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«Può comunicare?»

«Caro ragazzo.» La Dawnay parlava come se stesse assecondando i capricci di uno studente molto giovane. «Abbiamo appena avuto il tempo di imparare un paio di cose sul suo conto.»

«Non ha corde vocali o qualcosa del genere?»

«No.»

«Hum.» Fleming si drizzò a guardare dalla cima del serbatoio. «Potrebbe essere l’abbozzo di un uomo.»

«Un uomo? Non assomiglia a un uomo.»

Fleming si diresse alla sala del calcolatore, dove Christine osservava i quadri di controllo.

«Non stampa nulla?»

«No, niente.» Christine sembrava perplessa. «Ma ovviamente sta succedendo qualcosa.»

Le lampade di controllo lampeggiavano con regolarità: pareva che la macchina stesse lavorando per conto suo, senza ottenere alcun risultato.

Nei due o tre giorni che seguirono non accadde nulla, poi Fleming dispose un filo elettrico congiunto al calcolatore attorno al serbatoio. Non diede spiegazioni e, a dire la verità, non avrebbe potuto spiegare perché lo facesse, ma d’improvviso il quadro di controllo del calcolatore cominciò a lampeggiare selvaggiamente. Christine entrò di corsa dal laboratorio.

«Ciclope è terribilmente agitato. È là nel suo serbatoio che sta smaniando.»

Si poteva infatti sentire nell’altra stanza la creatura agitarsi e far schizzare il suo liquido dal serbatoio. Fleming staccò il contatto, e i colpi cessarono. Quando riattaccarono il filo, la creatura reagì ancora, ma dalla stampa-dati non usciva ancora nulla. Sopraggiunse Reinhart per vedere come se la cavavano, e, assieme alla Dawnay e a Fleming, ripeterono ancora una volta le operazioni; ma non ottennero nulla.

Il giorno dopo Fleming li radunò di nuovo.

«Voglio fare un esperimento,» annunciò.

Si diresse al quadro di controllo e, voltandogli la schiena, si fermò tra i due misteriosi terminali che non avevano mai usato. Dopo un minuto tolse ai terminali la fodera di plastica e tornò a mettersi tra di essi.

«Le spiace mettersi qui un attimo?» chiese a Reinhart, e si allontanò per permettere al professore di prendere il suo posto. «Faccia attenzione a non toccarli. C’è una tensione di mille volt e più, lì.»

Reinhart stava completamente immobile, il capo tra i terminali, la schiena volta al quadro di controllo.

«Non sente nulla?»

«Un leggero…» Reinhart fece una pausa. «Una specie di stordimento.»

«Nient’altro?»

«No.»

Reinhart con un passo si allontanò dal calcolatore.

«Tutto bene, adesso?»

«Sì,» rispose. «Non sento nulla, ora.»

Fleming ripeté l’esperimento con la Dawnay, che non avvertì nulla.

«Il quantitativo di elettricità emesso varia da cervello a cervello. Il mio ovviamente ne emette poca, e così quello di Fleming. Il suo quantitativo, Ernest, deve essere maggiore perché produce una dispersione elettrica tra i terminali. Provi lei, Christine.»

Christine pareva spaventata.

«Non c’è nulla di cui preoccuparsi,» le disse Fleming. «Mettiti con la testa tra questi due affari, ma non toccarli o ti fanno arrosto.»

Christine prese posto dove si erano messi gli altri. Per un momento sembrò che su di lei non avesse alcun effetto, poi si fece rigida e cadde in avanti, gli occhi chiusi, svenuta. La sollevarono e la misero su una sedia. La Dawnay le sollevò le palpebre per esaminarle le pupille.

«Che diavolo è successo?» chiese Reinhart. «Ne ha toccato uno?»

«No,» rispose Fleming. «Ma in ogni caso penso sia meglio rimetterci su le custodie.» Fatto questo indugiò a pensare; Reinhart e la Dawnay cercavano di rianimare Christine, piegandole la testa tra le gambe e tamponandole la fronte con acqua fredda.

«Se c’è una scarica regolare tra questi due terminali e ci si introduce il campo elettrico di un cervello in attività…»

«Un momento,» lo interruppe la Dawnay con impazienza. «Penso che si stia riprendendo.»

«Oh, starà benissimo.» Fleming osservava pensoso il quadro e i due contatti foderati che ne sporgevano. «Questo modificherà la corrente tra di loro… la modulerà. Il cervello sentirà una reazione. Ci potrebbe essere una specie di fonorivelatore: potrebbe funzionare in entrambe le direzioni.»

