Rhys non si voltò a guardare.
La pioggia cessò nel momento in cui furono sulla strada. Una nebbia bassa sul terreno ricopriva la vallata. Il sole nascente era una misteriosa macchia rossa sfocata, la sua luce filtrava nella caligine grigia come attraverso un buratto. L’umidità gocciolava dalle foglie degli alberi e cadeva con un tonfo sordo sul terreno bagnato. Ogni altro rumore era attenuato e ovattato.
Rhys aveva molto a cui pensare durante il cammino. Lasciò ad Atta libertà di vagare, un regalo insolito per quella cagna abituata a lavorare sodo. Poteva schizzare nel sottobosco alla ricerca di conigli, abbaiare agli scoiattoli, sfrecciare lungo la strada davanti a Rhys, tornare di corsa con la lingua penzoloni e gli occhi lucidi. Quest’oggi non fece nulla di tutto questo ma trotterellò dietro di lui, con la testa china e la coda abbassata. Rhys sperava che lei si rianimasse una volta lontano dall’ambiente conosciuto, lontano dal persistente odore delle pecore e degli altri cani.
Quando aveva condotto il bestiame al villaggio, Rhys aveva interrogato gli abitanti, chiedendo loro se avessero visto passare di recente un chierico di Kiri-Jolith. Nessuno l’aveva visto. Rhys non lo trovò sorprendente. Il villaggio era situato a nord e a est del monastero, mentre la città di Staughton (dove risiedeva Lleu) era ubicata a sud. Non vi era motivo per cui Lleu non dovesse ritornare a Staughton. Poteva sempre escogitare qualche storia plausibile per spiegare la scomparsa dei genitori. Viaggiare di questi tempi era pericoloso, in particolare nell’Abanasinia, dove per la campagna vagavano banditi. A Lleu bastava inventarsi il racconto di un attacco da parte di rapinatori, in cui i suoi genitori sarebbero stati uccisi e lui stesso ferito, e gli avrebbero creduto.
Rhys camminava tanto immerso nei suoi pensieri che non avvertì la mancanza di Atta finché un topo di fogna non gli tagliò la strada senza essere inseguito dalla cagna. Rhys si fermò, chiamò e fischiò, ma Atta non comparve. Gli venne in mente che potesse essere ritornata assieme agli altri cani. Sarebbe stato naturale. Aveva compiuto la sua scelta, come lui aveva compiuto la propria. Doveva però andare a vedere di persona, doveva accertarsi che Atta fosse al sicuro. Tornando indietro, col cuore triste, quasi incespicò sulla dea, che con caratteristica impetuosità comparve senza preavviso davanti a lui, bloccandogli il cammino.
«Dove stai andando?» gli domandò.
«Vado prima di tutto a cercare il cane, mia signora», rispose Rhys, «e poi a Staughton alla ricerca di mio fratello».
«Lascia perdere il cane. E lascia perdere tuo fratello», ordinò imperiosamente Zeboim. «Voglio che tu vada a scovare Mina.»
«Mia signora...»
«Maestà, per te, monaco», precisò Zeboim con tono altezzoso.
«Non sono più un monaco, maestà.»
«Invece sì. Sarai il mio monaco. Majere può avere monaci. Perché io no? Naturalmente dovrai indossare vesti di colore diverso. I miei monaci porteranno il verde mare. Ora, monaco di Zeboim, che cosa stavi per dire?»
Rhys osservò le proprie vesti passare dall’arancione sacro di Majere a un verde che lui suppose rammentasse il mare. Lui non aveva mai visto il mare, per cui non poteva giudicare se fosse così o no. Si consigliò di portare pazienza, quindi inspirò profondamente prima di parlare.
«Come avete detto ieri, io non so nemmeno chi sia questa Mina. Non so niente di lei. Invece conosco mio fratello...»
«Mina era comandante dei Cavalieri delle Tenebre durante la Guerra delle Anime. Perfino voi monaci di clausura avrete sentito parlare della Guerra delle Anime», spiegò Zeboim, vedendo l’espressione assente di Rhys.
Rhys scrollò il capo. I monaci avevano udito i viandanti raccontare di una Guerra delle Anime, ma vi avevano prestato scarsa attenzione. Le guerre fra i vivi a loro non interessavano. E nemmeno le guerre fra i vivi e i morti.
Zeboim alzò gli occhi al cielo per l’ignoranza di lui. «Quando la mia onorata madre, Takhisis, si impadronì del mondo, raccolse un’orfana di nome Mina e ne fece una sua discepola. Mina andò in giro a diffondere la notizia di questo Unico Dio, operando miracoli spettacolari, uccidendo draghi e guidando un esercito di fantasmi. Così riuscì a convincere dei mortali sciocchi che lei sapeva di che cosa stesse parlando.»
