Выбрать главу

Gli esseri umani erano la razza predominante. Uomini di pelle nera dell’Ergoth si mescolavano a barbari rozzamente vestiti delle Pianure e a uomini riccamente abbigliati di Palanthas, e tutti si spintonavano e si davano gomitate e si scambiavano insulti.

A Solace era rappresentato anche ogni genere di occupazione. Tre maghi, due dalle vesti rosse e uno in nero, andarono a sbattere contro Rhys. Erano tanto immersi nella loro discussione che non lo notarono nemmeno, né gli chiesero scusa. Un gruppo di attori, che si definivano Troupe Itinerante di Gilean, arrivarono danzando per la strada, percuotendo un tamburo e suonando tamburelli, accrescendo così il livello di rumore. Tutti avevano qualcosa da vendere o cercavano qualcosa da acquistare, e tutti lo annunciavano gridando a pieni polmoni.

Mentre tutto questo avveniva nelle strade sottostanti, Rhys alzò lo sguardo e vide altra gente che percorreva i ponti oscillanti di assi e corde che andavano da un albero di vallen all’altro, come i filamenti di seta di una gigantesca ragnatela. L’accesso agli alberi era limitato, a quanto pareva, poiché Rhys notò delle guardie dislocate in vari punti, che interrogavano e fermavano tutti quelli che, secondo loro, avevano un’aria sospetta.

Mentre procedeva a fatica nel fango rimescolato da un flusso infinito di traffico, Rhys si meravigliava dei cambiamenti avvenuti in Ansalon mentre lui era nascosto nel mondo immutabile del monastero. Da ciò che vedeva, non si era perso molto. Il rumore, gli spettacoli, gli odori, che andavano dalla spazzatura in putrefazione ai nani di fosso non lavati, dal pesce del giorno prima all’odore della carne arrostita su braci ardenti e al pane fresco proveniente dalla bottega del fornaio, suscitavano in Rhys il rimpianto della solitudine e della tranquillità delle colline, della semplicità della sua vita precedente.

Atta, stando al suo comportamento, era d’accordo. Spesso alzava lo sguardo verso di lui, con gli occhi marroni umidi per la confusione, ma si fidava di lui perché li guidasse in quel caos. Rhys la coccolava, la rassicurava, se non riusciva a rassicurare se stesso. Forse era scoraggiato dalle dimensioni di Solace, dal numero di persone, ma ciò non modificava la sua determinazione a proseguire la ricerca del fratello. Per lo meno adesso sapeva dove cercare. Lleu raramente perdeva l’occasione di fermarsi in una locanda o una taverna lungo la via.

Rhys aveva un’altra possibilità, almeno così sperava. L’idea gli venne quando vide un gruppetto di chierici dalle vesti nere camminare apertamente per la strada. Una città delle dimensioni e della disposizione di Solace avrà ben avuto un tempio dedicato a Chemosh.

Rhys diresse i propri passi verso la famosa Taverna dell’Ultima Dimora, pensando di incominciare lì a chiedere informazioni. Dovette fermarsi lungo la strada per districare Nightshade da un gruppo di kender, che avevano fatto lega con lui come fosse stato un cugino non più visto da tempo (e in effetti due di loro affermavano di essere suoi cugini).

La famosa taverna dove, secondo la leggenda, erano abituati a incontrarsi gli Eroi delle Lance, era gremita. La gente faceva la coda per entrare. A mano a mano che alcuni clienti se ne andavano, ne veniva ammesso un certo numero. La coda incominciava ai piedi della lunga rampa di scale e si estendeva lungo la strada. Rhys e Nightshade presero posto in fondo, attendendo con pazienza. Rhys continuava a tenere d’occhio tutti quelli che salivano e scendevano le scale, sperando che uno di loro fosse Lleu.

«Guarda quanta gente!» esclamò Nightshade con entusiasmo. «Sono sicuro di farmi qualche spicciolo qui. Quella carne di capra arrosto ha un profumo meraviglioso, vero, Atta?»

La cagna sedeva a fianco di Rhys, alternando lo sguardo fra il padrone e Nightshade. Il kender pensava con contentezza che Atta si fosse veramente affezionata a lui, poiché non lo perdeva mai di vista. Rhys non voleva togliere al compagno questa illusione. Atta era diventata brava come «guardiana di kender» quanto prima lo era stata con le pecore.

