I due uomini abbassarono i pugni.
«Andiamo, Tak, io non ho più fame», disse un tale severamente, girando sui talloni. «La puzza mi ha fatto passare l’appetito.»
«Già, puoi bere tu con quella gentaglia se vuoi, monaco», sogghignò l’altro. «Io preferirei ingurgitare acqua di palude.»
L’elfo guardò Rhys con occhio torvo. «Questa era la mia battaglia. Tu non avevi diritto di intrometterti.»
Anche lui se ne andò, puntando nella direzione opposta.
Rhys riprese il suo posto in coda. Diversi nella folla applaudirono e una donna anziana allungò una mano per toccargli la veste consunta e macchiata dal viaggio, «per buona fortuna». Rhys si domandò che cosa avrebbe pensato la donna se avesse saputo che lui non era un monaco di Majere ma un seguace giurato di Zeboim. Si rese conto, con un sospiro interiore, che probabilmente non avrebbe fatto alcuna differenza. Lui le era piaciuto, era piaciuto alla folla, come sarebbe piaciuto uno spettacolo di burattini.
Rhys prese il suo posto in coda, accanto a Nightshade, che non stava in sé dall’ammirazione e dall’agitazione. Le domande impazienti del kender furono interrotte dall’uomo che regolava il flusso di traffico verso la locanda.
«Vai su, monaco», gridò con un ampio gesto, «prima di fare scappare il resto dei miei clienti».
Tutti risero e la folla acclamò mentre Rhys, Nightshade e Atta salirono le scale, con Nightshade che gesticolava e si sporgeva precariamente dalla ringhiera per gridare: «Qualcuno di voi vuole entrare in contatto con una persona cara defunta? Io so parlare con i morti...».
Rhys afferrò il kender per le spalle e lo guidò delicatamente attraverso la porta aperta.
La Taverna dell’Ultima Dimora aveva raggiunto una fama imperitura durante la Guerra delle Lance, poiché fu qui che i leggendari Eroi delle Lance iniziarono una missione che si sarebbe conclusa con la sconfitta di Takhisis, Regina delle Tenebre. La taverna era di proprietà dei discendenti di due di quegli eroi, Caramon e Tika Majere. Ascoltando i pettegolezzi mentre faceva la coda, Rhys aveva appreso un bel po’ di cose sulla locanda, sui suoi proprietari e su Solace in generale.
Una figlia, Laura Majere, gestiva la locanda. Suo fratello Palin era stato un tempo un celebre stregone, ma adesso era il sindaco di Solace. C’era stato un qualche scandalo che aveva coinvolto sua moglie, ma a quanto pare era stato risolto. Laura e Palin avevano una sorella, Dezra. La gente alzava gli occhi al cielo quando la sentiva menzionare. Lo sceriffo di Solace era un amico di Palin, un ex cavaliere di Solamnia di nome Gerard. Era uno sceriffo apprezzato, a quanto pareva, con la reputazione di essere severo ma giusto. Aveva un compito ingrato, a sentire la maggior parte dei pettegoli, poiché Solace era cresciuta fin troppo in fretta per il suo bene. Inoltre era ubicata presso il confine di quello che un tempo era stato il regno degli elfi Qualinesti. Il drago Beryl aveva scacciato gli elfi dalle loro case e Qualinesti era adesso una terra di nessuno selvaggia, senza legge e senza civiltà, rifugio di bande vaganti di fuorilegge e di goblin.
La Taverna dell’Ultima Dimora aveva subito numerosi cambiamenti nel corso degli anni. Coloro che la rammentavano dall’epoca della Guerra delle Lance non l’avrebbero riconosciuta adesso. La taverna era stata distrutta almeno due volte dai draghi (forse di più, sull’argomento vi erano discussioni) e oltre a essere ricostruita era andata incontro a una serie di ampliamenti e ristrutturazioni. Il famoso bancone, costruito con l’albero di vallen, era ancora lì. Il caminetto presso cui un tempo sedeva il famigerato mago Raistlin Majere era stato spostato in un punto diverso per lasciare spazio ad altri tavoli. Era stata costruita un’ala supplementare per ospitare le crescenti folle di viandanti. La cucina non era più dove si trovava un tempo bensì in un punto completamente diverso. Il cibo era ancora altrettanto buono (migliore, secondo alcuni) e della birra parlavano in termini quasi riverenti gli intenditori di tutto Ansalon.
