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«Anch’io», sussurrò Mina, e lui ebbe la sensazione che lei non parlasse di teologia.

A Lleu non veniva in mente nulla da dire in risposta. Chinò cortesemente la testa e si fece largo tra la folla, fingendo di non udire gli scherni e le frecciate. Sperava ardentemente che lo sceriffo si rifiutasse di lasciar entrare quella donna. Andando direttamente al suo tempio, si mise davanti alla statua di Kiri-Jolith e trovò conforto e consolazione nel volto severo e implacabile del dio guerriero. Si calmò e, dopo avere reso grazie al dio, poté andare avanti col lavoro che si era accumulato durante la sua assenza.

Lo sceriffo, perso in quegli occhi d’ambra, concesse a Mina l’accesso alla città, fornendole anche il nome della locanda migliore.

«Vi ringrazio, signore», disse Mina. «Avete qualcosa in contrario se io parlo alla gente? Non vi causerò alcun fastidio, ve lo prometto.»

Lo sceriffo si scoprì curioso riguardo a ciò che lei aveva da dire. «Fatela breve», le disse.

Mina lo ringraziò e quindi chiese ai portantini di abbassare il palanchino fino a terra.

I portantini obbedirono. Mina scostò le tende e uscì.

La folla, che per la maggior parte non era riuscita a vedere Mina prima d’ora, si meravigliò ad alta voce a quella vista. Mina stava in piedi davanti a loro nel suo abito nero a ragnatela sottile, col suo profumo che si spargeva con la lieve brezza primaverile. Mina alzò le mani per ottenere silenzio.

«Io sono Mina, somma sacerdotessa di Chemosh», gridò con un tono sonoro, lo stesso che un tempo riecheggiava sui campi di battaglia. «Egli viene nel mondo con un messaggio nuovo, un messaggio di vita eterna. Io non vedo l’ora di comunicare a tutti voi questo messaggio durante la mia visita nella vostra bella città.»

Mina ritornò al palanchino. Pagò allo sceriffo la tassa imposta a tutti i veicoli per l’ingresso in città e chiuse la tenda. I portantini sollevarono il palanchino e trasportarono Mina oltre la porta. La folla rimase a osservare in un silenzio sgomento finché il palanchino si perse di vista. Quindi le lingue incominciarono a muoversi senza sosta.

Tutti erano concordi su una cosa: questa Alba di Primavera prometteva di essere particolarmente interessante.

2

L’Alba di Primavera a Staughton si rivelò molto più interessante di quanto chiunque avesse previsto. Ben presto si diffuse in tutta la città la notizia che alla locanda aveva avuto luogo un miracolo. Col diffondersi della notizia la gente prese ad allontanarsi dalla zona dei festeggiamenti e ad affrettarsi per vedere di persona.

Uno stalliere era stato testimone oculare ed era adesso al centro dell’attenzione, sollecitato a raccontare ripetutamente la sua storia a beneficio di coloro che erano arrivati tardi.

Secondo lo stalliere, che era considerato persona sobria e responsabile, lui stava tornando dalle scuderie della locanda quando fu trasportato nel cortile il palanchino nero. I quattro portantini abbassarono il palanchino a terra. Mina ne uscì. I portantini tirarono fuori dal palanchino un baule di legno dagli intagli fantasiosi e su ordine di Mina lo portarono nella sua camera. Mina entrò nella locanda e non si vide più, anche se lo stalliere indugiò appositamente nel cortile, sperando di intravederla ancora. Le quattro femmine che facevano da portantini tornarono al palanchino, presero posizione davanti e dietro al palanchino e rimasero lì immobili.

Un kender scese subito verso i portantini e incominciò a infastidirli con domande. I portantini si rifiutarono di rispondere, mantenendo un dignitoso silenzio. Quelle femmine erano tanto silenziose, in effetti, e completamente indifferenti al kender (quando ormai qualunque persona normale gli avrebbe mollato uno schiaffo sulle orecchie) che lui diede un colpetto alle costole di una di loro.

Il kender rimase senza fiato e diede un altro colpetto alla donna.

«È pietra massiccia!» strillò il kender. «Questa signora si è trasformata in pietra!»

