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— È il gioco che stai facendo tu, Opale, che tu lo sappia leggere o no. Bene, molto bene. Questa notte i miei cani abbaiavano a un mendicante, ed egli si è dimostrato un principe di luce stellare. Opale, quando verrò a chiedere acqua dai tuoi pozzi e riparo entro le tue mura, mi accoglierai? Sarà una notte ben più fredda di questa… E ci vorrà molto tempo prima di allora. Vieni da molto, moltissimo tempo fa. Sono vecchio io, ma tu lo sei ancor più; saresti dovuto morire un secolo fa. Ti ricorderai di qui a un secolo che hai incontrato un re nel deserto? Muoviti, muoviti, ti ho detto che sei libero di muoverti qui dentro. C'è chi ti può servire se ne hai bisogno.

Falk attraversò la stanza fino ad arrivare a un portone nascosto da una tenda. Al di là della porta, in un'anticamera, un ragazzo era in attesa; ne chiamò poi altri. Senza mostrar sorpresa, senza il minimo servilismo, deferenti solo nell'aspettare che fosse Falk a parlare per primo, gli procurarono un bagno, abiti nuovi, cibo e un letto pulito in una stanza tranquilla.

Nella Gran Casa dell'Enclave del Kansas visse tredici giorni in tutto, mentre l'ultima spruzzata di neve e gli improvvisi acquazzoni primaverili spazzavano le terre deserte che confinavano con i giardini del Principe. Estrel, che si riprendeva a poco a poco, era alloggiata in una delle molte case minori che si ergevano dietro all'edificio principale. Era libero di stare con lei quando voleva… libero di fare tutto quello che desiderava. Il Principe governava il suo dominio con potere assoluto, ma il suo governo non era affatto un'imposizione: era piuttosto accettato come un onore; le sue genti accettavano di essergli soggette probabilmente perché pensavano che nell'affermare l'innata ed essenziale grandezza di uno, riaffermavano anche la loro qualità di uomini. Non erano più di duecento, mandriani, giardinieri, fabbricanti e riparatori, le loro mogli, i loro figli. Era un regno piccolissimo. Eppure dopo un po' di giorni a Falk parve evidente che anche se non vi fossero stati sudditi, anche se fosse vissuto del tutto solo, il Principe del Kansas non avrebbe perduto nessuna delle sue qualità regali. Una volta ancora si trattava di qualità.

Questa curiosa realtà, questa singolare validità del dominio del Principe lo affascinò e lo assorbì a tal punto che per giorni e giorni quasi scordò il mondo esterno, quel mondo disperso, violento, incoerente che aveva percorso in lungo e in largo. Ma al tredicesimo giorno, parlando con Estrel di rimettersi in cammino, cominciò a chiedersi quale relazione esistesse tra l'Enclave e tutto il resto. Disse: — Credevo che gli Shing non tollerassero alcuna forma di sovranità tra uomo e uomo. Perché mai dovrebbero permettergli di difendere i suoi confini, permettergli di chiamarsi Principe, Re?

— E perché non dovrebbero lasciarlo vaneggiare? Quest'Enclave del Kansas è un territorio sterminato, ma brullo e vuoto di abitanti. Perché il Signore di Es Toch dovrebbe interferire in quello che fa lui. Immagino che per loro sia come un bambino stupido e vanaglorioso, che parla a vanvera.

— Lo ritieni tale?

— Be', hai visto ieri, quando è venuto quell'aereo?

— Ma certo.

Un aeromobile, il primo che Falk vedeva, benché riconoscesse il rombare del motore, aveva attraversato il cielo proprio sopra la casa, molto in alto, ma rimanendo in vista per qualche minuto. I domestici del Principe erano corsi fuori per i giardini sbattendo padelle e campanelle, cani e bambini s'erano messi a urlare, il Principe dall'alto di un balcone elevato s'era messo solennemente a sparare una serie di assordanti petardi, fino a quando l'aeromobile non fu scomparso in un occidente tenebroso.

— Sono sciocchi non meno dei Basnasska, e il vecchio è pazzo.

Benché il Principe non avesse mai voluto vederla, la sua gente era stata gentilissima con lei; perciò il tono di amarezza che Falk sentì nella sua dolce voce lo sorprese non poco. — I Basnasska hanno totalmente dimenticato le vecchie tradizioni degli uomini — disse allora. — Questi invece le ricordano anche troppo bene. — Rise. — Comunque l'aeromobile se ne è andato.

