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Lei si ritrasse e la mano di lui ricadde ma Andromeda continuò a tenere gli occhi su di lui, sorpresa e perplessa.

«Oppure potresti usare del profumo,» disse. «Come quello di Judy.»

«È quello che le dà quell’odore?»

Annuì. «Non molto esotico. Acqua di lavanda o qualcosa del genere. Ma buona.»

«Non la capisco.» Una piccola ruga segnava la pelle liscia della sua fronte. «Buono, cattivo. Bello, brutto. Non c’è una distinzione logica.»

Lui sorrideva ancora. «Vieni qui.»

Andromeda esitò, poi fece un passo verso di lui. Con calma, deciso, lui le pizzicò un braccio.

«Ahi!» Andromeda arretrò, con un improvviso lampo di paura negli occhi, e si fregò la pelle nel punto dove lui le aveva fatto male.

«Bello o brutto?» chiese lui.

«Brutto.»

«Perché sei stata fatta per sentire il dolore.» Sollevò di nuovo la mano e lei vi si appoggiò. «Questa volta non voglio farti male.»

Lei rimase rigida, mentre lui le accarezzava la fronte, come una gazzella accarezzata da un bambino, sottomessa ma pronta a fuggire. Le dita di lui scesero lungo la guancia, lungo il collo nudo.

«Bello o brutto?»

«Bello.» Lo guardava per vedere quel che avrebbe fatto poi.

«Sei fatta per provare il piacere. Lo sapevi?» Ritirò gentilmente la mano e si allontanò da lei. «Non so se era questa l’intenzione, ma dandoti forma umana… gli esseri umani non vivono secondo la logica.»

«L’ho notato.» Era piti sicura di sé, ora, come era stata prima che lui cominciasse a parlare; ma la sua attenzione era ancora tutta presa da lui.

«Noi viviamo attraverso i nostri sensi. Sono essi a darci il nostro istinto per il bene e per il male, i nostri giudizi estetici e morali. Senza di essi probabilmente a quest’ora ci saremmo già distrutti.»

«Fate del vostro meglio, vero?» Guardò i suoi fogli con un sorriso di disprezzo. «Siete tutti dei bambini con tutti i vostri missili e i vostri razzi.»

«Non mettere anche me in questa faccenda.»

«No, non la metto in questa faccenda.» Lo guardò pensosa. «Ad ogni modo, intendo salvarvi. Tutto qui, davvero.» Fece un piccolo gesto a indicare i fogli che aveva in mano.

Judy entrò e, come aveva fatto Andromeda, si fermò sulla soglia. «Il dottor Geers la può ricevere.»

«Grazie.» Il ruolo ora era cambiato; senza che fosse stato detto, il rapporto tra loro tre era mutato. Sebbene Fleming osservasse ancora Andromeda, lei ricambiava lo sguardo con una consapevolezza diversa.

«Ho un cattivo odore?» chiese.

Fleming si strinse nelle spalle. «Devi scoprirlo da te, ti pare?»

Andromeda seguì Judy fuori dall’edificio e camminò con lei lungo il sentiero di cemento fino all’ufficio di Geers. Non avevano nulla da dirsi e nulla da spartire, salvo una specie di circospetta indifferenza. Judy la fece entrare nell’ufficio di Geers e la lasciò. Il direttore era seduto dietro la scrivania, al telefono.

«Sì. Procediamo splendidamente,» stava dicendo. «Un solo controllo ancora, e possiamo cominciare a costruire.»

Depose il ricevitore; Andromeda posò i fogli sulla scrivania, indifferente, impassibile, come se gli portasse una tazza di tè.

«Ecco tutto quel che vi serve, dottor Geers,» gli disse.

10

Azione

Il nuovo missile venne costruito e sperimentato a Thorness. Fu lanciato, recuperato e ne furono fatte delle copie: il primo ministro mandò Burdett a parlare con Vandenberg. Il generale era parecchio preoccupato per il progetto di Thorness. Gli sembrava che si procedesse troppo alla svelta per essere sul sicuro. Sebbene i suoi capi volessero che si passasse all’azione al più presto, aveva dei grossi dubbi sul risultato di una tecnica straniera, e desiderava che il razzo venisse mandato a collaudare negli Stati Uniti; ma inaspettatamente il governo di Sua Maestà si era impuntato.

Burdett lo affrontò nella sala di operazioni sotterranea.

«Giusto per una volta abbiamo i mezzi per mandare avanti da soli questo progetto.» Il giovane ministro, nel suo inappuntabile abito blu, con la cravatta del collegio, aveva un’aria molto efficiente, spigliata e acuta. «Naturalmente ci accorderemo quando sarà giunto il momento di usarlo.»

