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Rhys non serbava animosità nei confronti dei genitori. Capiva. Aveva sempre capito. Attese in silenzio paziente che gli spiegassero il motivo della loro visita. Anche il Maestro attese in silenzio, poiché aveva detto tutto quanto fosse necessario. La madre di Rhys guardò ansiosa il padre, che era in agitazione, snervato. Il silenzio si fece fastidioso, almeno per i visitatori. I monaci talvolta passavano giornate intere senza parlare, e né il Maestro né Rhys ne erano infastiditi. Fu il fratello minore alla fine a parlare.

«Vogliono parlarti di me, Rhys», spiegò Lleu con un tono disinvolto, eccessivamente familiare, irritante. «E non possono con me qui. Vado a fare un giro in cortile. Col vostro permesso, naturalmente», soggiunse, rivolgendosi con un sorriso al Maestro. «Anche se non penso che voi abbiate molto da nascondere. C’è qualche possibilità che il vostro Dio Insetto mi procuri un bicchiere di liquore dei nani?»

«Lleu!» esclamò il padre, inorridito.

«Immagino di no.» Lleu fece l’occhiolino a Rhys e uscì dalla biblioteca per andare a bighellonare, fischiettando un motivetto osceno.

Rhys e il Maestro si scambiarono occhiate. Majere era chiamato da alcuni Dio Mantide, poiché la mantide religiosa era sacra a Majere ed era usata dal dio come suo simbolo, poiché la mantide sembra essere sempre nell’atto di pregare, restando ferma e zitta, ma ha la capacità di attaccare rapidamente la preda. Il giovane era, stando al suo abbigliamento, un chierico di Kiri-Jolith. Certamente non si comportava da chierico di Kiri-Jolith, il quale era severo e serio e non avrebbe tollerato un sacrilegio quale chiamare Majere «Dio Insetto».

«Chiedo scusa, Maestro», disse Petar, e il colore rosso del volto gli si accentuò, ma adesso per l’imbarazzo, non per la collera. Si deterse il viso con la manica. «Nessuno dei miei figli è stato educato a parlare con quel tono ai sacerdoti. Tu lo sai, Rhys.»

Rhys lo sapeva. Suo padre, la cui madre era stata chierica di Paladine, era sempre stato rispettoso degli dèi e di ogni sacerdote. Perfino nell’epoca in cui gli dèi se n’erano andati, Petar aveva insegnato ai suoi ragazzi a conservarli nel cuore.

«Lleu è cambiato, Rhys», esordì Brandwyn, con voce tremante. «È per questo che siamo venuti qui. Noi... noi non lo riconosciamo più! Passa il suo tempo nelle taverne, a bere e a fare baldoria e a bazzicare un gruppo di giovani furfanti e prostitute. Perdonatemi, padre», soggiunse, arrossendo, «se dico queste cose».

Gli occhi scuri del Maestro tremolarono di divertimento. «Noi monaci di Majere facciamo voto di castità, ma non siamo ignari della vita. Capiamo ciò che avviene fra un uomo e una donna, e nella maggior parte dei casi lo approviamo. Altrimenti saremmo presto a corto di monaci.»

I genitori di Rhys sembravano perplessi riguardo a questo discorso. Lo trovavano vagamente sconcertante.

«Vostro figlio, stando al suo abbigliamento, è un chierico di Kiri-Jolith», osservò il Maestro.

«Non per molto», disse gravemente Petar. «I chierici lo hanno scacciato. Lui ha violato molte loro leggi. Non dovrebbe indossare quelle vesti, ormai, ma sembra divertirsi a rendersi sciocco.»

«Noi non sappiamo che fare», soggiunse Brandwyn con un groppo alla gola. «Abbiamo pensato che forse Rhys potrebbe parlargli...»

«Dubito di avere molta influenza su un fratello che evidentemente non ha alcun ricordo di me», commentò dolcemente Rhys.

«Male non può fargli», disse il padre, sul punto di incollerirsi di nuovo.

«Per favore, Rhys», supplicò la madre. «Siamo disperati. Non sappiamo dove sbattere la testa!»

«Certamente, gli parlerò», disse gentilmente Rhys. «Volevo soltanto avvertirvi di non aspettarvi troppo. Ma farò di più che parlargli. Pregherò per lui.»

