— Non posso!
— Vai con chi vuoi allora. Il gioco è fatto. — Il Principe si alzò, andò al trono sotto il cerchio della luna e sedette. Non girò mai la testa, quando Falk cercò di salutarlo.
6
Con solo il ricordo di un picco solitario a dar corpo alla parola montagna, Falk aveva pensato che, raggiunti i monti, sarebbero arrivati a Es Toch. Non si rendeva conto che avrebbero dovuto scavalcare l'architrave di un continente. Le catene di montagne si ergevano una dietro l'altra; e un giorno dopo l'altro arrancarono in su nel mondo delle alture, e la loro meta giaceva cionondimeno più su, più a sudovest. Tra foreste e torrenti e tra pendii che sparivano nelle nuvole, pendii di neve e di granito, si incontrava di quando in quando un accampamento, un villaggio lungo la via. Spesso non li potevano evitare, perché non vi era altra strada. Gli passavano accanto a dorso di mulo, il principesco dono di commiato del Principe, senza incontrare il minimo ostacolo. Estrel ripeteva che quelli della montagna che vivevano alle soglie del territorio Shing erano tipi diffidenti, che non molestavano né accoglievano volentieri gli stranieri e preferivano essere lasciati in pace.
Faceva un freddo tremendo sui monti, in aprile, e accamparsi era un affare serio. L'unica volta che si fermarono in un villaggio fu un vero sollievo. Era un paese minuscolo, quattro case di legno in tutto, accanto a un fiume fragoroso, incassato in una gola su cui incombevano enormi picchi spazzati dalle tempeste; ma aveva un nome, Besdio, ed Estrel vi aveva già soggiornato anni prima, gli disse, quand'era bambina. Gli abitanti di Besdio, un paio dei quali avevano la pelle chiara e i capelli ricci come Estrel, parlarono un po' con lei. Parlavano la lingua dei Vagabondi; Falk con Estrel aveva sempre parlato in Galaktika senza mai imparare questa lingua occidentale. Estrel diede poche spiegazioni, indicando l'est e l'ovest; i montanari annuivano cupamente, studiandola con attenzione, e sogguardando Falk con la coda dell'occhio. Fecero poche domande, diedero loro cibo e riparo per la notte, senza grettezza, ma con modi così freddi e distaccati che Falk si sentì vagamente a disagio.
Comunque la stalla dove passarono la notte era calda, con un vivo tepore di vacche, capre e galline, ammassate tutte assieme in una compagnia sbuffante, odorosa e pacifica. Mentre Estrel si tratteneva ancora a parlare con gli ospiti nella capanna principale, Falk si recò nella stalla e si mise a suo agio. Salì sul fienile e col fieno costruì un ricchissimo letto a due piazze e vi stese i sacchi a pelo. Quando Estrel giunse era già mezzo addormentato, ma riuscì a svegliarsi quel tanto da far notare: — Sono contento che tu sia arrivata… Ci nascondono qualcosa, ma non so che cosa. C'è puzza di guai.
— E anche d'altro…
Estrel non si era mai spinta così avanti con i giochi di parole, e Falk le lanciò uno sguardo sorpreso. — Sei contenta di avvicinarti alla Città, vero? — le chiese. — Vorrei esserlo anch'io.
— E perché non dovrei? Spero di trovarci la mia gente; se non è possibile, i Signori mi aiuteranno. E anche tu ci troverai quello che vai cercando, e ti verrà reso quanto ti spetta.
— Quanto mi spetta? Pensavo che mi credessi un Cancellato.
— Tu? No di certo! Non crederai, Falk, che siano stati gli Shing a immischiarsi con la tua mente? L'hai già detto una volta, laggiù nella pianura, e in quell'occasione non avevo capito bene. Come puoi crederti un Cancellato, o un comune mortale? Tu non sei un Terrestre!
Non aveva mai parlato così fuori dei denti. Le sue parole lo rincuorarono, perché rispondevano alle sue speranze, ma al tempo stesso lo impensierirono un poco; da tanto, ormai, se ne stava zitta e agitata. Vide però che dal collo le pendeva qualcosa, una cordicella di cuoio. — Ti hanno dato un amuleto. — Ecco da dove nasceva la sua fiducia.