«Allora Mina è una discepola di Takhisis», disse Rhys.
«Era.» Zeboim corresse il tempo del verbo. «Quando la mamma andò incontro alla giusta ricompensa per il suo tradimento, Mina pianse la sua dea e ne portò via il corpo. Era, secondo tutti i resoconti, pronta a porre fine alla sua miserabile vita, ma Chemosh ha deciso che avrebbe potuto sfruttarla. L’ha sedotta e lei adesso ha trasferito a lui la propria devozione. Mina è quella che ha trasformato quel povero imbelle di tuo fratello in un assassino. È lei che devi trovare. È una mortale e pertanto è l’anello debole nella catena di comando di Chemosh. Se fermi lei fermi lui. Lo ammetto, non sarà facile», riconobbe Zeboim, soggiungendo di malavoglia: «Quella ragazzetta ha un certo che di affascinante».
«E dove trovo questa Mina?» domandò Rhys.
«Se lo sapessi», Zeboim si infiammò, «pensi che mi preoccuperei di te? La sistemerei io. Chemosh la avvolge in una tenebra in cui nemmeno i miei occhi possono penetrare».
«E altri occhi? Gli altri dèi? Vostro padre, Sargonnas...»
«Quella vacca dal cranio intontito! È troppo immerso nelle sue preoccupazioni, così come tutti gli altri. Nessuno degli dèi ha la perspicacia di capire che Chemosh è diventato pericolosamente ambizioso. Intende impadronirsi della corona di mia madre. Progetta di sconvolgere l’equilibrio e fare sprofondare Krynn di nuovo in una guerra. Io sono l’unica che se ne renda conto», proruppe altezzosamente Zeboim. «L’unica che abbia il coraggio di sfidarlo.»
Rhys inarcò un sopracciglio. L’idea della crudele e calcolatrice Zeboim quale paladina degli innocenti era singolare. Rhys con inquietudine immaginò che vi fosse sotto dell’altro. Tutto questo aveva il sapore di una vendetta personale fra Zeboim e Chemosh. Lui sarebbe rimasto intrappolato nel mezzo, fra l’incudine dell’una e il martello dell’altro. E trovava difficile accettare il fatto che gli dèi della luce fossero ciechi di fronte a questo male. Ne avrebbe saputo di più, però, quando fosse stato nel mondo. Rimase in silenzio, pensieroso.
«Bene, fratello Rhys, che cosa aspetti? Ti ho detto tutto ciò che ti serve sapere. Muoviti!»
«Io non so dove sia Mina...» incominciò a dire Rhys.
«Andrai a cercarla», sbottò la dea.
«... ma so dov’è mio fratello», proseguì Rhys. «O per lo meno dove è probabile che sia.»
«Ti ho detto di lasciar perdere tuo fratello...»
«Quando troverò mio fratello», proseguì con pazienza Rhys, «gli chiederò di Mina. Auspicabilmente mi condurrà da lei o per lo meno mi dirà dove posso trovarla».
Zeboim aprì la bocca, la richiuse. «C’è una certa logica in questo», ammise di malavoglia. «Puoi continuare a cercare tuo fratello.»
Rhys si inchinò per ringraziarla.
«Ma non devi perdere tempo a cercare il tuo bastardino», soggiunse la dea. «E voglio che tu compia una leggera deviazione. Poiché hai a che fare con Chemosh, ti serve qualcuno che sia esperto di morti viventi. Tu non hai una tale conoscenza, mi pare.»
Rhys dovette ammettere di no. I monaci di Majere si interessavano alla vita, non alla morte.
«C’è una città a una trentina di chilometri da qui. In quella città vi è un cimitero. Troverai lì la persona che cerchi. Arriva ogni notte verso mezzanotte. È il mio dono per te», disse Zeboim, altamente compiaciuta di sé e della propria magnanimità. «Ti accompagnerà. Ti servirà il suo aiuto per affrontare tuo fratello, nonché gli eventuali altri seguaci di Chemosh che potresti incontrare.»
A Rhys non piaceva l’idea di un accompagnatore che non soltanto era un tirapiedi di Zeboim ma, a quanto pareva, trascorreva anche le sue notti nei cimiteri. Tuttavia non voleva discutere su questo argomento. Avrebbe almeno dato un’occhiata a questa persona e forse le avrebbe rivolto qualche domanda. Chiunque avesse conoscenza di morti viventi probabilmente avrebbe avuto conoscenza anche di Chemosh.