Entrando, Rhys rimase impressionato dall’atmosfera della locanda, che era allegra senza essere chiassosa o turbolenta. Le cameriere indaffarate trovavano il tempo di ridere e scambiarsi frecciate amichevoli con i clienti fissi. Un nano di fosso armato di scopa teneva immacolato il pavimento. I lunghi tavoli in assi di legno dove sedevano i clienti erano puliti e ordinati.
Nightshade prese subito a fare l’imbonitore. Il kender parlava velocissimo, sapendo per esperienza che raramente andava avanti per molto prima di essere zittito sommariamente. «Io so parlare ai morti», annunciò a voce alta, ben udibile sopra le risate e le urla e il cozzare di vasellame e stoviglie. «Qualcuno qui ha persone care morte di recente? In tal caso io posso parlare con loro a nome vostro. Sono contenti di essere morti? Io ve lo so dire. State ancora cercando il testamento di zio Wat? Io posso venire a sapere dallo spirito dove l’ha lasciato. Avete dimenticato di dire al defunto marito quanto l’amavate? Io posso trasmettergli i vostri saluti...»
Alcuni avventori lo ignoravano completamente. Altri osservavano il kender con espressioni che andavano da un sorriso divertito a un’aria sconvolta e indignata. Alcuni incominciavano ad apparire seriamente offesi.
«Atta, via», ordinò con calma Rhys, e la cagna con un balzo si mise in azione.
Trotterellando raggiunse il kender e gli premette il proprio corpo sulle gambe, cosicché Nightshade non ebbe altra scelta che indietreggiare o ruzzolare sopra Atta.
«Atta, cagna simpatica», la blandì Nightshade, accarezzandole distrattamente la testa. «Giocherò con te in un altro momento. Devo lavorare adesso, vedi...»
Cercò di girare attorno alla cagna, cercò di scavalcarla. Atta si scansò e si mosse a zigzag, e per tutto il tempo continuò a sospingere all’indietro il kender fino a incunearlo in un angolo, con un tavolo e delle sedie a stringerlo su due lati e la cagna paziente davanti.
Atta si stese sul ventre. Se Nightshade muoveva un muscolo, lei era di nuovo in piedi. Non ringhiava, non era minacciosa. Si accertava soltanto che il kender restasse fermo.
Mentre i clienti della locanda osservavano con soggezione tutto questo, si avvicinò in fretta una cameriera, offrendosi di guidare Rhys a un tavolo.
«No, grazie», disse lui. «Sono venuto a chiedere informazioni, tutto qui. Sto cercando qualcuno...»
La cameriera lo interruppe. «So che i monaci di Majere fanno voto di povertà. Va bene. Siete ospite della taverna quest’oggi. Avrete da mangiare e da bere e nella sala di ritrovo ci saranno delle stuoie per voi e il vostro amico».
Diede un’occhiata in direzione di Atta e Nightshade, ma non era chiaro se per «amico» intendesse il cane o il kender.
«Grazie, signora, ma non posso accettare la vostra offerta, che è gentile, ma non si fa al caso mio. Io non sono un monaco di Majere. Come ho detto, sto cercando qualcuno e ho pensato che potesse essere qui. Si chiama Lleu...»
«C’è qualche problema, Marta?»
Un omone, con una massa di capelli color paglia e un viso che si sarebbe detto brutto se non fosse stato per la forza di carattere e il sorriso gioviale, arrivò nel punto in cui stavano parlando Rhys e la cameriera. L’uomo indossava un panciotto di cuoio, portava una spada al fianco e una catena d’oro al collo, tutto di ottima qualità.
«Il monaco qui ha rifiutato la nostra ospitalità, sceriffo», rispose la cameriera.
«Non posso accettare la sua carità, mio signore», ripeté Rhys. «Sarebbe offerta sotto false pretese. Io non sono un monaco di Majere».
L’uomo tese la mano.
«Gerard, sceriffo di Solace», disse sorridendo. Diede un’occhiata di ammirazione al cane e al kender intrappolato. «Non credo che stiate cercando lavoro, fratello, ma in caso affermativo sarei lieto di assumervi. Ho visto come vi siete comportato qui fuori in coda poco fa, e quel cane che raduna i kender vale il suo peso in acciaio.»
«Mi chiamo Rhys Mason. Grazie per l’offerta, ma devo rifiutare.» Rhys fece una pausa, poi disse dolcemente: «Se stavate guardando ciò che avveniva tra quegli uomini e l’elfo, mio signore sceriffo, perché non siete intervenuto?».