Vandenberg grugnì. «Possiamo sapere come lo sfrutterete?»

«Opereremo un’intercettazione.»

«Come?»

«Reinhart a Bouldershaw Fell ci darà notizie sul nostro bersaglio e il gruppo di Geers eseguirà il lancio.»

«E se fallisse?»

«Non fallirà.»

I due stavano di fronte, intransigenti: Burdett gentile e sorridente, il generale duro e ostinato. Dopo un momento Vandenberg si strinse nelle spalle.

«Tutto d’un tratto questa è diventata una faccenda personale.»

Su questo si lasciarono, e Burdett disse a Geers e a Reinhart di andare avanti.

Quasi ogni giorno a Bouldershaw venivano captate tracce recenti. Harvey sedeva dietro la grande finestra che guardava sul Fell e man mano che andavano avanti le registrava.

«… 12 agosto ore 3,50, ora di Greenwich. Ordigno spaziale N. 117 sorvola sulla rotta 2697/451. Altezza 400 miglia. Velocità approssimativa 17.500 miglia all’ora…»

L’enorme conca all’esterno che sembrava vuota e immobile sotto la sua alta struttura, era continuamente all’erta e piena dei riflessi dei segnali. Ogni ordigno che la sorvolava emetteva il suo segnale e lo si poteva sentire avvicinarsi dall’altra parte del globo. Nell’osservatorio c’erano analizzatori elettronici che mostravano il percorso dei bersagli su uno schermo a raggi catodici, mentre un dispositivo automatico di rilevazione e di individuazione del campo era collegato via terra con Thorness. A Thorness, sulla cresta della scogliera, era disposta una fila di razzi; un «primo lancio,» come lo chiamavano, e due di riserva. I tre missili, a forma di matita, con il muso affusolato e la coda munita di pinne, si levavano, in fila, sulle loro basi di lancio, e risplendevano argentei nella luce fredda e grigia. Erano stranamente piccoli, molto sottili e con una bellissima linea. Sembravano frecce incoccate e pronte ad allontanarsi in volo da tutte le pesanti e complicate strutture delle operazioni di lancio. Ognuno, fornito di carburatore e stipato delle apparecchiature necessarie, portava nella punta affusolata una piccola carica nucleare. Il controllo da terra era operato attraverso il calcolatore che veniva fatto funzionare a turno da Andromeda e dai suoi assistenti. I segnali dei bersagli, provenienti da Bouldershaw, passavano attraverso la sala di controllo, e venivano interpretati all’istante e inoltrati all’intercettatore. Il volo di intercettazione poteva venire diretto con la massima precisione.

In quel periodo avevano libero accesso alla sala di controllo solo Geers e il suo personale di lavoro. A Fleming e alla Dawnay era stata data, a titolo di cortesia, la possibilità di assistere su uno schermo, in un altro edificio, all’intercettazione: Andromeda lavorava tranquillamente al calcolatore e Geers si agitava ansioso e con aria di importanza tra la zona di lancio, l’edificio del calcolatore e la sala di controllo. Si trattava di un piccolo centro di operazioni dove si esaminavano i meccanismi del decollo. Un telefono diretto lo collegava al Ministero della Difesa. Judy era tenuta sotto pressione dal maggiore Quadring, che faceva fare un doppio controllo su tutti coloro che entravano e uscivano.

L’ultimo giorno di ottobre, Burdett conferì con il primo ministro poi telefonò a Geers e a Reinhart.

«Il prossimo.»

Reinhart e Harvey rimasero in osservazione per trentasei ore prima di captare una nuova traccia, poi, al far dell’alba, raccolsero un segnale molto debole e il sistema automatico di collegamento entrò in azione.

A Thorness, l’equipaggio ancora insonnolito si raccolse e Andromeda, che non mostrava alcun segno di fatica, stette ad osservare mentre gli altri controllavano le informazioni attraverso il calcolatore. Venne subito calcolato il tempo optimum per il lancio e fu comunicato al centro di controllo; ebbe inizio il conto alla rovescia. Sullo schermo dei radar si poté vedere molto presto una traccia del bersaglio. Nella stanza del calcolatore c’era uno schermo per Andromeda, un altro al centro di controllo per Geers, un terzo a Londra, nella sala operazioni del Ministero della Difesa, e un controllo generale a Bouldershaw, sorvegliato da Reinhart. Anche a Bouldershaw si poteva sentire il segnale del satellite: un blip-blip continuo che veniva amplificato e diffuso dagli altoparlanti fino all’osservatorio.