Zeboim sbuffò. Scrollando il capo, osservò Mina con gli occhi ridotti a fessure. «Se c’è qualcos’altro che desideri, sarò obbligata.»
Mina percepì una trappola. Si interrogò mentalmente, chiedendosi dove volesse arrivare Zeboim.
«Un viaggio tranquillo per lasciare questo scoglio?» suggerì la dea.
Mina si morse il labbro. Forse si era spinta troppo oltre. La dea delle onde poteva facilmente farla annegare.
«Sì, maestà», rispose col tono più umile. «Anche se forse è più di quanto io meriti.»
«Risparmia il tuo servilismo per qualcuno che lo apprezzi», sbottò stizzosa Zeboim. «Comincio a pentirmi di averti concesso il mio favore. Credo che mi mancherà Krell da tormentare.»
«Non mi avete concesso nessun favore, mia signora», disse Mina fra sé, non ad alta voce. Attese in stato di tensione di udire il verdetto della dea. Nemmeno Chemosh poteva proteggerla quando avesse fatto vela sul mare che era dominio di Zeboim.
La dea rivolse a Mina e all’elmo un’ultima occhiata di sdegno e di scherno. Quindi girò sui talloni, uscendo dalla biblioteca. Il vento della sua collera ululò e lacerò Mina, la colpì con forza schiacciante, percuotendola finché lei cadde in ginocchio per evitare i colpi. Mina si accovacciò sul pavimento, con la testa china, tenendo fra le braccia l’elmo, mentre il vento la sferzava.
E poi tutto si calmò. Il vento emise un ultimo sibilo irritato e poi si ridusse a niente.
Mina sospirò profondamente. Questa era la risposta della dea, o per lo meno così sperava lei. Si alzò in piedi troppo rapidamente e barcollò, quasi ricadendo. Gli incontri col cavaliere della morte e con la dea le avevano prosciugato il corpo e lo spirito. Era arsa dalla sete e, sebbene vi fosse acqua piovana in abbondanza raccolta in pozzanghere profonde e ampie quasi quanto laghetti, l’acqua aveva un aspetto oleoso e odorava di sangue. Non l’avrebbe bevuta per tutti i fili di perle del mondo. E doveva ancora ritornare alla scala nera, discendere quegli scalini spezzati e scivolosi fino al punto in cui l’attendeva la sua barchetta, quindi compiere il viaggio per mare, sul petto ondeggiante di una dea irata.
Si incamminò stancamente verso la porta. Per lo meno la tempesta si era placata. La pioggia adesso era un’acquerugiola mormorante. Il vento era calmo, anche se di quando in quando si rafforzava con folate maligne.
«Hai agito bene, Mina», la lodò Chemosh. «Sono soddisfatto.»
Mina sollevò la testa, si guardò attorno, sperando che il dio fosse lì con lei sul Bastione della Tempesta. Non si vedeva da nessuna parte e Mina capì subito di essere stata sciocca a pensare che lui potesse essere arrivato. Zeboim la stava ancora osservando e la presenza di lui avrebbe svelato tutto.
«Sono contenta di avervi compiaciuto, mio signore», mormorò Mina, accalorata dall’ardore della sua lode.
«Zeboim manterrà la sua promessa e calmerà i mari per te. Ti ammira. Ha ancora la speranza di conquistarti.»
«Mai, mio signore», disse con fermezza Mina.
«Io lo so, ma lei no; pertanto non mettere troppo a lungo alla prova la sua pazienza. Hai l’elmo di Krell?»
«Sì, mio signore. Ce l’ho con me, come voi avete ordinato.»
«Tienilo al sicuro.»
«Sì, mio signore.»
«Torna presto fra le mie braccia, Mina», concluse Chemosh.
Mina sentì un contatto sulla guancia: il bacio di lui le sfiorò la pelle. Mina si premette la mano sulla guancia, chiuse gli occhi e si godette il calore. Quando riaprì gli occhi si sentì rinvigorita, come se avesse mangiato e bevuto.
Ricordandosi dell’elmo, strappò via un mantello lacero a uno dei molti cadaveri disseminati nella stanza e lo legò attorno all’elmo, tenendolo in posizione con una cintura di cuoio che prese a un’altra vittima. Portando a spalla l’elmo nel suo fagotto, Mina uscì dalla Torre del Giglio e attraversò la piazza d’armi, dirigendosi verso la scala nera e la sua barchetta.
