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Nightshade ascoltava con calma e attenzione e aveva un’espressione di commiserazione e interesse.

«Non c’è niente per te qui, ormai», disse finalmente Nightshade. «Tua moglie ha ormai sposato qualcun altro. Ha dovuto, anche se era addolorata per te e sentiva la tua mancanza. C’erano i bambini da crescere e lei non poteva gestire da sola la fattoria. I tuoi compagni hanno brindato in tuo onore e hanno detto cose come: "Ti ricordi quella volta che il vecchio Charley ha fatto così e così?" Ma anche loro sono andati avanti con la loro vita. E tu devi andare avanti con la tua. No, non sto facendo lo spiritoso. La morte è una parte della vita. Una parte oscura e tranquilla, ma certamente una parte. Non ci guadagni niente a restare qui, a crucciarti perché è stato tutto così ingiusto.»

Nightshade ascoltò di nuovo lo spettro, poi disse: «Puoi vederla così oppure puoi ritenere che l’ignoto sia pieno di possibilità nuove ed emozionanti. Qualunque cosa è meglio di questa, no? Gironzolare qui sperduto e solitario. Per lo meno rifletti su quello che ti ho detto. Non è che per caso sai giocare a khas? Vorresti fare una partita prima di andartene?».

Lo spettro a quanto pareva non era interessato. Quella forma orribile prese a dissiparsi come la nebbia sotto la luce lunare.

«Oh, quasi mi dimenticavo!» gridò Nightshade. «Hai visto o sentito qualcosa di Chemosh ultimamente? Chemosh, Dio dei Morti. Mai sentito? Be’, grazie lo stesso. Buona fortuna a te! Fai buon viaggio.»

Rhys cercò di rimettere insieme i pezzi di ciò che pensava di sapere riguardo alla vita e alla morte e riordinarli. Alla fine scoprì di non riuscirci e li gettò via tutti. Era ora di ricominciare. Si diresse verso il punto in cui si trovava Nightshade. Il kender stava guardando l’elmo e la propria sacca, come se stesse cercando di stabilire se ci entrasse.

Udendo un movimento, Nightshade girò la testa. Il viso gli si illuminò. Lasciando cadere l’elmo, li raggiunse di scatto. «Rhys! Hai visto? Uno spettro! Era uno spettro piuttosto malinconico. Quasi tutti sono più vivaci, per così dire. Oh, e non sa niente di Chemosh. Immagino che quell’uomo sia morto prima che tornassero gli dèi. Spero che si senta meglio adesso che è nella parte successiva del suo viaggio. Che succede ad Atta? Non sta male, vero?»

«Nightshade», disse Rhys contrito, «voglio scusarmi».

Il viso del kender si accartocciò con una smorfia stupefatta. «Se vuoi, Rhys, fai pure. Non mi importa. Con chi vuoi scusarti?»

«Con te, Nightshade», rispose Rhys, sorridendo. «Ho dubitato di te e ti ho spiato, e mi dispiace.»

«Hai dubitato...» Il kender si interruppe. Guardò Rhys, guardò il cane, guardò attorno a sé il campo di battaglia. «Capisco. Mi sei venuto dietro per accertarti che io non mentissi quando dicevo di saper parlare con i morti.»

«Sì. Mi dispiace. Mi sarei dovuto fidare di te.»

«Non fa niente», minimizzò Nightshade, anche se lo disse con un lieve sospiro. «Sono abituato a non ricevere fiducia. È usanza del territorio.»

«Mi perdonerai?» domandò Rhys.

«Hai portato qualcosa da mangiare?»

Rhys mise una mano nella bisaccia, tirò fuori un pezzo di formaggio e lo porse al kender.

«Ti perdono», disse Nightshade, prendendone un grosso boccone con aria soddisfatta. Ammiccò verso Rhys. «È molto strano.»

«È normale formaggio di capra...»

«Non il formaggio. È ottimo. No, voglio dire, è strano che lo spettro non conoscesse Chemosh. Nessuno degli spettri o fantasmi o spiriti che ho incontrato ha ricevuto una visita da lui o dai suoi chierici. È vero, Chemosh non era qui quando quel particolare spettro era vivo, ma mi sembra che se io fossi il Signore della Morte la prima cosa che avrei fatto al mio ritorno sarebbe stata inviare i miei chierici a ripulire tutti i campi di battaglia e le segrete e le tane di drago, per rendere schiavi tutti gli spiriti erranti reperibili.»

