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«Il tuo dono alla dea sarà un bacio.»

Rhys le prese la mano e rispettosamente se la portò alle labbra.

Zeboim gli diede uno schiaffo sulla guancia. Il colpo fu duro, gli lasciò la pelle ardente e la mascella dolorante.

«Come osi burlarti di me?» tuonò la dea, fremente.

«Non mi burlo di voi, maestà», ribatté tranquillamente Rhys. «Vi dimostro il mio rispetto, così come spero voi abbiate rispetto per me e per i voti che ho preso: voti di povertà e di castità.»

«Voti verso un altro dio!» esclamò con disprezzo Zeboim.

«Voti verso me stesso, maestà», precisò Rhys.

«Che m’importa dei tuoi stupidi voti? E non voglio nemmeno il tuo rispetto!» Zeboim era furiosa. «Io devo essere temuta, adorata!»

Rhys non si scompose davanti a lei, né si toccò la guancia che gli pizzicava. Zeboim si fece improvvisamente calma, pericolosamente calma, come i mari che si acquietano prima della tempesta.

«Sei un uomo insolente e ostinato. Ti sopporto per una sola ragione, monaco. Guai a te se mi deludi!»

La dea se ne andò, lasciando Rhys prosciugato come fosse appena tornato dal campo di battaglia. Zeboim non voleva un seguace. Voleva catturarlo, farlo prigioniero, costringerlo a lavorare per lei come uno schiavo incatenato in una galea. Rhys aveva una sola arma per tenerla a distanza ed era la disciplina: disciplina del corpo, disciplina della mente. Zeboim non la capiva e non sapeva come combatterla. Lui la faceva infuriare, eppure la affascinava. Rhys sapeva però che sarebbe giunto il momento in cui quella dea volubile avrebbe smesso di essere affascinata e avrebbe dato sfogo alla propria furia.

All’estremità opposta della strada Rhys vedeva il tempio fatiscente di Chemosh, le cui rovine erano sparpagliate in una distesa di erbacce. Rhys non aveva bisogno di andare lì, poiché adesso sapeva dove trovare Lleu, ma decise ugualmente di far visita al tempio. Aveva tutta la serata per trovare Lleu, che non se ne sarebbe andato tanto presto dalla taverna. Rhys diresse i suoi passi verso il tempio del Dio della Morte.

Forse era l’influsso del dio, o forse era soltanto la fantasia di Rhys, ma gli parve che le ombre della sera incipiente si raggruppassero attorno al tempio più fitte che in altri punti della strada. Gli sarebbe servita una luce per indagare e con sé non aveva lanterna. Ritornò al tempio di Zeboim. Non vide traccia di sacerdoti o sacerdotesse. Nessuno rispose ai suoi ripetuti richiami. Sull’altare ardevano diverse candele, sistemate in supporti realizzati in modo da assomigliare a barche di legno: doni a Zeboim offerti nella speranza che lei proteggesse quanti viaggiavano per mare o percorrevano i canali navigabili dell’interno.

«Avete detto che io non vi chiedo mai niente, maestà», disse Rhys alla dea. «Adesso vi chiedo qualcosa. Concedetemi il dono della luce.»

Rhys tolse dall’altare una delle candele e la portò all’esterno. Una folata di vento fece vacillare e quasi spegnere la fiamma, ma la dea cedette e Rhys, con la candela in mano, andò a perlustrare il tempio di Chemosh.

Blocchi di pietra erano caduti sulle scale sgretolate. Rhys dovette arrampicarvisi sopra per raggiungere l’ingresso, ma scoprì che era ostruito da un pilastro. Si infilò dentro a fatica attraverso una fenditura della parete. Il pavimento del tempio era disseminato di macerie e di polvere. Erba ed erbacce spuntavano dalle crepe. L’altare era incrinato e ricoperto da convolvoli. Gli eventuali oggetti sacri al dio erano stati portati via dai sacerdoti o dai saccheggiatori. Le orme dei piedi nudi di Rhys erano le uniche impronte nella polvere. Rhys tenne alta la fiamma, guardò meticolosamente tutto attorno al tempio. Nessuno veniva lì da tantissimo tempo.

Riportando la candela al tempio di Zeboim, Rhys la collocò nella sua barchetta di legno e rese grazie alla dea. Rivolse i propri passi verso il cammino che l’avrebbe condotto alla Mangiatoia.

«Qualunque cosa Chemosh stia facendo nel mondo, non gli interessa costruire monumenti», osservò fra sé Rhys passando accanto al tempio bellissimo, tutto realizzato in marmo bianco, di Mishakal.

