— Parla Galaktika — disse Falk con ardore, scosso e a disagio. — Chi sei?
— Sono Har-Orry-Prech-Ramarren — mormorò il fanciullo.
— Alzati. Tirati su. Non… Mi conosci?
— Prech Ramarren, non ti ricordi di me? Sono Orry, figlio di Har Weden…
— Qual è il mio nome?
Il ragazzo sollevò il capo e Falk lo fissò, fissò i suoi occhi, che guardavano dritto nei suoi. Erano colore dell'ambra, con venature grigie, tranne le grandi pupille scure: e tutto iride, senza bianco apparente, come gli occhi di un gatto o di un cervo, come nessun altro occhio mai visto da Falk, tranne nello specchio la sera prima.
— Il tuo nome è Agad Ramarren — disse il ragazzo scosso dalla paura e sommesso.
— Come fai a saperlo?
— Io… io l'ho sempre saputo, prech Ramarren.
— Sei della mia stirpe? Siamo gente affine?
— Sono il figlio di Har Weden, prech Ramarren! Te lo giuro, sono suo figlio!
Per un momento i suoi occhi grigio-oro si riempirono di lacrime. E Falk stesso aveva sempre reagito alle fatiche con un breve scorrer di lacrime; una volta Buckeye lo aveva rimproverato, perché si era accorto che questa sua caratteristica lo metteva a disagio. Gli aveva spiegato che sembrava una reazione puramente fisiologica, probabilmente razziale.
La confusione, lo sbigottimento, il disorientamento che l'avevano colpito da quando era entrato a Es Toch lo lasciò ora disarmato; non riusciva a fare domande e a formulare giudizi su quest'ultima apparizione. Parte della sua mente diceva: "È esattamente quello che vogliono: ti vogliono confuso al punto da diventare assolutamente credulo". Ormai non sapeva più se Estrel (quella Estrel che conosceva così bene e amava così di cuore) fosse amica sua o degli Shing o semplicemente uno strumento degli Shing; se gli avesse mai detto la verità o se gli avesse mai mentito; se fosse caduta in una trappola assieme a lui o se ve lo avesse attirato. Ricordava una risata; però ricordava anche un abbraccio disperato, un bisbiglio… E allora cosa doveva fare di questo ragazzo, un ragazzo che lo guardava terrorizzato e afflitto, con occhi ultraterreni come i suoi: se lo toccava spariva anche lui in un guizzo luminoso? Rispondeva alle domande con menzogne o con la verità?
In mezzo a tutte le illusioni, gli errori, gli inganni rimaneva, per quello che poteva giudicare, una sola via da prendere: la via che, del resto, aveva sempre seguito, dalla Casa di Zove in poi. Guardò di nuovo il ragazzo e gli disse la verità.
— Io non ti conosco. E se anche dovessi ricordarmi di te, non me ne ricordo, perché non ho ricordi che risalgano a più di quattro o cinque anni fa. — Si rischiarò la voce, si girò nuovamente, sedette su una sedia alta e sottile, indicò al ragazzo di fare lo stesso.
— Non… non ricordi Werel?
— Chi è Werel?
— La nostra casa. Il nostro mondo.
Ciò lo ferì. Ma non disse nulla.
— Ricordi il… il viaggio fino a qui, prech Ramarren? — chiese il ragazzo esitante. Nella sua voce c'era una nota di incredulità; sembrava che non avesse udito le parole di Falk. C'era anche un tremito, una nota ardente, cui era d'impaccio il rispetto o il timore.
Falk scrollò il capo.
Orry ripeté la domanda con un lieve cambiamento: — Ricordi il nostro viaggio sulla Terra, prech Ramarren?
— No. E quando sarebbe stato?
— Sei anni terrestri fa. Prech Ramarren, ti prego di perdonarmi. Non so, ero nei pressi del Mare di California e mi mandarono un aeromobile, una automatica; non si diceva per cosa venivo chiamato. Poi il Signore Kradgy mi disse che una delle Spedizioni era stata rintracciata, e pensai… Ma non mi disse della tua memoria… Ricordi… soltanto… soltanto sulla Terra, allora?
Pareva quasi che cercasse una risposta negativa.
— Ricordo soltanto la Terra — disse Falk, ben deciso a non lasciarsi commuovere dall'emotività del ragazzo, o dalla sua ingenuità, dal candore infantile del suo viso, della sua voce. Si fece anche l'idea che questo Orry non fosse proprio quel che pareva.
E se invece lo era?
"Non permetterò che ci si prenda gioco di me nuovamente" pensò Falk con amarezza.
