Rhys scrollò il capo. Non era un esordio favorevole a una conversazione confidenziale tra fratelli.
«Fammi vedere dove ti ha morso», propose Rhys. «L’infermiere ha degli unguenti che possiamo metterci su per impedire che si infetti, anche se in genere i morsi di cani guariscono in maniera pulita. Più pulita dei morsi umani.»
«Non è niente», disse Lleu con tono imbronciato. Continuò a premersi la mano sulla ferita.
«Ha i denti aguzzi», disse Rhys. «Il taglio sanguinerà.»
«No, davvero. È solo un graffio. Io ho avuto una reazione eccessiva.» Lleu infilò le mani nelle maniche della veste sacerdotale che non aveva più il diritto di portare. Soggiunse, con una smorfia: «Presumo che papà ti abbia mandato fuori a farmi la predica sui miei peccati».
«Se è così, resterà deluso. Non sta a me dire a qualcun altro come vivere la propria vita. Ti darò dei consigli, se saranno richiesti, ma nient’altro.»
«Bene, allora, fratello, i tuoi consigli non sono richiesti», tagliò corto Lleu.
Rhys alzò le spalle, in segno di accettazione.
«Voi confratelli qui che fate per divertirvi?» domandò Lleu, dando un’occhiata inquieta al campo di addestramento. «Dov’è la cantina? Voi monaci fate tutti il vostro vino, così mi dicono. Andiamo a stappare una bottiglia.»
«Il vino che facciamo lo usiamo per scopi medicinali», spiegò Rhys, soggiungendo, mentre Lleu strabuzzava gli occhi per il disgusto: «Mi pare di ricordare che da bambino ti piacesse sentire racconti di battaglie e guerrieri. Da chierico di Kiri-Johth sei un guerriero addestrato. Forse ti interessa apprendere qualche nostro metodo di combattimento?».
A Lleu si illuminò il volto. «Ho sentito dire che voi monaci avete uno stile poco ortodosso. Non usate armi, soltanto le mani. È vero?»
«In un certo senso», disse Rhys. «Vieni con me nei campi. Ti darò una dimostrazione.»
Fece un gesto ad Atta, congedandola dal servizio e rimandandola con gli altri cani. Lleu si unì a lui e si diressero verso il campo di addestramento. Rhys udì dietro di sé uno zampettare e voltò la testa.
Atta lo stava seguendo. Di nuovo aveva disobbedito al suo comando.
Rhys si fermò. Non disse niente, si limitò ad accigliarsi, in modo che lei vedesse dalla sua espressione che non era contento. Fece un gesto energico, indicando il recinto.
Atta mantenne la posizione. I suoi occhi marroni incrociarono quelli di lui. Sapeva che gli stava disobbedendo. Gli stava chiedendo di fidarsi di lei.
Rhys rammentò un altro caso in cui lui e Atta stavano cercando una pecora smarrita nel mezzo di una fitta nebbia. Lui le aveva ordinato di scendere a valle, pensando che l’animale seguisse il percorso più facile. Atta si era rifiutata, insistendo ostinatamente per salire lungo la collina. Rhys si era fidato di lei, e Atta aveva avuto ragione.
Lleu rideva. «Chi dei due è stato addestrato?» domandò con un sorriso malizioso.
Rhys guardò Lleu, rammentò l’osservazione del Maestro. Lleu è la propria ombra. Rhys continuava a non capire, ma forse Atta vedeva più chiaramente di lui nella nebbia.
Rhys fece il gesto che diceva al cane di stare alle sue calcagna. Allungò la mano e toccò leggermente Atta sulla testa, facendole sapere che tutto andava bene.
Atta gli ficcò il naso nella palma della mano, quindi rimase indietro di un passo, trotterellando tranquillamente alle sue calcagna.
«Tu porti una spada, vedo», disse Rhys al fratello. «Sei bravo a usarla?»
Lleu si lanciò in un resoconto entusiastico dell’addestramento con i cavalieri di Solamnia. Rhys osservò il fratello parlare, guardandolo da vicino, ascoltando soltanto in parte metà le sue parole e cercando di vedere ciò che avevano visto il Maestro e Atta. Si rese conto, mentre camminavano, di avere già percepito che in Lleu qualcosa non andava. Altrimenti non l’avrebbe condotto nei campi per mostrargli l’arte della disciplina benevola. Rhys avrebbe potuto condurre il fratello nel cortile di esercitazione, dove facevano pratica i monaci, ma aveva preferito di no.