Trovò inquietante quella riflessione, più inquietante che se si fosse imbattuto in un gruppo di sacerdoti dalle vesti nere intenti ad aggirarsi furtivi entro le mura del tempio e a fare risuscitare cadaveri a decine. Il Signore della Morte non si nascondeva più fra le ombre. Era fuori alla luce del sole, camminava fra i vivi, reclutava seguaci come quel disgraziato di Lleu.

Ma a quale fine? A quale scopo?

Rhys non ne aveva idea. Sperava, quando avesse trovato il fratello, di ottenere qualche risposta.

«Ehilà, Rhys!» Nightshade spuntò fuori dal crepuscolo e raggiunse di corsa l’amico. «Alla taverna mi hanno detto dove andavi e così ho pensato di venire con te. Dov’è Atta?»

«L’ho lasciata alla taverna», rispose Rhys.

«Lì la gente è simpatica», commentò Nightshade. «In molti posti non mi lascerebbero entrare, ma la signora che gestisce la taverna, sai, quella donna carina e grassoccia coi capelli rossi, insomma, mi ha detto che ha un debole per i kender. Uno dei migliori amici di suo padre era un kender.»

«Sei riuscito ad aiutare la vedova a mettersi in contatto con suo marito?» domandò Rhys.

«Ci ho provato.» Nightshade scrollò il capo. «La sua anima aveva già proseguito verso la parte successiva del suo viaggio. Non ci crederai, ma la vedova si è messa a fare salti di rabbia. Ha detto di immaginarsi che lei se ne sia andato con qualche donnaccia. Ho cercato di spiegarle che non funziona così, che l’anima andava ad ampliare i suoi orizzonti. Mi ha risposto che lui voleva sempre ampliarli con altre donne. Lei sposerà il fornaio e gli renderà la pariglia. Non mi ha dato soldi, ma mi ha portato a conoscere il fornaio, che mi ha regalato un pasticcio di carne.»

I due avanzarono per le strade, lasciandosi alle spalle la parte chiassosa e indaffarata di Solace ed entrando in una zona buia e deprimente. Non vi erano botteghe, solo una manciata di case cadenti in cui erano accese luci fioche. Pochi si aggiravano di sera in questa zona della città. Di quando in quando incontrarono qualche sbandato che si affrettava per la strada deserta, tenendo la testa bassa senza guardare né a destra né a sinistra, come timoroso di quello che avrebbe potuto vedere. Rhys incominciava a pensare di avere sbagliato strada, poiché sembrava che avessero raggiunto la fine del mondo civile, quando sentì l’odore di fumo di legna e scorse dentro una finestra la luce tremolante di un caminetto. Voci alte intonavano una canzone oscena.

«Credo che l’abbiamo trovato», disse Nightshade.

La Mangiatoia originaria non esisteva più da tempo. Era stata rasa al suolo da un incendio, al pari di diverse incarnazioni successive. La prima volta aveva preso fuoco la cucina. Poi era toccato al camino. Una volta dei draconici ubriachi avevano dato fuoco alla taverna dopo essersi visti presentare un conto da loro considerato irragionevole, e un’altra volta aveva appiccato il fuoco il proprietario stesso per motivi che non furono mai chiariti. Ogni volta la taverna era stata ricostruita, grazie a denaro che si diceva essere stato fornito dai nani delle colline, poiché questo era uno dei pochi luoghi rimasti nell’Abanasinia dove si potesse acquistare il potente alcolico chiamato liquore dei nani.

La taverna era acquattata nelle fitte ombre di un boschetto accanto al margine della strada e aveva poche caratteristiche che la distinguessero. Anche quando Rhys ne fu vicino, non riuscì ad avere un’impressione chiara dell’edificio, se non che era lungo e basso, traballante e instabile. Vantava un’unica finestra sul lato anteriore. Il vetro della finestra doveva essere costato più dell’intero edificio e Rhys si domandò perché il proprietario se ne fosse preso la briga. In realtà la finestra non era lì per motivi estetici, ma perché quelli dentro potessero tenere d’occhio quelli fuori e se necessario scappare rapidamente attraverso la porta sul retro.

Rhys mise la mano sulla maniglia della porta di ferro, notando che era viscida al tatto, e si chinò per dire a bassa voce al kender: «Non credo che tu possa trovare molto lavoro qui. Sarebbe meglio che tu non cercassi di offrire i tuoi servizi per entrare in contatto con i morti».