Выбрать главу

Rhys guardò sconvolto quella scena terribile, la sua disciplina fatta a pezzi, la sua ragione dispersa come le foglie nella tempesta. Si guardò attorno stupefatto, incapace di rendersi conto di quell’orrore, incapace di comprendere ciò che era successo.

Anche se una sola occhiata gli bastò per capire che tutti erano morti, corse verso il Maestro e si inginocchiò accanto a lui, posando la mano sul collo dell’uomo nella remota speranza che potesse ancora rimanere un debole palpito di vita.

Gli bastò guardare il corpo contorto del monaco anziano, la spaventosa torsione dei muscoli facciali, la lingua gonfia e il contenuto dello stomaco svuotato per capire che il Maestro era morto e che era morto tra le sofferenze.

Tutti i monaci avevano sofferto la stessa morte orribile. Alcuni, a quanto pareva, si erano alzati nel momento in cui avevano avvertito i primi sintomi e avevano cercato di raggiungere la porta. Altri giacevano accanto alla panca su cui erano seduti. I corpi di tutti i monaci erano orribilmente contorti. Il pavimento era fetido e vischioso per il vomito. Questo e le lingue gonfie rivelavano la causa della loro morte: erano stati avvelenati.

Anche i genitori di Rhys erano morti. La madre era distesa sulla schiena. L’espressione congelata sul volto morto era quella di chi avesse capito all’improvviso una verità orrenda. Il padre era riverso bocconi, con un braccio spinto in fuori, come se nei suoi ultimi istanti avesse cercato di afferrare qualcuno.

Suo figlio. Il figlio minore.

Lleu era vivo e secondo tutte le apparenze in perfetta salute. Era sua la voce che Rhys aveva udito mormorare.

«Lleu!» gracidò Rhys, con la bocca secca, la gola tanto strozzata che lui non riconobbe il suono della propria voce.

Sentendo il proprio nome, Lleu smise di mormorare. Si girò verso il fratello.

«Non sei venuto a cena», disse.

Si scostò dalla panca, si alzò in piedi. La sua voce era calma. Si sarebbe potuto trovare nella propria cucina, a chiacchierare con un amico. Non nel mezzo di una catastrofe.

È pazzo, pensò Rhys. L’orrore lo ha fatto impazzire.

Eppure, nonostante tutto, Lleu non aveva l’aria di un pazzo.

«Non avevo voglia di mangiare», disse Rhys. Doveva restare calmo, cercare di scoprire che cosa stesse succedendo.

Lleu sollevò una scodella di minestra e la porse al fratello. «Devi essere affamato. Faresti meglio a cenare.»

A Rhys si strinse il cuore. Capì in quel momento che cosa fosse successo, proprio come suo padre e sua madre l’avevano capito prima di morire. Ma il perché di tutto questo era ben oltre la portata di Rhys quanto la faccia scura di Nuitari. Alle sue spalle udì il ringhio di Atta, e tese la mano in un gesto protettivo, ordinandole di restare dov’era.

Rhys tenne lo sguardo fisso sul fratello. Lleu aveva le vesti in disordine, aveva graffi sul viso e sul petto. Forse suo padre era riuscito a mettere le mani sul figlio assassino prima di essere colto dalla morte.

Lleu aveva il petto nudo, su cui vi era uno strano segno: l’impronta delle labbra di una donna, marchiata a fuoco nella carne. Rhys notò la stranezza di quel marchio, nient’altro. L’orrore glielo tolse dalla mente, e lui se ne dimenticò.

«Sei stato tu», lo accusò Rhys, con la voce rotta. Indicò i morti.

Lleu diede un’occhiata attorno ai cadaveri e ricondusse lo sguardo verso il fratello. Alzò le spalle, come per dire: «Sì. E allora?».

«E adesso vuoi avvelenare me.» Rhys con la mano stringeva il bastone tanto forte che incominciò ad avere crampi alle dita. Si costrinse ad allentare la presa.

Lleu valutò la questione. «Non è che "voglio", ma "devo", fratello.»

«Devi avvelenarmi.» Rhys si sforzò di mantenere freddo e uniforme il tono della voce. Adesso capiva che il fratello non era pazzo, che dietro le uccisioni vi era qualche terribile spiegazione razionale. «Perché? Perché l’hai fatto?»

«Lui mi avrebbe ostacolato», spiegò Lleu. Rivolse lo sguardo al corpo del Maestro. «Quel vecchio lì. Lui sapeva la verità. Gliel’ho letto negli occhi.»

Lleu tornò a guardare Rhys. «L’ho letto anche nei tuoi occhi. Tutti voi avreste cercato di ostacolarmi.»