Il cortile di esercitazione non era un luogo sacro, se non per il fatto che tutti i luoghi sono sacri a Majere, e non era nemmeno segreto. Eppure Rhys si sentiva più a suo agio col fratello fuori all’aperto, lontano dal monastero. Ombra o no, Lleu era un influsso fastidioso, che forse si sarebbe dissipato nella brezza rinfrescante, sotto il cielo limpido.
«È vero che noi non usiamo armi fatte d’acciaio», spiegò Rhys, in risposta alla domanda precedente. «Usiamo però delle armi, quelle che ci forniscono la natura e Majere.»
«Per esempio?» lo incalzò Lleu.
«Per esempio questa.» Rhys indicò l’emmide.
«Un bastone?» Lleu diede un’occhiata severa alla lunga e sottile asta di legno. «Contro una spada? Neanche una possibilità in tutto l’Abisso!»
«Proviamo», lo invitò Rhys indicando con un gesto la spada che il fratello portava al fianco. «Sguaina la tua arma e vienimi incontro.»
«Non è proprio equo...» protestò Lleu. Con un gesto indicò loro due. «Siamo della stessa altezza, ma io sono più pesante di te. Sono più grosso di spalle, più muscoloso. Potrei farti male.»
«Correrò il rischio», insistette Rhys.
Di carnagione scura, snello, non aveva carne in eccesso. Era tutto ossa, tendini e muscoli, mentre nel fratello poteva vedere i segni rivelatori della sua vita dissipata. I muscoli di Lleu erano flaccidi, il volto aveva un colore pallido, malsano.
«Benissimo, allora, fratello», sorrise Lleu. «Ma non dire che non ti avevo avvertito... specialmente quando ti staccherò il braccio.»
Rilassato e sicuro di sé, Lleu sguainò la spada e assunse la posizione di combattimento, con l’arma nella mano destra. Atta era stesa a terra all’ombra di un albero. Vedendo quell’uomo in procinto di aggredire il suo padrone, ringhiò e si alzò.
«Atta, seduta», comandò Rhys. «Va tutto bene», soggiunse per rassicurazione.
Atta si sedette, ma evidentemente non era contenta, poiché non si mise a sonnecchiare, come avrebbe fatto se lui fosse stato lì a fare pratica di tecniche di combattimento con un altro monaco. Rimase sveglia, vigile, con lo sguardo fisso sul padrone. Rhys rivolse la sua attenzione di nuovo al fratello. Vedendo Lleu con la spada in mano, Rhys si rammentò del morso della cagna. Guardò con preoccupazione la mano del fratello, sperando che non gli facesse troppo male.
Lleu aveva cercato di colpire Atta con la mano destra, la mano che reggeva l’arma. Rhys vedeva molto chiaramente i segni lasciati dai denti di Atta. La cagna non aveva morsicato forte l’uomo, solo quel tanto che bastava per indurlo a pensarci bene prima di avvicinarla. Comunque la ferita appariva profonda, anche se non aveva sanguinato molto, a quanto pareva, poiché non vi erano macchie di sangue sulla pelle né sulla manica della veste. Rhys non vedeva bene la ferita, poiché la mano del fratello continuava a muoversi, ma notò che aveva un aspetto insolito, più di livido che di taglio, poiché la ferita aveva uno strano colore viola-bluastro.
Rhys rimase tanto sconcertato da questo fatto che continuò a fissare la ferita, anziché osservare il fratello, e fu colto di sorpresa quando Lleu balzò all’improvviso contro di lui, abbassando la spada con un movimento di taglio, inteso a sfondare un elmo o un cranio e concludere in fretta il combattimento.
Lleu mise nel colpo tutta la sua forza. Rhys, tenendo l’emmide con entrambe le mani, sollevò il bastone sopra la testa per opporsi alla spada. La lama colpì l’emmide. Il bastone resistette, anche se l’impatto di quel colpo devastante scosse le braccia di Rhys e si riverberò in tutto il corpo. Rhys sentì la forza del colpo perfino nei denti. A quanto pareva, aveva giudicato male il fratello. Quei muscoli non erano tanto flaccidi come sembravano.
Il volto di Lleu si contorse in un ringhio. I muscoli delle braccia gli si gonfiarono, gli occhi gli brillarono. Si aspettava che la lama facesse a pezzi quel bastone fragile, ed era irritato e frustrato perché il suo attacco era stato respinto. Sollevò la spada sopra la testa, intendendo colpire di nuovo il bastone.