"Non potrai farne a meno" gli ribatté un'altra parte della mente; "ci si prenderà gioco di te se lo vogliono fare, e non c'è possibilità di impedirlo. Se a questo ragazzo non fai domande nel timore che la risposta sia una menzogna, allora la menzogna ha il sopravvento su tutto, e dal tuo viaggio non trarrai nient'altro che silenzio e scherno e disgusto. Sei venuto per sapere qual è il tuo nome. Egli te ne fornisce uno: prendilo per buono."
— Mi dici chi… chi siamo?
Il ragazzo fu pronto a rispondere con le solite parole incomprensibili, ma si arrestò subito, dato lo sguardo di stupore di Falk. — Non ti ricordi come si parla Kelshak, prech Ramarren? — Chiese con voce lamentosa.
Falk scosse la testa. — Il Kelshak è la tua lingua originaria?
Il ragazzo rispose: — Sì. — E aggiunse timidamente: — E anche la tua, prech Ramarren.
— Come si dice "padre" in Kelshak?
— Hiowech. O wawa… per i bambini. — Sul volto di Orry passò un ammicco ingenuo, come un lampo.
— E come chiamate un vecchio degno di rispetto?
— Ci sono tanti termini del genere, termini di parentela. Prevwa, kioinap, ska n-gehoy… Fammi pensare, prechna. È da tanto che non parlo Kelshak… Un prechnoweg, cioé un non parente di rango elevato, potrebbe essere tiokioi, oppure previotio…
— Tiokioi. L'ho detta questa parola, una volta, senza sapere dove l'avevo sentita…
Non era una prova certa. Anzi non c'era nessuna prova possibile. A Estrel non aveva mai detto molto della sua permanenza col vecchio capace di Udire della Foresta, ma mentre si trovava nelle loro mani la notte o le notti scorse potevano avergli letto ogni pezzetto di memoria nel cervello. Non c'era possibilità di sapere cos'avevano fatto; né cosa potevano o intendevano fargli. E meno di tutto poteva sapere cosa volevano. Poteva soltanto continuare a perseguire il suo scopo.
— Sei libero di andare e venire da qui?
— Ma certo, prech Ramarren. I Signori sono stati gentilissimi. Hanno cercato a lungo se ci fosse qualche… altro superstite di quella Spedizione. Tu sai, prechna, se qualcuno degli altri…
— Non ne so niente.
— Tutto quello che Kradgy ha avuto modo di dirmi quando sono venuto da te qualche minuto fa, era che sei vissuto nella foresta nella parte orientale del continente, con qualche tribù selvaggia.
— Te ne parlerò, se ti interessa saperlo. Ma prima dimmi tu qualcosa. Non so chi sonò io, chi sei tu, cos'era la Spedizione, cos'era Werel.
— Siamo Kelshy — cominciò a dire il ragazzo con una certa soggezione, chiaramente imbarazzato, dato che doveva spiegare cose così semplici a uno che reputava superiore a lui, per età naturalmente, ma anche per qualcos'altro. — Della Nazione Kelshak, che si trova su Werel… siamo venuti qui sull'astronave Alterra…
— E perché siamo venuti qui? — chiese Falk, chinandosi in avanti.
E un po' alla volta, con digressioni e salti all'indietro, con migliaia di domande e interruzioni, Orry proseguì finché fu stanco di parlare e Falk di sentire, e le pareti velate della stanza cominciarono a splendere di una calda luce serotina; a questo punto tacquero per qualche tempo, mentre servitori muti portavano da mangiare e da bere. E per tutto il tempo che mangiò e bevve Falk continuò a esaminare mentalmente quel gioiello probabilmente falso, probabilmente inestimabile, quella storia, quella trama, quell'immagine — visione veritiera o no — del mondo che aveva perso.
7
Un sole come l'occhio di un drago, di un giallo arancio come un opale di fuoco con sette sfavillanti pendenti che si dondolavano lenti disegnando lunghe ellissi. Il terzo pianeta, verde, impiegava sessanta anni terrestri per compiere uno dei suoi: Felice colui che vede la seconda primavera, gli disse Orry citandogli un proverbio di quel mondo. Gli inverni dell'emisfero settentrionale, che a causa dell'angolo dell'eclittica era spostato rispetto al sole, erano gelidi, scuri, terribili, quando il pianeta si trovava al punto più lontano dal sole, per contro le smisurate estati, che prendevano metà della vita umana, erano incommensurabilmente opulente. Le ondate gigantesche dei profondi mari di quel pianeta erano regolate da una luna enorme che impiegava quattrocento giorni a crescere e a calare; in quel mondo erano comuni terremoti, vulcani, piante che camminavano, animali che cantavano, uomini che parlavano e costruivano città: un vero elenco di meraviglie. In questo mondo miracoloso ma non insolito, una nave era atterrata dallo spazio una ventina d'anni prima. Ma venti dei suoi anni lunghi, intendeva Orry: poco più di milleduecento anni Terraniani.