolgere il programma prestabilito. Poole era uscito dalla Discovery su una delle piccole capsule spaziali che servivano come mezzi di trasporto e come officine mobili durante le attività extraveicolari. Poiché il lavoro alquanto difficile di rimontare l’apparato dell’antenna non poteva essere eseguito dai manipolatori meccanici della capsula, Poole si era accinto a eseguirlo egli stesso.

Le telecamere esterne non avevano ripreso quel che era accaduto allora — un particolare, questo, di per sé sospetto. Il primo avvertimento del disastro per Bowman era consistito in un grido di Poole… seguito dal silenzio. Un momento dopo egli aveva veduto Poole girare ripetutamente su se stesso e allontanarsi piroettando nello spazio. La capsula lo aveva investito violentemente e ora si stava allontanando a sua volta, ormai incontrollabile.

Bowman, come doveva egli stesso ammettere in seguito, aveva commesso allora numerosi gravi errori tutti scusabili, tranne uno. Nella speranza di salvare Poole, ammesso che fosse ancora vivo, egli si era lanciato entro una seconda capsula spaziale affidando ad Hal il pieno comando dell’astronave.

Il tentato salvataggio era risultato vano; Bowman, una volta raggiunto Poole, lo aveva trovato già cadavere. Stordito dalla disperazione, si era affrettato a riportare il corpo del compagno sull’astronave, ma solo per sentirsi rifiutare l’ingresso da Hal.

Tuttavia Hal aveva sottovalutato l’ingegnosità e la decisione umane. Bowman, pur avendo lasciato sull’astronave il casco della tuta spaziale, ed essendo così costretto ad esporsi direttamente al vuoto dello spazio, era riuscito a entrare ugualmente, avvalendosi di un portello di emergenza non comandato dal computer. Poi aveva proceduto alla lobotomizzazione di Hal estraendo ad uno ad uno i moduli dell’intelligenza del computer.