Il fratello fu lesto a trarne vantaggio. Afferrando la pesante ciotola di terracotta, la scagliò con tutta la sua potenza.
La ciotola colpì Rhys in mezzo agli occhi. Il dolore gli esplose nel cranio, un dolore incandescente con un fuoco dalle sfumature gialle, al punto che lui non riusciva più a pensare. Il sangue gli colò sul viso, negli occhi, accecandolo. Rhys barcollò, si aggrappò al tavolo per rimanere in piedi. Ebbe l’impressione nebulosa che Lleu si scagliasse su di lui e un’altra impressione di un corpo bianco e nero che gli sfrecciasse accanto. Rhys sentì in bocca il sapore del sangue. Stava cadendo e allungò la mano per arrestare la caduta, allungò la mano verso il Maestro...
Un monaco in veste arancione era in piedi davanti a Rhys. Il volto del monaco gli era familiare, anche se non l’aveva mai visto prima. Il monaco aveva una rassomiglianza col Maestro e allo stesso tempo con tutti gli altri confratelli del monastero. Il monaco aveva occhi calmi e tranquilli, un’aria dolce.
Rhys lo conosceva.
«Majere...» sussurrò Rhys, sgomento.
Il dio lo guardò fisso, senza rispondere.
«Majere!» Rhys esitò. «Ho bisogno del vostro consiglio. Ditemi che cosa devo fare.»
«Lo sai che cosa devi fare, Rhys», disse calmo il dio. «Prima devi seppellire i morti e poi devi purificare questa stanza dalla morte, cosicché tutto sia pulito alla mia vista. Al mattino ti alzerai col sole e reciterai le tue preghiere a me, come al solito. Poi dovrai abbeverare il bestiame e portare fuori le vacche e i cavalli al pascolo e condurre le pecore nei campi. Quindi estirpare le erbacce nell’orto...»
«Pregare voi, Maestro? Pregare per che cosa? Tutti loro sono morti e voi non avete fatto niente!»
«Pregare per tutto ciò per cui preghi sempre, Rhys», proseguì il dio. «Perfezione di corpo e mente. Pace e tranquillità e serenità...»
«Mentre seppellisco i corpi morti dei miei confratelli e dei miei genitori», ribatté rabbiosamente Rhys, «prego voi per la perfezione!».
«E per accettare con pazienza e comprensione le vie del tuo dio.»
«Io non l’accetto!» rispose Rhys, con la collera e l’angoscia attorcigliate dentro di lui. «Io non l’accetto. Chemosh ha fatto questo. Va fermato!»
«Altri si occuperanno di Chemosh», ribatté imperturbabile Majere. «Il Signore della Morte non è affar tuo. Guarda dentro di te, Rhys, e cerca l’oscurità dentro la tua anima. Portala alla luce prima di cercare di lottare con l’oscurità degli altri.»
«E Lleu? Deve essere consegnato alla giustizia...»
«Lleu dice la verità quando afferma che Chemosh lo ha reso invincibile. Tu non puoi fare nulla per fermarlo, Rhys. Lascialo andare.»
«E così voi vorreste farmi rimanere qui nascosto, al sicuro dentro queste mura, a badare alle pecore e a pulire le stalle, mentre Lleu se ne va in giro a commettere altri omicidi in nome del Signore della Morte? No, Maestro», obiettò arcigno Rhys. «Io non mi tirerò indietro e non lascerò che altri si assumano quella che è la mia responsabilità.»
«Sei con me da quindici anni, Rhys», disse Majere. «Ogni giorno, in questo mondo sono stati commessi omicidi e anche peggio. Hai forse cercato di impedirne qualcuno? Hai forse cercato giustizia per queste altre vittime?»
«No», riprese Rhys. «Forse avrei dovuto.»
«Guarda dentro il tuo cuore, Rhys», rispose. «Ciò che cerchi è giustizia o vendetta?»
«Cerco risposte da parte vostra!» gridò Rhys. «Perché non avete protetto i vostri eletti contro mio fratello? Perché li avete abbandonati? Perché io sono vivo e loro no?»
«Ho le mie ragioni, Rhys, e non sono tenuto a comunicarti queste ragioni. La fede in me significa che tu accetti ciò che è.»
«Non posso», ribadì Rhys, con uno sguardo furioso.
«Allora non posso aiutarti», disse il dio.