«Ostacolarti in che cosa, Lleu?» domandò Rhys.

«Nel portare discepoli al mio dio», rispose Lleu.

«Kiri-Jolith?» domandò Rhys incredulo e sbigottito.

«Non quel guastafeste chiacchierone», schernì Lleu. Un’espressione di soggezione gli addolcì il volto. Con voce riverente disse: «Il mio signore Chemosh».

«Sei un seguace del Signore della Morte.»

«Sì, fratello», ammise Lleu. Gettò di nuovo sul tavolo la ciotola di minestra e si alzò dalla panca. «Puoi essere anche tu un suo seguace.»

Lleu allargò le braccia. «Abbracciami, fratello. Abbraccia me e la vita eterna, la giovinezza eterna, il piacere eterno.»

«Sei stato ingannato, Lleu.»

Rhys spostò i piedi, afferrò l’asta con entrambe le mani e si mise in posizione marziale. Lleu non portava la spada: i monaci gli avrebbero impedito di portare una spada nel monastero. Era in preda a un’estasi religiosa, però, e questo lo rendeva pericoloso.

«Chemosh non vuole farti avere niente di tutto questo. Cerca solo il tuo annientamento.»

«Al contrario, io ho già tutto quanto mi è stato promesso», disse allegramente Lleu. «Niente può farmi del male.»

Voltandosi di nuovo verso il tavolo, sollevò una scodella di minestra e la fece vedere a Rhys. «Questa è la mia. Vuota. Io ho mangiato la cicuta acquatica come tutti questi poveri sciocchi. Dovevo mangiarla, è ovvio, altrimenti si sarebbero insospettiti. Loro sono morti. Io no.»

Poteva essere una menzogna, una spacconata, ma Rhys dedusse dal tono e dall’espressione del fratello che non lo era. Lleu aveva detto la verità. Aveva ingerito il veleno ed era illeso. Rhys pensò all’improvviso al morso della cagna, all’assenza di sangue.

Lleu gettò nuovamente con noncuranza la scodella sul tavolo. «La mia vita è fatta di agi e di piaceri. Non conosco né fame né sete. Chemosh mi fornisce tutto. Non ho bisogno di niente. Tu puoi conoscere la stessa vita, fratello.»

«Io non voglio quella vita», disse Rhys. «Se è "vita" quella che dici tu.»

«Allora immagino che faresti meglio a morire», ribatté Lleu con tono indifferente. «In un modo o nell’altro, Chemosh ti avrà. Gli spiriti di tutti coloro che muoiono di morte violenta vanno a lui.»

«Io non ho paura della morte. La mia anima andrà al mio dio», rispose Rhys.

«Majere?» Lleu ridacchiò. «A lui non interessa. Sarà da qualche parte a guardare un bruco arrampicarsi su un filo d’erba.» Il tono di Lleu mutò, si fece minaccioso. «Majere non ha né la volontà né la forza per fermare Chemosh. Così come a questo vecchio mancava la forza per fermare me.»

Rhys guardò i morti, guardò il viso orribilmente contorto del Maestro, e provò un improvviso moto di collera. Lleu aveva ragione. Majere avrebbe potuto fare qualcosa. Avrebbe dovuto fare qualcosa per impedire tutto questo. I suoi monaci avevano dedicato a lui la loro vita. Avevano lavorato e avevano fatto sacrifici. Nel momento del bisogno, il dio li aveva abbandonati. Loro lo avevano invocato nell’agonia, e lui era stato sordo alle invocazioni.

Ai monaci di Majere veniva ordinato di non schierarsi in nessun conflitto. Forse il dio stesso si rifiutava di schierarsi in questo. Forse le anime dell’amato Maestro e dei confratelli dovevano combattere da sole contro il Signore della Morte.

La collera si torceva dentro Rhys, ribollente e serrata e dal sapore amaro. Collera verso il dio, collera verso se stesso.

«Sarei dovuto essere qui. Avrei potuto impedire tutto questo.»

Rhys aveva addotto a giustificazione la scusa di essere stato col proprio dio, ma in verità la sua egoistica brama di pace e tranquillità gli aveva impedito di essere dove c’era bisogno di lui. Poiché sia lui sia Majere avevano tradito coloro che avevano riposto fede in loro, diciannove persone erano morte.

Lottò con se stesso, rimproverandosi, e allo stesso tempo combatté contro la furia che gli faceva prudere le mani per la voglia di afferrare il fratello assassino e strangolarlo. Rhys era tanto impegnato nella sua lotta interiore che distolse gli occhi da Lleu.