Lo stalliere sul momento immaginò che il kender stesse mentendo. Un’ulteriore indagine svelò che non era così. Le quattro femmine che facevano da portantini erano quattro statue di marmo nero. Il palanchino nero era un palanchino di marmo nero. La gente sciamò verso la locanda per vedere quello spettacolo mirabile, operando ulteriori miracoli per gli affari del locandiere in termini di birra e liquore dei nani.

Malgrado un temporale con pioggia torrenziale, il cortile della locanda si affollò ben presto di gente, e la folla traboccò nelle vie adiacenti. La gente prese a cantilenare «Mina! Mina!» e quando, dopo circa due ore, Mina comparve a una finestra del piano superiore la folla impazzì, acclamandola ed esortandola a parlare.

Aprendo una finestra di vetro dagli infissi di piombo, Mina tenne un breve discorso, spiegando che Chemosh era ritornato nel mondo con poteri nuovi e più forti di prima. Mina era interrotta continuamente dal rombo del tuono e dallo scoppiettare dei fulmini, ma persistette, e la folla pendeva dalle sue labbra. A Chemosh non interessava più vagare per i cimiteri a risuscitare cadaveri, disse Mina. A lui interessavano la vita e i vivi, e aveva un dono speciale da offrire a chiunque l’avesse seguite. Tutti i suoi fedeli avrebbero conseguito la vita eterna.

«Non diventerete mai più vecchi di quanto siete oggi», promise Mina. «Non vi ammalerete mai. Non conoscerete mai la paura né il freddo né la fame. Sarete immuni da malattie. Non assaporerete mai l’amarezza della morte.»

«Io diventerò un seguace!» gridò scherzando un giovane, uno dei migliori clienti della locanda in fatto di liquore dei nani. «Ma solo se tu scendi giù e mi fai vedere come si fa.»

La folla rise. Mina gli sorrise.

«Io sono la somma sacerdotessa di Chemosh, sono qui per recare il messaggio del dio alla sua gente», proseguì in tono amabile. «Se tu sei seriamente intenzionato a diventare un suo seguace, Chemosh ti guarderà nel cuore e invierà da te qualcuno a nome suo.»

Mina chiuse la finestra e scomparve nella camera, sottraendosi alla vista. La folla attese un attimo per vedere se sarebbe ritornata, poi qualcuno andò a casa ad asciugarsi, mentre altri andarono a toccare e pizzicare le statue o a osservare coloro che cercavano invano di scheggiarle con martello e scalpello.

Naturalmente la prima cosa che fece la gente fu trasmettere in fretta la notizia delle statue di pietra a Lleu, il chierico di Kiri-Jolith.

Lleu non ci credette.

«È qualche trucco da illusionista da strapazzo», disse con scherno. «Rolf lo stalliere è un credulone dei peggiori. Io non ci credo.» Si alzò dalla scrivania, dove stava scrivendo una lettera al suo superiore a Solanthus, esponendogli in dettaglio le sue preoccupazioni riguardo a Chemosh. «Vado a smascherare questa ciarlatana per quella che è.»

«Non è un trucco, Lleu», disse Marta, sacerdotessa di Zeboim, entrando nello studio. «Io le ho viste. Di pietra massiccia sono. Nere come il cuore di Chemosh.»

«Sei sicura?» domandò Lleu.

Marta annuì cupa, e Lleu tornò a sedersi. Marta sarà anche stata sacerdotessa di una dea crudele e capricciosa, ma la sacerdotessa di per sé era sincera, assennata e non incline a voli di fantasia.

«Che facciamo?» domandò lui.

«Non lo so», confermò Marta. «La mia dea non è contenta.» Un tuono immane che rovesciò diversi libri dagli scaffali testimoniò lo stato d’animo turbato di Zeboim. «Ma se noi andiamo lì a guardare a bocca aperta le statue come ogni altra persona di questa città non faremo che dare credito a questo miracolo. Io dico di ignorarlo.»

«Hai ragione», ammise Lleu. «Dovremmo ignorarlo. Questa Mina se ne andrà entro un paio di giorni. La gente se ne dimenticherà e passerà a qualche altro miracolo: un vitello a due teste o qualcosa del genere.»

Sobbalzò quando un altro tuono tremendo fece tremare il terreno.

«Magari riuscissi a convincere di questo Sua Santità», mormorò Marta, guardando i cieli inzuppati di pioggia. Scrollando il capo, uscì da quel tempio per ritornare al suo.