— Non perché l'hanno spaventato con i loro petardi, Falk — replicò lei, seria, come se cercasse di metterlo in guardia da qualcosa.

La guardò. Evidentemente non coglieva la pazzesca, poetica dignità di quei petardi che nobilitavano perfino un aeromobile Shing attribuendogli la qualità di un'eclisse solare. Sotto l'oscura minaccia di una calamità totale, perché non sparare un petardo? Ma da quando si era ammalata, da quando aveva perso il talismano di giada, Estrel era diventata ansiosa e triste, e il soggiorno in quel luogo, che tanto piaceva a Falk, a lei riusciva penoso. Era tempo che se ne andassero. — Andrò dal Principe ad annunciargli la nostra partenza — le disse teneramente, e lasciandola sotto i salici imperlati di gemme giallo-verdi, percorse i giardini e arrivò alla casa principale. Cinque di quei grandi cani dalle spalle massicce gli trotterellarono intorno, una guardia d'onore di cui avrebbe sentito la mancanza quando se ne fosse andato.

Il Principe del Kansas era nella sala del trono, immerso nella lettura. Il disco che occupava la parete orientale della stanza emanava durante il giorno una fredda luce argentea diseguale, come di luna domestica; soltanto di notte splendeva di caldo tepore di luce. Davanti ad esso si ergeva il trono, di lucido legno marmorizzato proveniente dal deserto del sud; Falk aveva visto il Principe seduto sul trono solo la notte del suo arrivo. Sedeva ora su una delle sedie accanto al telaio crea-forme, e alle sue spalle le alte finestre di dieci metri volte a occidente erano prive di tende. Là, in lontananza, si ergevano le scure montagne dalla cima di ghiaccio.

Il Principe sollevò il viso tagliente e ascoltò ciò che Falk aveva da dire. Invece di rispondere, indicò il libro che stava leggendo, non uno di quei rotoli a rilievo stupendamente decorati della sua mirabile libreria, ma un libriccino scritto a mano, rilegato con semplicità. — Conosci questo Canone?

Falk gettò uno sguardo dove gli veniva indicato e lesse il versetto:

Quel che gli uomini temono

deve essere temuto

O desolazione!

Non ha ancora

non ancora raggiunto il limite!

— Lo conosco, Principe! Ho intrapreso questo viaggio portandone una copia nel bagaglio. Ma nella tua copia non riesco a leggere la pagina a sinistra.

— Sono i simboli in cui venne scritto originariamente, cinque o seimila anni fa: la lingua dell'Imperatore Giallo, un mio antenato. Il tuo l'hai perso per strada? Tieni questo, allora. Ma immagino che perderai anche questo; nel cercare la Strada, la strada si smarrisce. O desolazione! Perché dici sempre il vero, Opale?

— Non lo so bene. — E infatti, benché poco per volta fosse giunto alla determinazione di non mentire mai, a chiunque parlasse e per quanto improbabile sembrasse la verità, non sapeva perché fosse arrivato a questa decisione. — Usare le armi del nemico… significa stare al suo gioco…

— Oh, l'hanno vinto da tempo… Così te ne vai? Parti, dunque; è giunto il momento, infatti. Ma terrò qui la tua compagna per un po'.

— Le ho promesso che l'avrei aiutata a trovare i suoi, Principe.

— I suoi? — Rivolse verso di lui un viso duro, ombroso. — Per quale motivo la porti con te?

— È una Vagabonda.

— E io sono una noce verde, tu sei un pesce, quei monti laggiù son fatti di montone arrosto! Fa' pure a modo tuo. Di' la verità, cerca la verità. Avviandoti a ovest raccogli i frutti del mio orto fiorito, Opale, e bevi il latte dei mie mille pozzi all'ombra di felci gigantesche. Non governo forse un regno piacevole? A ovest nel buio troverai miraggi e polvere. È desiderio o lealtà che ti lega a lei?

— Abbiamo percorso un lungo cammino assieme.

— Non fidarti di lei!

— Mi ha dato aiuto, mi ha fatto sperare; siamo compagni. C'è fiducia tra noi; come posso romperla?

— Oh pazzo! Oh desolazione! — disse il Principe del Kansas. — Ti darò dieci donne che ti accompagnino al Luogo della Menzogna, con flauti e tamburi, con pillole contraccettive. Ti darò cinque buoni amici forniti di petardi. Ti darò un cane, davvero, te lo do, un cane vivo e vegeto di quelle razze estinte, perché ti sia compagno. Sai perché di cani non ne è rimasto uno? Perché erano leali, perché erano fedeli. Vai solo, uomo!