«Forse ai chierici è solo sfuggito questo qui», ipotizzò Rhys.

«Non credo», disse Nightshade. Masticò il formaggio con un’espressione pensierosa.

«Che cosa pensi stia succedendo, allora?» lo pungolò Rhys, veramente interessato a sentire ciò che aveva da dire il kender. Nell’ultima ora era diventato molto rispettoso nei suoi confronti.

Il kender scrutò il campo buio e deserto. «Penso che Chemosh non abbia bisogno di schiavi morti.»

«E perché?»

«Perché sta trovando schiavi fra i vivi.»

«Come mio fratello», aggiunse Rhys con un’improvvisa sensazione di freddo alla bocca dello stomaco. A parte la prima conversazione nel cimitero, quando Rhys aveva raccontato a Nightshade di Lleu e dell’assassinio, i due non ne avevano parlato molto. Non era un argomento su cui Rhys amasse soffermarsi. A quanto pareva, però, Nightshade aveva riflettuto sulla questione.

Nightshade annuì. Restituì l’avanzo di formaggio e Rhys lo ripose nella bisaccia, con grande disappunto di Atta.

«Come ritieni che stia agendo Chemosh?» domandò Rhys.

«Non lo so», rispose Nightshade, «ma se ho ragione io, è piuttosto spaventoso».

Rhys dovette dirsi d’accordo. Era molto spaventoso.

10

Haven era una grande città, la più grande che Rhys avesse visitato finora. Lui e Nightshade trascorsero giorni a vagabondare di luogo in luogo, fornendo pazientemente una descrizione del fratello di Rhys, cercando qualcuno che avesse visto Lleu. Quando finalmente trovarono un taverniere che lo rammentava, Rhys apprese che il fratello non era rimasto a lungo a Haven ed era ripartito quasi subito. L’ipotesi migliore era che fosse andato a Solace, ragionamento per cui tutti coloro che attraversavano l’Abanasinia finivano a Solace. Rhys, Nightshade e Atta proseguirono il viaggio.

Rhys era stato a Solace con suo padre da bambino e ricordava chiaramente la città, famosa nelle leggende e nelle tradizioni popolari per il fatto che le sue case e botteghe erano costruite fra i rami di enormi alberi di vallen. Il nome stesso evocava immagini di un luogo in cui i feriti nel cuore, nella mente e nel corpo potessero andare a cercare conforto.

I ricordi d’infanzia di Rhys riguardo a Solace erano di una città di bellezza straordinaria e di gente amichevole. Trovò Solace molto cambiata. La città era cresciuta diventando una metropoli piena di rumore e andirivieni, confusione e trambusto, rimbombante di una voce forte e rauca. Rhys poteva dire sinceramente che se non fosse stato per la leggendaria Taverna dell’Ultima Dimora non avrebbe riconosciuto quel luogo. E perfino la taverna era cambiata, essendosi ampliata e ingrandita al punto che adesso si estendeva sui rami di diversi alberi di vallen.

Poiché le abitazioni originarie erano state costruite sulla sommità degli alberi, i cittadini di Solace non avevano avuto bisogno di erigere mura a protezione delle case e delle botteghe. La cosa aveva funzionato bene nell’epoca in cui Solace era una cittadina. Adesso però i viandanti entravano e uscivano dalla città senza controlli, senza guardie a porre domande. Riempivano le strade esseri di ogni sorta: elfi, nani, kender a decine. Rhys vide più razze diverse a Solace in trenta secondi di quante ne avesse viste in tutti i suoi trent’anni.

Rimase sbalordito oltre misura nel vedere due draconici, un maschio e una femmina, passeggiare lungo la strada principale con tanta sicurezza di sé come se fossero stati proprietari del luogo. La gente cambiava direzione per evitare gli «uomini lucertola», ma nessuno sembrava allarmato dalla loro presenza, tranne Atta, che ringhiò e abbaiò verso di loro. Sentì dire da qualcuno che provenivano dalla città draconica di Teyr e che erano qui per incontrare dei nani delle colline per discutere di commerci.

I nani di fosso lottavano e raspavano tra i rifiuti, e un viso di goblin sbirciò Rhys dalle ombre di un vicolo. Il goblin scomparve quando un manipolo di guardie, armate di picche e protette da una cotta di maglia, arrivarono a passo di marcia lungo la strada, accompagnate da una parata di bambini e bambine ridacchianti che portavano pentole in testa e bastoni in mano.