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«Stavo pensando la stessa cosa», ribatté Nightshade.

«E non credo nemmeno che sia il momento buono per prendere a prestito qualcosa da qualcuno.»

«Sembra che non sia mai il momento buono», ribatté allegramente Nightshade. «Non preoccuparti. Terrò le mani in tasca.»

«E poi», soggiunse Rhys, «se mio fratello è qui, lascia che parli io».

«Io mi farò vedere ma non sentire», disse Nightshade. Sembrava un po’ scoraggiato. «Sento la mancanza di Atta.»

«Anch’io», e così dicendo aprì la porta.

Il fuoco che ardeva pigramente nel caminetto in fondo alla taverna era l’unica fonte di luce, e faceva tanto fumo che non serviva a molto. Rhys scrutò l’interno fosco della taverna. Il canto si zittì a mezza nota quando entrarono lui e il kender, a parte un ubriaco che comunque non cantava la stessa canzone e che continuò monotono senza interrompersi.

Rhys vide subito Lleu. Il fratello sedeva a un tavolo da solo nel mezzo della taverna. Era nell’atto di bere una sorsata da un boccale di terracotta quando Rhys entrò. Pulendosi la bocca, Lleu ripose sul tavolo il boccale. Guardò il nuovo entrato, poi distolse lo sguardo, senza interesse.

Rhys attraversò la stanza fino al tavolo a cui era seduto il fratello. Temeva che il fratello cercasse di scappare, quando lo avesse riconosciuto, per cui gli parlò per primo.

«Lleu», disse con calma Rhys, «non allarmarti. Sono venuto a parlare con te. Nient’altro».

Lleu alzò lo sguardo. «Per me va bene, amico», disse con un sorriso che voleva essere gioviale ma aveva un che di forzato. «Siediti e parla.»

Rhys rimase sconcertato. Non era questa la reazione che si aspettava. Rhys fissò Lleu, che rispose al suo sguardo, e Rhys si rese conto che il fratello non l’aveva riconosciuto. Data l’atmosfera fosca e fumosa della taverna e considerando che lui non portava più una veste arancione, era forse comprensibile. Rhys si sedette al tavolo di suo fratello. Nightshade si lasciò cadere di peso accanto a lui. Il kender osservò Lleu con gli occhi spalancati, poi guardò Rhys e sembrò sul punto di dire qualcosa. Rhys scrollò il capo e Nightshade si rammentò che doveva stare zitto.

«Lleu, sono io, Rhys, tuo fratello»

Lleu gli rivolse un’occhiata annoiata e tornò al suo boccale. «Se lo dici tu.»

«Non mi riconosci, Lleu?» insistette Rhys. «Eppure dovresti riconoscermi. Hai cercato di uccidermi.»

«Evidentemente non ci sono riuscito», grugnì Lleu. Sollevò il boccale, bevve una lunga sorsata di liquore e lo rimise giù. «Allora non hai niente di che lamentarti, a quanto vedo. Bevi qualcosa?»

Lleu porse il boccale al fratello. Al rifiuto di Rhys, Lleu lo offrì al kender. «E tu, piccolino?»

«Sì, grazie... oh, no, meglio di no», rispose Nightshade, cogliendo lo sguardo di Rhys.

«Fa lo stesso», proseguì Lleu, spostando via il boccale con disgusto. «Questo maledetto liquore deve essere per più di metà acqua. Questo è il mio secondo boccale e ancora ne vedo solo uno di te, monaco, e solo uno di questo tuo amichetto qui. Di solito dopo tre sorsi ne vedo sei di tutti e per giunta vedo dei goblin rosa.»

Girò la testa e dietro le spalle urlò: «Ehi, dov’è la mia cena?».

«Hai già mangiato», disse una voce dalla prossimità del bancone, che si perdeva nell’oscurità della caligine fumosa.

«Non mi ricordo di avere mangiato», grugnì Lleu.

«Be’, hai mangiato», ripeté aspramente la voce. «Hai il piatto vuoto davanti.»

Lleu guardò accigliato il tavolo e vide un piatto di peltro ammaccato e un coltello storto.

«Allora ho di nuovo fame. Portami ancora un po’ di questa brodaglia.»

«Prima però mi paghi quello che hai già mangiato. E quei due boccali di liquore.»

«Ho di che pagare», ringhiò Lleu. «Sono un chierico di Kiri-Jolith, per l’amor del cielo.»

In mezzo al fumo si udì una sbuffata.

