— Non importa più cosa ti dirò ora — gli disse come se gli avesse letto nel pensiero.
E magari l'aveva fatto. Non si erano mai serviti della telepatia; ma se lei era una Shing e aveva le capacità mentali della sua razza, la cui portata era oggetto di discussione e meditazione tra gli uomini, avrebbe potuto essersi sintonizzata con i suoi pensieri per tutto quel tempo, per tutte le settimane che era durato il loro viaggio Come poteva essere sicuro? E del resto era inutile chiederglielo…
Dietro di lui ci fu un rumore. Si girò e vide due persone in piedi dall'altra parte della stanza, vicino allo specchio. Indossavano mantelli neri con cappucci bianchi, ed erano alti due volte gli uomini normali.
— Ci si prende gioco di te troppo facilmente — disse uno dei due giganti.
— Devi sapere che ci si è presi gioco di te — precisò l'altro.
— Sei solo un mezzo uomo.
— Un mezzo uomo non può sapere tutta la verità.
— Chi odia viene ingannato e deriso.
— Chi uccide viene distrutto e strumentalizzato.
— Da dove vieni, Falk?
— Cosa sei, Falk?
— Dove sei, Falk?
— Chi sei, Falk?
I giganti rialzarono entrambi il cappuccio, mostrando che dentro non v'era nulla all'infuori di ombra, e indietreggiarono verso la parete, attraverso la parete, e svanirono.
Dall'altra stanza Estrel corse verso di lui, gli gettò le braccia al collo, stringendolo a sé, baciandolo avidamente, disperatamente. — Ti amo, ti ho amato dal primo momento che ti ho incontrato. Fidati di me, Falk, fidati di me! — Poi gli fu strappata, mentre ripeteva lamentosamente: — Fidati di me! — e trascinata via come tirata da una potente forza invisibile, quasi un vento impetuoso, che la prendesse nel suo vortice e la sollevasse attraverso la porta scorrevole che si rinserrò silenziosamente dietro di lei, come una bocca che si richiude.
— Ti accorgerai — gli disse quell'omone alto dall'altra stanza — che sei sotto l'effetto di droghe allucinogene. — La sua voce nitida, benché ridotta a un sussurro, nascondeva un accento di sarcasmo e di noia. — Fidati di te stesso meno di tutto. Eh? — Poi rialzò la lunga veste e orinò abbondamente; dopo di che uscì con passo ondeggiante, riaggiustandosi gli abiti e lisciandosi la chioma copiosa.
Falk rimase a guardare il pavimento verdastro dell'altra stanza assorbire gradatamente l'urina fino a che non fu scomparsa del tutto.
I battenti della porta si riaccostarono lentamente, fino a chiudere il vano. Era l'unica via per uscire dalla stanza dove era intrappolato. Si risvegliò dal suo letargo e si precipitò attraverso il varco prima che fosse completamente chiuso. La sala dove erano stati Estrel e quell'uomo era esattamente identica a quella che aveva appena lasciato, forse un po' più piccola e più scura. Nella parete più lontana c'era una porta scorrevole, che si stava chiudendo lentamente. Attraversò a precipizio la stanza, passò per la porta, ed entrò in una terza sala esattamente identica alle precedenti, se non fosse che era un po' più piccola e più scura. Il varco nella parete più lontana si andava ostruendo lentamente, e si precipitò, lo attraversò entrò in un'altra stanza più piccola e scura della precedente e di lì si spinse in un'altra stanza piccola e buia, e poi si trascinò a un piccolo specchio opaco, e cadde, urlando di pazzo terrore alla bianca faccia della luna, attonita.
Si destò sentendosi riposato, pieno di vigore, ma un po' confuso, in un comodo letto in una stanza luminosa, senza finestre. Si sedette. Quasi fosse stato un segnale, gli si avvicinarono due uomini, di corsa, da dietro un tramezzo, uomini enormi, con uno sguardo ottuso, bovino. — Salute a te, Signore Agad! Salute a te, Signore Agad! — dissero uno dopo l'altro e poi: — Seguici, per piacere, seguici, per piacere. — Falk si alzò, nudo come un verme, pronto a combattere (l'unica cosa che era rimasta chiara nella sua mente in quel momento era la lotta e la sconfitta che aveva subito quand'era entrato nel primo salone di quel palazzo) ma essi non si dimostrarono aggressivi. — Seguici, per piacere — ripeterono monotoni, finché egli si decise a seguirli. Lo condussero, sempre nudo, fuori della stanza, gli fecero risalire un lungo corridoio tutto spoglio, poi un salone con le pareti a specchi, quindi una scala che risultò un piano inclinato dipinto in modo che sembrasse scala, poi per un altro corridoio e per altri piani, infine in una spaziosa stanza ammobiliata, con pareti di un verde azzurrino, una delle quali splendente di luce. Uno degli uomini si fermò fuori della stanza; l'altro entrò con Falk. — Ci sono abiti, cibo e da bere. Ora tu, ora mangia, bevi. Ora tu, ora chiedi qualsiasi cosa di cui hai bisogno. Capito? — Lo fissò con insistenza, ma senza particolare interesse.