I suoi genitori parvero sollevati, speranzosi. Il Maestro offrì loro una camera per la notte e li invitò a condividere il semplice pasto serale dei monaci. I genitori di Rhys accettarono con gratitudine e andarono in camera a riposarsi, esausti per il viaggio e per la loro ansia.

Rhys stava per andare alla ricerca del fratello quando si sentì toccare lo spirito, in maniera chiara come sentirsi toccare il braccio.

«Sì, Maestro?»

«Lleu è la propria ombra», disse il Maestro.

Rhys rimase sbigottito, turbato. «Che cosa volete dire, Venerabile?»

«Non lo so», ammise il Maestro aggrottando la fronte. «Non ne sono sicuro. Non ho mai visto niente di simile. Devo pensarci su.» Rivolse lo sguardo verso Rhys, ed era uno sguardo serio, penetrante. «Parlagli, fratello, in ogni caso. Ma stai attento.»

«È giovane e pieno di buonumore, Maestro», disse Rhys. «La vita di un chierico non è per tutti.»

«C’è qualcosa di più», lo avvertì il Maestro. «Molto di più. Stai attento, Rhys», disse, ed era insolito per lui pronunciare il nome di Rhys. «Io mi dedico alle mie preghiere, se hai bisogno di me.»

Il Maestro si sedette a gambe incrociate sul pavimento dell’ufficio. Posandosi le mani sulle ginocchia, chiuse gli occhi. Sul volto del vecchio discese un’aria di riposo pacifico. Era col suo dio.

Majere non aveva luoghi di culto formali, né templi pieni di panche, né altari. Il mondo è il tempio di Majere, il cielo il suo grande soffitto a volta, le colline erbose le sue panche, gli alberi i suoi altari. Non si cercava il dio dentro un ambiente formale ma si guardava dentro di sé, dovunque ci si trovasse.

Rhys lasciò il Maestro alle sue preghiere e uscì a cercare il fratello. Non ne vide traccia, ma udendo abbaiare i cani Rhys si diresse da quella parte. Voltando l’angolo del deposito, giunse in vista dell’ovile e lì vi era suo fratello.

Le pecore erano tutte ammassate assieme all’estremità opposta del recinto. Atta si trovava fra Lleu e le pecore. La cagna aveva gli orecchi all’indietro, muoveva la coda lentamente da un lato all’altro, teneva le zampe rigide e scopriva i denti.

«Bestia schifosa!» Lleu imprecava contro di lei. «Vai fuori dai piedi!»

Fece per scalciare selvaggiamente ma Atta fece un lieve balzo di lato, evitando facilmente lo stivale dell’uomo. Furioso, Lleu cercò di colpirla con la mano.

Atta gli diede un morso e Lleu emise un grido di dolore. Tirò indietro la mano, guardando con rabbia il taglio rosso che ne percorreva il dorso.

«Atta, stai giù», ordinò Rhys.

Con sua sorpresa, Atta rimase in piedi, tenendo gli occhi marroni fissi su Lleu. La cagna ringhiò, arricciando il labbro.

«Atta, giù!» disse di nuovo Rhys, severamente.

Atta si stese sul ventre. Sapeva da questo tono insolitamente forte che Rhys era contrariato. La cagna rivolse al padrone uno sguardo supplichevole come per dire: «Non ti arrabbieresti se capissi.» Spostò lo sguardo attento di nuovo verso Lleu.

«Quel cane demoniaco mi ha aggredito!» gridò Lleu, col volto contorto da uno sguardo torvo. Teneva l’altra mano su quella ferita, massaggiandosela. «Quella bestia è cattiva. Bisognerebbe tagliarle la gola.»

«Il compito del cane è proteggere le pecore. Tu non dovevi infastidirle, e nemmeno dovevi cercare di scalciarla o colpirla. Quel morso è stato un avvertimento, non un attacco.»

Lleu guardò la cagna con occhio torvo, quindi mormorò qualcosa e distolse lo sguardo. Atta continuò a osservarlo con circospezione, e gli altri cani erano desti e stavano in allerta, col pelo intorno al collo sollevato. La cagna madre diede dei morsi ai cuccioli, che volevano giocare, facendo loro sapere che questo era il momento di stare seri. Rhys trovò strana la reazione dei cani. Si sarebbe pensato che vi fosse un lupo in cerca di preda.