«Di che stai parlando?» chiese Reinhart.

«Parlo di questi.» Fleming era eccitatissimo. «Penso di sapere a che servono. Sono un dispositivo per inserire e ricevere informazioni dalla macchina.»

La Dawnay lo fissava dubbiosa. «Questa è semplicemente una giovane donna nevrotica. Probabilmente sarebbe un buon soggetto per l’ipnosi.»

«Forse.»

Christine rinvenne e batté le palpebre.

«Salve.» Sorrise loro con aria vaaa. «Sono svenuta?»

«Direi proprio di sì,» sorrise la Dawnay. «Deve avere un potenziale elettrico dell’accidente.»

«Davvero?»

Reinhart le diede un bicchier d’acqua. Fleming si volse verso di lei sorridendole.

«Hai appena reso un gran servigio alla scienza.» Accennò ai terminali. «Meglio che ti tenga lontana da quelli.»

Tornò a rivolgersi a Reinhart.

«Il fatto, in realtà, è che con il tipo di cervello adatto… non un cervello umano, bensì uno che funzioni in un modo progettato dalla macchina, allora si ha un collegamento. Ecco come la macchina deve comunicare. Il nostro sistema di reintrodurre le domande come risposte è terribilmente lento. Tutta questa storia della stampa-dati…»

«Vuol dire che può leggere nel pensiero?» chiese sprezzante la Dawnay.

«Sto dicendo che due cervelli, se sono del tipo adatto, possono comunicare elettricamente tra di loro. Se prende la sua creatura e ne mette la testa tra i terminali…»

«Non vedo come sia possibile.»

«Ma è quello che vuole. È per questo che è così agitata. Ecco perché tutti e due sono così agitati. Vogliono essere messi in contatto. La creatura si trova nel campo elettromagnetico della macchina, e la macchina ne conosce le possibilità logiche. Ha dedotto proprio questo, e senza dircelo.»

«Non si può tirare Ciclope fuori dal suo bagno nutriente,» obiettò la Dawnay. «Morirebbe.»

«Devono avere pensato anche a questo.»

«Potresti equipaggiare un elettroencefalografo,» suggerì Reinhart. «Come quelli che si usano per le analisi mentali. Disponi una serie di piastrine elettriche sulla testa di Ciclope e fa correre un cavo coassiale da qui ai terminali per convogliare le informazioni. Devi farlo passare attraverso un trasformatore, o, con quelle scariche elettriche, lo ucciderai.»

«E a che può servire?» La Dawnay lo fissava scettica.

«A mettere il calcolatore in contatto con la sua sub-intelligenza,» rispose Fleming.

«E a che scopo?»

«Per il suo scopo.» Volse loro le spalle e percorse la stanza a grandi passi. La Dawnay aspettava che Reinhart parlasse, ma il vecchio se ne stava immobile, ostinato, fissandosi le mani, accigliato.

«Si sente meglio, ora?» chiese a Christine.

«Sì, grazie.»

«Pensa di riuscire a combinare qualcosa del genere?»

«Credo di sì.»

«Il dottor Fleming l’aiuterà. D’accordo, John?»

Fleming era all’altro capo della stanza: il complesso degli apparecchi si levava massiccio alle sue spalle.

«Se è proprio quel che vuole…» rispose.

«L’alternativa,» riprese Reinhart, parlando più a se stesso e alla Dawnay che non a Fleming, «è di fare le valigie e sloggiare. Non abbiamo una gran scelta, no?»

8

Agonia

Judy si teneva il più possibile lontana da Fleming e quando per caso le capitava di incontrarlo, lui di solito era in compagnia di Christine. Tutto era cambiato dopo la morte di Bridger: perfino quel precoce soffio di clima primaverile era presto svanito, lasciando sulla base e su Judy un manto grigio di tristezza. Con sofferenza anche maggiore capiva come fosse probabile che Christine prendesse nella vita di Fleming non solo il suo posto ma anche quello di Dennis Bridger: lavorava e collaborava con lui come lei stessa non aveva mai fatto. In un primo tempo Judy pensò che non sarebbe mai riuscita a sopportare questa situazione e, scavalcando Geers, scrisse lei stessa direttamente a Whitehall, chiedendo di essere trasferita. L’unico risultato che ne ottenne fu un ennesimo colloquio con Geers.