Sul tavolo c'era una brocca d'acqua, e per prima cosa Falk bevve a sazietà, perché aveva moltissima sete. Osservò la stanza tutt'attorno; era piacevole, arredata con mobilio pesante, di plastica lucida. Le pareti, traslucide, non avevano finestre. Poi studiò la guardia o servitore che fosse, con curiosità. Era un uomo piuttosto grosso, con un viso anonimo, un fucile legato alla cintola. — Qual è la Legge? — chiese impulsivamente.
Obbediente e senza mostrare sorpresa, quel tipo grosso quanto inespressivo rispose: — Non togliere la vita.
— Ma tu hai il fucile.
— Oh, questo fucile rende rigidi, non morti — replicò la guardia, ridendo. La modulazione della voce era del tutto arbitraria, non collegata col significato delle parole e tra queste e la risata ci fu una breve pausa. — Ora mangia, bevi, pulisciti. Ecco dei buoni abiti. Guarda, i vestiti.
— Sei un Cancellato?
— No. Sono Capitano della Guardia del Corpo dei Veri Signori, e sono collegato al calcolatore elettronico numero Otto. Ora mangia, bevi, pulisciti.
— Vorrei che tu uscissi dalla stanza.
Una breve pausa. — Ma certo, benissimo, Signore Agad — rispose l'omaccione e di nuovo rise, come se gli facessero il solletico. Magari sentiva il solletico quando il calcolatore gli parlava nel cervello. Attraverso la parete interna della stanza, Falk scorgeva indistintamente le sagome sgraziate delle due guardie; erano collocate ai due lati della porta, nel corridoio. Trovò la stanza da bagno e si lavò. Sul grande letto morbido che occupava un angolo della stanza c'erano abiti puliti; lunghe palandrane cadenti, con violenti disegni rossi, magenta e viola; li esaminò con disgusto, ma li indossò ugualmente. Il suo logoro fagottino si trovava sul tavolo di plastica lucida profilato d'oro: non sembrava che il contenuto fosse stato asportato, comunque abiti e pistole non erano visibili. Fu portato il pranzo e non gli mancava la fame. Quanto tempo era passato da quando gli si erano chiuse le porte dietro le spalle? Non ne aveva la minima idea, ma lo stomaco gli diceva che era passato un bel po' e si buttò sul cibo. Le vivande erano strane, molto aromatizzate, pasticciate, piene di salse e troppo elaborate, ma mangiò tutto e ne chiese ancora. Non ce n'era e poiché aveva terminato quello che gli era stato chiesto, si diede a esaminare la stanza con maggiore attenzione. Non riusciva più a scorgere le vaghe ombre delle guardie dall'altra parte della parete verde-azzurra semitrasparente; stava già per mettersi a cercarle, quando si fermò di botto. L'apertura della porta, a stento visibile, si stava allargando e dietro a essa un'ombra si muoveva. Si formò un alto ovale; una persona lo attraversò ed entrò nella stanza.
Una ragazza, pensò Falk in un primo momento, poi però si accorse che era un ragazzo di sedici anni o giù di lì, con abiti sciolti come i suoi. Il ragazzo non si avvicinò a Falk, ma si fermò stendendo le mani a palme all'insù, e dalla sua bocca sgorgò un vero fiume di frasi inarticolate.
— Chi sei?
— Orry — disse il giovanetto — Orry! — e altre parole senza senso. Sembrava fragile ed eccitato; gli tremava la voce per l'emozione. Poi si lasciò cadere sulle ginocchia e chinò la testa basso basso, gesto che Falk non aveva mai visto, benché non ci si potesse sbagliare sul suo significato: era il gesto originale, completo, di cui aveva colto qualche rudimentale residuo tra gli Apicultori e i sudditi del Principe del Kansas.