— Sì — disse guardandosi con soddisfazione il pendaglio. — Abbiamo la stessa fede. Ora ci andrà tutto bene.
Sorrise un poco alla sua superstizione, contento però che le desse sicurezza. Nell'addormentarsi la sentiva sveglia, lunga distesa con gli occhi fissi nel buio pieno dell'odore e del respiro sommesso e della presenza degli animali. Prima dell'alba quando il gallo cantò, si levò a sedere e la sentì sussurrare preghiere all'amuleto nella lingua che lui non capiva.
Si misero in cammino prendendo un viottolo che piegava a sud dei picchi tempestosi. Restava da valicare l'alto baluardo di una montagna, e per quattro giorni salirono e salirono finché l'aria divenne sottile e ghiacciata, il cielo blu scuro e il sole di aprile splendette abbagliante sulle nubi che radevano i prati della lontana vallata. Poi, raggiunta la cima, il cielo si oscurò ancor più e cadde la neve sulle nude rocce, coprendo di bianco gli ampi pendii pietrosi, rossi e grigi. Sul passo c'era una capanna per viandanti; vi trovarono rifugio assieme ai muli finché non cessò di nevicare e poterono riprendere la discesa.
— Ora il cammino si fa più facile — disse Estrel, girandosi verso di lui da sopra la groppa ballonzolante del suo mulo; egli rispose con un sorriso non privo di una sfumatura di timore, che si accentuava via via che procedevano scendendo verso Es Toch.
Si avvicinarono, si avvicinarono, e il sentiero si allargò fino a diventare una strada; incontrarono capanne, fattorie, case. Videro poche persone perché il freddo e la pioggia tenevano la gente tappata in casa. I due viaggiatori camminavano lentamente nella via solitaria, sotto la pioggia. Al terzo mattino, da dietro la cima del monte scorse un'alba splendente e dopo una cavalcata di un paio d'ore Falk fermò il mulo, guardando Estrel con aria interrogativa.
— Cosa c'è, Falk?
— Siamo arrivati… è Es Toch, vero?
Il terreno si era fatto pianeggiante, benché l'orizzonte fosse chiuso da cime distanti e i pascoli e i campi che avevano attraversato avessero fatto posto a case, case e ancora case. C'erano capanne, casupole, baracche, poderi, osterie, negozi dove si producevano e vendevano le merci, e ovunque bambini, gente sulle superstrade, gente sulle provinciali, gente a piedi, a cavallo, su muli, su slitte, che andava e veniva: folla sì, ma rada, fiacca, indaffarata, sporca, paurosa e vivida sotto il cielo scuro e limpido delle mattine in montagna.
— Ci vogliono un paio di miglia per Es Toch.
— E cos'è allora questa città?
— È la periferia.
Falk si guardava tutt'attorno, confuso ed eccitato. La via che aveva percorso per così lungo tratto a partire dalla casa situata nella Foresta Orientale era diventata una stradina, giunta fin troppo presto al termine. A cavalcioni dei muli nel bel mezzo della strada, la gente li guardava, ma nessuno si fermava, nessuno rivolgeva loro la parola. Le donne giravano addirittura il viso dall'altra parte. Solo dei bimbi cenciosi li stavano a guardare, o li indicavano con le loro urla, poi fuggivano via, svanendo su per un viottolo ingombro di luridume o dietro un covone. Non era proprio quello che Falk si aspettava; eppure cosa s'era mai aspettato? — Non sapevo che al mondo ci fosse tanta gente — disse infine. — Pullulano attorno agli Shing come le mosche attorno al letame.
— Le larve delle mosche prosperano nel letame — osservò Estrel asciutta. Poi, con un lungo sguardo, tese la mano e la posò sulla sua con tocco leggero. — Questi sono i relitti, i parassiti, la feccia che si raccoglie fuori delle mura. Entriamo in città, nella Città vera. Abbiamo fatto tanta strada per vederla…
Spronarono le loro cavalcature; ben presto videro, alti sopra i tetti delle catapecchie, i muri di torri verdi senza finestre, che si stagliavano nitide nel sole.
Il cuore di Falk batteva disordinatamente; notò poi che Estrel parlò all'amuleto che le avevano dato a Besdio.