«Io ho un pezzo di pasticcio di carne che non sono riuscito a finire», intervenne Nightshade e tirò fuori il pasticcio avvolto in un fazzoletto con macchie d’unto.

Lleu ghermì il pasticcio e lo divorò famelico, come se non mangiasse da giorni. «Ce n’è ancora?»

«Mi dispiace», disse il kender.

«Non so perché», mormorò Lleu. «Mangio e mangio e non mi sazio mai. Deve essere il maledetto cibo di queste parti. Ha sempre lo stesso gusto. Insipido, come questo liquore dei nani. Non c’è sapore.»

Rhys prese il braccio del fratello, lo strinse forte.

«Lleu, smetti di parlare di cibo e liquore dei nani. Non hai alcun rimorso per quello che hai fatto? Per il crimine tremendo che hai commesso?»

«No, non ne ha», s’intromise il kender.

«Ti ho detto di stare zitto», ordinò con impazienza Rhys.

Nightshade si chinò verso Rhys e gli mise la mano sul braccio. «Tu ti rendi conto che è morto, vero?»

«Nightshade, non ho tempo...»

Le parole si congelarono sulla lingua di Rhys. Guardò il fratello. Lentamente mollò la presa, allentò la stretta al braccio del fratello.

Senza scomporsi, Lleu si appoggiò all’indietro sulla sedia. Sollevò il boccale, bevve un’altra sorsata, quindi lo depose con un tonfo.

«Dov’è la mia roba da mangiare?» gridò.

«Chiedimela di nuovo e l’avrai subito: te la infilo direttamente nel culo.»

«Nightshade, di che parli?» sussurrò Rhys. Non riusciva a distogliere lo sguardo dal fratello. «Che vuoi dire con "è morto"?»

«Quello che ho detto», rispose il kender. «È morto come un chiodo di bara. Ancora non lo sa. Vuoi che glielo dica? Potrebbe restare sconvolto...»

«Nightshade, se è qualche genere di scherzo...»

«Oh, no», protestò Nightshade, inorridito da quella semplice ipotesi. «Io posso scherzare su tante cose, ma non sul mio lavoro. Io lo prendo molto sul serio. Tutti quei poveri spiriti che attendono di essere liberati...» Il kender si interruppe, ammiccò a Rhys. «Davvero non vedi che è morto?»

Lleu aveva dimenticato che loro fossero lì. Guardava il fumo, bevendo ogni tanto una sorsata dal boccale, più per la forza dell’abitudine, apparentemente, che per il piacere che ne traeva.

«Si comporta in maniera molto strana», ammise Rhys. «Ma respira. Ha la carne calda al tatto. Mangia e beve, sta seduto e parla con me...»

«Già, questo è il lato strano», commentò Nightshade, accartocciando il viso con un’espressione perplessa. «Nella mia vita ho visto un sacco di cadaveri, ma erano tutti tranquilli e pacifici. È la prima volta che ne vedo uno seduto in una taverna a bere liquore dei nani e a trangugiare pasticci di carne.»

«Non è divertente, Nightshade», disse severamente Rhys.

«Be’, è difficile da spiegare!» Il kender era sulla difensiva. «È come cercare di dire a un cieco che aspetto ha il cielo. Io vedo che è morto perché... perché dentro di lui non c’è luce.»

«Non c’è luce...» ripeté a bassa voce Rhys. Rammentò le parole del Maestro: Lleu è la propria ombra.

«Se io guardo te o quei due uomini che giocano a dadi laggiù nell’angolo, vedo una sorta di luce che si sprigiona. Oh, non è granché. Non è luminosa quanto il fuoco e nemmeno quanto la fiamma di una candela. Non potresti leggere un libro con quella luce, né trovare la strada nel buio o cose del genere. È soltanto un bagliore tremolante, vacillante. Come gli ultimi bagliori di una fiamma prima di finire in fumo. Una luce così. Quando lo tenevi, sentivi il polso? Potresti controllare.»

Rhys allungò la mano e afferrò il polso del fratello.

«Che stai facendo?» domandò Lleu, guardando accigliato Rhys.

«Ho paura che tu non stia bene», rispose Rhys.

«È un eufemismo», mormorò il kender.

«Sto benissimo, ti assicuro. Non mi sono mai sentito meglio. Chemosh si prende cura di me.»

«Ebbene?» domandò ansiosamente il kender a Rhys.

Rhys percepì qualcosa che poteva essere il polso ma non esattamente uguale. Non sembrava il fluire della vita sotto la pelle. Piuttosto come acqua gonfia in moto pigro sotto uno spesso strato di ghiaccio.