8
Dal suo punto di osservazione nei cieli, Zeboim osservò la barca di Mina muoversi a scatti sull’acqua del mare scintillante di sole, puntando verso una lingua di costa desolata e circondata da rocce. Dea inquieta, dea crudele, Zeboim avrebbe potuto sollevare un’onda per rovesciare la piccola imbarcazione oppure richiamare un drago marino per divorarla o fare numerose altre cose per tormentare o uccidere quella mortale. Per lei non sarebbe stato niente. Talvolta affondava intere navi colme di anime viventi, inviando passeggeri e marinai a una morte terrificante per annegamento o guardandoli soffrire per giornate di fila, ammassati in minuscole scialuppe di salvataggio fino a morire di sete e di esposizione agli elementi o a essere divorati dagli squali.
Zeboim si deliziava delle loro suppliche disperate. Amava ascoltare le loro invocazioni. Le promettevano qualunque cosa se solo lei avesse risparmiato loro la vita. Talvolta li ignorava, li lasciava morire. Altre volte ascoltava le loro preghiere e li salvava. Le sue azioni non erano basate sul puro capriccio, come spesso dicevano le accuse rivoltele dai mortali e dagli altri dèi. Zeboim era una dea calcolatrice e intelligente, che sapeva recitare per il pubblico.
I marinai morti non lasciavano doni ai suoi altari né riempivano i cieli con canti di lode per lei. Invece i marinai che sfuggivano alla morte per annegamento non passavano mai davanti a un tempio della Dea del Mare senza fermarsi per lasciare un segno della loro gratitudine. I marinai che temevano l’annegamento le donavano le offerte migliori, sperando di meritarsi la sua considerazione. Per evitare che tutti tornassero da lei, Zeboim doveva annegarne alcuni di quando in quando. Lo stesso valeva per uragani e maremoti, inondazioni e cicloni. L’uomo che vedeva il proprio figlio portato via da un torrente impetuoso urlava il nome di Zeboim e la benediceva o la malediceva, secondo che la mano della dea calasse per tirare fuori il ragazzo o per tenerlo sotto. Benedizioni o maledizioni, erano tutte acqua al suo mulino, poiché nella successiva stagione piovosa quell’uomo sarebbe stato nel tempio della dea, a pregarla di risparmiare la vita degli altri suoi figli.
Quanto a stabilire chi dovesse vivere e chi morire, Zeboim era un po’ capricciosa in proposito. Poteva anche annegare il proprietario di navi che aveva pagato la costruzione del suo nuovo tempio e tenere in vita invece il mozzo che aveva dato in offerta una monetina piegata e soltanto perché costretto dalla madre. Annegava anche i propri sacerdoti, giusto per tenere tutti in allerta.
Riguardo a Mina, la giovane donna affascinava la dea. Certo, Zeboim l’aveva denigrata durante le loro conversazioni. Ma questa era apparenza; Zeboim non dava mai potere a un mortale sembrando favorirne uno rispetto a un altro.
Sebbene Zeboim disprezzasse Takhisis, doveva ammettere che sua madre aveva talento per trovare bravi servitori, e questa Mina era audace e intelligente, coraggiosa e fedele, chiaramente un gioiello fra i mortali. Zeboim voleva che Mina la adorasse, e mentre osservava la barca giungere a un approdo sicuro e Mina allontanarsene, stringendo il fagotto in cui aveva avvolto l’elmo del cavaliere della morte, la dea si trastullò con vari progetti per cercare di conquistarla.
Sembrò che Zeboim avesse avuto un inizio favorevole. Il tempio della Dea del Mare fu il primo luogo in cui Mina andò dopo essere sbarcata, a rendere grazie per il viaggio sicuro. La preghiera di Mina fu cortese e adeguatamente rispettosa, e Zeboim, anche se avrebbe preferito una maggiore umiliazione e magari pure qualche lacrima sentita rimase soddisfatta. Si avvolse di nubi temporalesche e non avendo nulla di più interessante da fare ritornò al Bastione della Tempesta per trascinare via l’anima di Krell dal piano di esistenza immortale, qualunque fosse, in cui si trovava (forse lui immaginava ingenuamente di poterle sfuggire) e ricondurlo nella sua prigione.
Una folata di vento e un lampo annunciarono il suo arrivo nella Torre del Giglio. Zeboim incrociò le braccia sul petto e guardò giù con un sorriso maligno verso l’armatura vuota.
«Senza dubbio la tua anima miserabile sta girando attorno in circolo, cercando una via d’uscita da questa esistenza maledetta, Krell. Forse pensi di sfuggirmi questa volta. Non sarai tanto fortunato. Le mie mani arrivano lontano.» Zeboim fece seguire l’azione alle parole. Stendendo il braccio, infilò la mano nell’armatura.