Rhys rimase in silenzio, dentro di lui la battaglia infuriava. «Così sia», concluse bruscamente e si voltò.
6
Rhys si svegliò da un sogno profondamente inquietante, in cui rinnegava il suo dio, percependo un dolore pulsante e una luce tremula e una lingua ruvida e umida che gli leccava la fronte. Aprì gli occhi. Atta era sopra di lui, uggiolava e gli leccava la ferita. Rhys spinse delicatamente via la cagna e cercò di mettersi a sedere. Lo stomaco gli si rivoltò, e lui vomitò. Tornò a distendersi con un gemito. La rigorosa seduta di allenamento dei monaci spesso aveva come conseguenza qualche ferita. Imparare a curare simili ferite e a sopportare il dolore era considerato una parte importante del loro addestramento. Rhys riconobbe i sintomi di una frattura al cranio. Il dolore era acuto e lui bramava arrendersi a questo, sprofondare nuovamente nell’oscurità, dove avrebbe trovato sollievo. Le vittime che facevano così, però, spesso non si risvegliavano più. Rhys non si sarebbe forse risvegliato, se non fosse stato per Atta.
Le accarezzò gli orecchi, mormorò qualcosa di inintelligibile, e vomitò di nuovo. La testa gli si snebbiò un po’ e lui fu inondato da un ricordo amaro, assieme alla consapevolezza del pericolo in cui si trovava.
Si mise rapidamente a sedere, digrignando i denti per il dolore acuto, e cercò il fratello.
La sala era buia, troppo buia per vedere. Quasi tutte le grosse candele di cera d’api si erano spente. Ne rimanevano accese soltanto due e le loro fiamme ondeggiavano nella cera fusa.
«Sono rimasto in stato di incoscienza per ore», mormorò stordito. «E dov’è Lleu?»
Sbattendo gli occhi per il dolore, cercando di mettere a fuoco lo sguardo, diede una rapida occhiata attorno alla sala ma non vide traccia del fratello.
Atta uggiolò, e Rhys la coccolò. Cercò di ricordare ciò che era successo, ma l’ultima cosa che rammentasse era l’accusa di suo fratello a Majere: non ha né la volontà né la forza per fermare Chemosh.
Una delle candele scoppiettò e si spense con uno sfrigolio. Rimaneva accesa soltanto una fiamma minuscola. Rhys accarezzò gli orecchi serici della cagna e non ebbe bisogno di domandarsi perché Lleu non l’avesse assassinato mentre lui era in stato di incoscienza.
Rhys non doveva cercare lontano il suo salvatore. Atta stava distesa con la testa in grembo a Rhys e lo guardava ansiosamente con i suoi occhi marrone scuro.
Rhys aveva visto Atta fare la guardia alle pecore durante un attacco al gregge da parte di un coguaro, mettendo il proprio corpo fra le pecore e il coguaro, affrontandolo intrepida, e i suoi occhi marroni avevano incrociato e sostenuto lo sguardo del felino dagli occhi gialli, finché questo si era voltato e se ne era andato furtivamente.
Rhys chiuse gli occhi assonnato, coccolando Atta e immaginandola sopra il suo padrone in stato di incoscienza, a fissare minacciosamente Lleu, col labbro arricciato per fargli vedere i denti aguzzi che presto sarebbero potuti sprofondare nella sua carne.
Lleu sarà stato invincibile, come affermava lui, ma poteva comunque provare dolore. L’urlo che aveva lanciato quando Atta l’aveva morso era stato piuttosto reale. E poteva immaginarsi vividamente che cosa significava sentirsi affondare quei denti aguzzi nella gola.
Lleu aveva desistito ed era fuggito. Scappare... scappare a casa...
Atta abbaiò e balzò in piedi, svegliando Rhys con uno scrollone.
«Che succede?» chiese lui, mettendosi a sedere, teso e impaurito.
Atta abbaiò di nuovo e Rhys udì un altro abbaiare, lontano, proveniente dall’ovile. Quell’abbaiare era inquieto, ma non era un avvertimento. Gli altri cani percepivano che qualcosa non andava. Atta continuò ad abbaiare e Rhys si domandò che cosa cercasse di dire loro, come avrebbe descritto questo orrore perpetrato dall’uomo sull’uomo.
Si svegliò di nuovo scoprendo che Atta abbaiava verso di lui.
«Hai ragione, ragazza. Non posso», mormorò. «Non posso dormire. Devo restare sveglio.»