Mentre guardava quelli che uscivano dalla taverna, Rhys ascoltava le chiacchiere attorno a sé, cogliendo vari pettegolezzi locali, nella speranza di udire qualcosa che lo conducesse a Lleu. Nightshade era impegnato a pubblicizzare i suoi servizi, dicendo a quelli davanti a lui nella coda che avrebbe potuto metterli in contatto con i parenti che avessero abbandonato le spoglie mortali, in cambio del prezzo da affarone di una sola moneta d’acciaio, pagabile alla consegna del detto parente. La cagna vigile, nel frattempo, impediva al kender di «prendere a prestito» accidentalmente sacche, portamonete, coltelli, anelli o fazzoletti, infilando il proprio corpo fra quello di Nightshade e ogni potenziale «cliente».

La folla era generalmente di buonumore, nonostante dovesse rimanere in attesa. Quel buonumore all’improvviso si deteriorò.

«Forse non mi avete sentito la prima volta, signori», affermò un tizio, alzando la voce. «Non avete diritto di passarmi davanti.»

Rhys si guardò dietro le spalle, come fecero tutti attorno a lui.

«Hai sentito qualcosa, Gregor?» domandò uno degli uomini a cui era stata rivolta quell’affermazione.

«No, Tak», ribatté l’amico, «ma di sicuro sento un odore». Sottolineò con forza quella parola. «Deve essere di passaggio in città un branco di maiali, oggi.»

«Ah, ti sbagli, Gregor», replicò l’amico in tono semiserio. «Non sono i maiali che hanno portato in città quest’oggi. I maiali sono bestie profumate, pulite e sane in confronto a questi qui. Devono aver lasciato entrare un elfo!»

Entrambi gli uomini risero sguaiatamente. A giudicare dai grembiuli di cuoio, dalle braccia e dalle spalle muscolose e dalle mani e dai volti anneriti dalla fuliggine, erano fabbri ferrai o forgiatori di metalli. La persona che era vittima dei loro scherzi portava l’abbigliamento verde di un abitante della foresta. Aveva il cappuccio tirato sopra la testa in modo che nessuno lo vedesse in faccia, ma erano inconfondibili il corpo flessuoso e i movimenti aggraziati e il tono dolce e melodico della voce.

L’elfo non disse nulla in risposta. Uscendo dalla coda, girò attorno ai due uomini e si rimise in fila davanti a loro.

«Maledetto mangiaerba, togliti dai piedi!» L’uomo chiamato Gregor afferrò l’elfo per le spalle e lo rigirò.

Balenò l’acciaio, e Gregor balzò all’indietro.

L’elfo aveva un coltello in mano.

I due uomini si guardarono; poi, serrando gli enormi pugni, si lanciarono in avanti.

L’elfo era pronto a portare un affondo quando all’improvviso si trovò la strada bloccata, poiché Rhys si era messo in mezzo ai contendenti. Rhys non sollevò il bastone, né alzò la voce.

«Potete avere il mio posto nella coda, signori», disse.

Tutti e tre lo fissarono a bocca aperta.

«Io sto quasi davanti, ai piedi delle scale», proseguì amabilmente Rhys. «Là, dove aspettano il kender e il cane. Siamo i prossimi a salire. Prendete il mio posto e siate i benvenuti, tutti e tre.»

Alle spalle di Rhys l’elfo disse con veemenza: «Non mi serve il tuo aiuto, monaco. Posso sistemare da solo questi due».

«Versando il loro sangue?» domandò Rhys, guardandosi attorno. «Che cosa risolveresti?»

«Monaco?» ripeté uno dei due uomini, guardando incerto Rhys.

«A giudicare dall’arma, è un monaco della Mantide», osservò l’elfo. «Ossia Majere, come lo conoscete voi umani. Anche se non ne ho mai visto uno con la veste verde», soggiunse con disdegno.

«Prendete il mio posto, signori», ripeté Rhys, indicando le scale. «Un boccale di birra fresca per sbollire gli spiriti, eh?»

I due uomini si guardarono. Scrutarono Rhys e il suo bastone. Non vi era una via d’uscita favorevole. Se avessero avuto il sostegno della folla, avrebbero potuto proseguire il combattimento. Per come stavano le cose, l’offerta di Rhys aveva chiaramente colpito la fantasia della folla. Forse questi due erano bulli ben noti, poiché la gente sorrideva del loro insuccesso.